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Reato di resistenza: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso contro una condanna per il reato di resistenza a pubblico ufficiale. I motivi sono stati giudicati generici e la violenza fisica dell’imputato non è stata considerata mera condotta ingiuriosa. Respinta anche l’eccezione di prescrizione, poiché la recidiva aveva prolungato i termini.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato di Resistenza: Inammissibile il Ricorso con Motivi Generici

Con l’ordinanza n. 21785 del 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di reato di resistenza a pubblico ufficiale, stabilendo principi chiari sull’ammissibilità del ricorso e sugli effetti della recidiva in relazione alla prescrizione. La decisione sottolinea come la violenza fisica contro gli agenti non possa essere declassata a semplice condotta ingiuriosa e ribadisce l’importanza di formulare motivi di ricorso specifici e non meramente assertivi.

I Fatti di Causa: Dalla Condanna al Ricorso in Cassazione

Il caso ha origine da una sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello nei confronti di un imputato per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 337 del codice penale. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, l’imputato aveva reagito con violenza fisica, sferrando calci e pugni contro gli agenti che stavano procedendo al suo controllo. L’individuo, non accettando la decisione di condanna, ha proposto ricorso per Cassazione, affidandolo a due principali argomenti: la presunta erronea configurazione del reato e l’avvenuta prescrizione dello stesso.

La Decisione della Corte di Cassazione sul reato di resistenza

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno stabilito che i motivi presentati dal ricorrente erano generici e meramente assertivi, incapaci di evidenziare vizi di motivazione concreti nella sentenza impugnata. La Corte ha inoltre respinto l’eccezione di prescrizione, chiarendo il ruolo della recidiva nell’allungamento dei termini. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si articolano su due punti fondamentali.

In primo luogo, riguardo alla configurabilità del reato di resistenza, la Cassazione ha evidenziato come la Corte di merito avesse correttamente ricostruito i fatti. La condotta dell’imputato, caratterizzata da atti di violenza fisica diretta contro gli agenti (calci e pugni), non poteva essere in alcun modo confusa con una mera condotta ingiuriosa. La violenza, in questo contesto, rappresenta l’elemento costitutivo del reato previsto dall’art. 337 c.p., in quanto finalizzata a opporsi al compimento di un atto d’ufficio.

In secondo luogo, è stata analizzata e respinta l’eccezione di prescrizione. Il ricorrente sosteneva che il termine fosse decorso nel periodo tra la sentenza di primo grado e la citazione in appello (cosiddetto termine interfasico). Tuttavia, la Corte ha specificato che sul calcolo di tale termine incideva la ritenuta recidiva infraquinquennale. Questa circostanza aggravante ha l’effetto di prolungare il termine di prescrizione, che, nel caso di specie, non era ancora maturato al momento della decisione.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni pratiche. La prima è che un ricorso in Cassazione deve essere fondato su motivi specifici, dettagliati e concreti, che mettano in luce reali vizi della sentenza impugnata; motivi generici o puramente assertivi portano inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità. La seconda riguarda l’importanza della recidiva nel calcolo della prescrizione: la commissione di un reato entro cinque anni da una precedente condanna può avere conseguenze procedurali significative, tra cui l’estensione dei tempi necessari per l’estinzione del reato. Questa decisione consolida quindi l’orientamento giurisprudenziale che distingue nettamente la violenza fisica, elemento essenziale del reato di resistenza, da altre forme minori di opposizione.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi addotti erano generici e meramente assertivi, non indicando vizi specifici nella motivazione della sentenza di condanna.

Qual è la differenza tra la violenza nel reato di resistenza e una condotta ingiuriosa?
Secondo la Corte, la violenza che configura il reato di resistenza, come sferrare calci e pugni agli agenti, è un’azione fisica volta a opporsi a un atto d’ufficio e non è sovrapponibile a una mera condotta ingiuriosa, che ha natura verbale o simbolica e non implica un’aggressione fisica.

In che modo la recidiva ha influito sulla prescrizione del reato?
La recidiva infraquinquennale (ovvero la commissione di un nuovo reato entro cinque anni da una condanna precedente) ha determinato un prolungamento del termine di prescrizione, impedendo che questo si compisse nel periodo tra la sentenza di primo grado e il decreto di citazione in appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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