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Reato di minaccia: quando sussiste il delitto?

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di assoluzione per il reato di minaccia, stabilendo che la conflittualità preesistente tra le parti, anche per motivi sentimentali, non è sufficiente a escludere il delitto. La Corte ha ribadito che il reato di minaccia è un reato di pericolo, per cui è sufficiente che la condotta sia potenzialmente idonea a intimidire la vittima, a prescindere dalla sua reazione o da un eventuale atteggiamento provocatorio. Il caso è stato rinviato a un nuovo giudice per una nuova valutazione basata su questi principi.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato di Minaccia: Anche in un Contesto Litigioso il Delitto Sussiste

Una recente sentenza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sulla configurabilità del reato di minaccia (art. 612 c.p.), specialmente quando questo si inserisce in un contesto di forte conflittualità tra le parti. La Corte ha annullato una decisione di assoluzione, sottolineando che l’esistenza di un rapporto teso, ad esempio per motivi sentimentali, non costituisce una giustificazione né esclude la sussistenza del reato. Analizziamo i dettagli di questa pronuncia per comprendere i principi di diritto applicati.

I Fatti di Causa e la Decisione di Primo Grado

Il caso trae origine da una denuncia per minacce sporta da due persone offese nei confronti di un’imputata. Le frasi contestate, proferite in un contesto di rivalità sentimentale, erano state considerate non penalmente rilevanti dal Giudice di Pace. Quest’ultimo aveva assolto l’imputata basando la sua decisione su tre principali argomenti:

1. La ‘considerevole litigiosità’ tra le parti, legata a motivi ‘di carattere amoroso’, che avrebbe reso le testimonianze delle persone offese poco credibili.
2. La presunta reciprocità delle minacce, che secondo il giudice avrebbe impedito l’integrazione del reato.
3. L’interpretazione di una delle frasi minacciose come non intimidatoria, in quanto formulata in modo negativo.

Insoddisfatto della decisione, il Pubblico Ministero ha presentato ricorso, portando la questione all’attenzione della Corte di Cassazione.

Il Ricorso del Pubblico Ministero e i Vizi della Sentenza

Il Pubblico Ministero ha lamentato una violazione di legge e vizi di motivazione, sostenendo che il ragionamento del Giudice di Pace fosse errato sia in fatto che in diritto. In particolare, si è contestato che la litigiosità tra le parti potesse, da sola, rendere inattendibili le dichiarazioni delle vittime. Inoltre, si è evidenziato che la natura del reato di minaccia non richiede che la vittima si senta effettivamente spaventata, ma solo che la condotta dell’agente sia idonea a incutere timore.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente le argomentazioni del Pubblico Ministero, definendo la motivazione della sentenza impugnata come ‘manifestamente illogica’ e ‘carente di giustificazione’. I giudici supremi hanno smontato punto per punto le tesi del giudice di primo grado.

La Litigiosità non Esclude il Reato di Minaccia

Il punto centrale della decisione è che la conflittualità tra le parti non può essere usata come un’esimente per il reato di minaccia. La Cassazione ha chiarito che l’eventuale atteggiamento minaccioso o provocatorio della persona offesa non influisce sulla sussistenza del delitto. Al massimo, tale comportamento può essere valutato come una circostanza attenuante che diminuisce la gravità del reato, ma non lo elimina.

La Natura del Reato di Pericolo

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: il delitto di minaccia è un ‘reato di pericolo’. Questo significa che per la sua configurazione non è necessario che la vittima provi effettivamente paura. È sufficiente che la minaccia sia potenzialmente idonea a incidere sulla libertà morale della persona offesa, valutata secondo un criterio medio e in base alle circostanze concrete del fatto. Pertanto, l’argomento secondo cui la vittima non si sarebbe spaventata è irrilevante ai fini della sussistenza del reato.

L’Errata Interpretazione delle Frasi

Infine, la Cassazione ha ritenuto ‘priva di senso logico comune’ l’interpretazione del Giudice di Pace riguardo a una delle frasi, formulata in modo negativo. Anche una minaccia espressa in forma ipotetica o negativa può avere un chiaro intento intimidatorio e, come tale, deve essere valutata nel suo contesto complessivo.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione e ha rinviato il caso al Giudice di Pace per un nuovo giudizio. Il nuovo giudice dovrà attenersi ai principi di diritto enunciati, procedendo a una nuova valutazione dei fatti scevra dai vizi logici e giuridici riscontrati. Questa sentenza rafforza l’idea che la tutela della libertà morale è un bene giuridico che non viene meno neanche in contesti di accesa conflittualità interpersonale. Un litigio o una rivalità non possono mai diventare una licenza per minacciare impunemente.

Una preesistente litigiosità tra le parti esclude il reato di minaccia?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la litigiosità tra le parti non esclude la sussistenza del delitto. L’eventuale atteggiamento provocatorio della vittima può al massimo costituire una circostanza che diminuisce la gravità del reato, ma non ne elimina l’esistenza.

Perché il reato di minaccia è considerato un ‘reato di pericolo’?
È un reato di pericolo perché la legge punisce la condotta per la sua potenziale idoneità a ledere la libertà morale della vittima, cioè a incuterle timore. Non è necessario che la vittima si sia effettivamente spaventata; è sufficiente che la minaccia, valutata oggettivamente, fosse in grado di farlo.

La provocazione della vittima rende lecita la minaccia?
No. La provocazione o un eventuale atteggiamento minaccioso da parte della vittima non rende lecita la minaccia subita. Come chiarito dalla Corte, tale comportamento è esterno alla fattispecie del reato commesso dall’imputato e può, eventualmente, essere considerato solo come circostanza attenuante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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