Reato di Resistenza: Inammissibile il Ricorso con Motivi Generici
Con l’ordinanza n. 21785 del 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di reato di resistenza a pubblico ufficiale, stabilendo principi chiari sull’ammissibilità del ricorso e sugli effetti della recidiva in relazione alla prescrizione. La decisione sottolinea come la violenza fisica contro gli agenti non possa essere declassata a semplice condotta ingiuriosa e ribadisce l’importanza di formulare motivi di ricorso specifici e non meramente assertivi.
I Fatti di Causa: Dalla Condanna al Ricorso in Cassazione
Il caso ha origine da una sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello nei confronti di un imputato per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 337 del codice penale. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, l’imputato aveva reagito con violenza fisica, sferrando calci e pugni contro gli agenti che stavano procedendo al suo controllo. L’individuo, non accettando la decisione di condanna, ha proposto ricorso per Cassazione, affidandolo a due principali argomenti: la presunta erronea configurazione del reato e l’avvenuta prescrizione dello stesso.
La Decisione della Corte di Cassazione sul reato di resistenza
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno stabilito che i motivi presentati dal ricorrente erano generici e meramente assertivi, incapaci di evidenziare vizi di motivazione concreti nella sentenza impugnata. La Corte ha inoltre respinto l’eccezione di prescrizione, chiarendo il ruolo della recidiva nell’allungamento dei termini. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni della Corte si articolano su due punti fondamentali.
In primo luogo, riguardo alla configurabilità del reato di resistenza, la Cassazione ha evidenziato come la Corte di merito avesse correttamente ricostruito i fatti. La condotta dell’imputato, caratterizzata da atti di violenza fisica diretta contro gli agenti (calci e pugni), non poteva essere in alcun modo confusa con una mera condotta ingiuriosa. La violenza, in questo contesto, rappresenta l’elemento costitutivo del reato previsto dall’art. 337 c.p., in quanto finalizzata a opporsi al compimento di un atto d’ufficio.
In secondo luogo, è stata analizzata e respinta l’eccezione di prescrizione. Il ricorrente sosteneva che il termine fosse decorso nel periodo tra la sentenza di primo grado e la citazione in appello (cosiddetto termine interfasico). Tuttavia, la Corte ha specificato che sul calcolo di tale termine incideva la ritenuta recidiva infraquinquennale. Questa circostanza aggravante ha l’effetto di prolungare il termine di prescrizione, che, nel caso di specie, non era ancora maturato al momento della decisione.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni pratiche. La prima è che un ricorso in Cassazione deve essere fondato su motivi specifici, dettagliati e concreti, che mettano in luce reali vizi della sentenza impugnata; motivi generici o puramente assertivi portano inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità. La seconda riguarda l’importanza della recidiva nel calcolo della prescrizione: la commissione di un reato entro cinque anni da una precedente condanna può avere conseguenze procedurali significative, tra cui l’estensione dei tempi necessari per l’estinzione del reato. Questa decisione consolida quindi l’orientamento giurisprudenziale che distingue nettamente la violenza fisica, elemento essenziale del reato di resistenza, da altre forme minori di opposizione.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi addotti erano generici e meramente assertivi, non indicando vizi specifici nella motivazione della sentenza di condanna.
Qual è la differenza tra la violenza nel reato di resistenza e una condotta ingiuriosa?
Secondo la Corte, la violenza che configura il reato di resistenza, come sferrare calci e pugni agli agenti, è un’azione fisica volta a opporsi a un atto d’ufficio e non è sovrapponibile a una mera condotta ingiuriosa, che ha natura verbale o simbolica e non implica un’aggressione fisica.
In che modo la recidiva ha influito sulla prescrizione del reato?
La recidiva infraquinquennale (ovvero la commissione di un nuovo reato entro cinque anni da una condanna precedente) ha determinato un prolungamento del termine di prescrizione, impedendo che questo si compisse nel periodo tra la sentenza di primo grado e il decreto di citazione in appello.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21785 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21785 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/10/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
r
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso di RAGIONE_SOCIALE; dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che i motivi dedotti avverso la sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 337 cod. pen. non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità, perché generici e meramente assertivi sulla sussistenza di vizi di motivazione in punto di configurabilità del reato. La Corte di merito, esaminando le stesse deduzioni oggi proposte con il ricorso, ha ricostruito i fatti e ritenuto sussistente i reato precisando come la violenza degli atti oppositivi dell’imputato, che sferrava calci e pugni agli agenti, non fosse sovrapponibile ad una mera condotta ingiuriosa.
Né è fondata l’eccezione di prescrizione del reato per decorrenza del cd. termine interfasico – tra la sentenza di pkno grado e il decreto di citazione in appello -, termine sul quale incide la ritenuta recidiva infraquinquennale che determina un prolungamento del termine stesso che, pertanto, non era decorso;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22 aprile 2024
Il Consigliere r .tor
Il Presid nte