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Reato di minaccia: quando ‘non finisce qui’ è reato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per lesioni e minacce. La Corte ha ribadito che la frase ‘comunque non finisce qui’, sebbene non esplicitamente minacciosa, integra il reato di minaccia quando il contesto e il tono ne rivelano l’intento aggressivo. Inoltre, ha specificato che per i reati di competenza del Giudice di Pace, il ricorso in Cassazione è limitato alla sola violazione di legge e non ai vizi di motivazione.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato di Minaccia: Quando la Frase ‘Comunque non Finisce Qui’ Diventa un Reato

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3006/2024, offre importanti chiarimenti sul reato di minaccia e sui limiti del ricorso per le sentenze emesse dal Giudice di Pace. La decisione analizza come un’espressione apparentemente vaga possa trasformarsi in una minaccia penalmente rilevante a seconda del contesto in cui viene pronunciata.

Il Contesto del Caso Giudiziario

Il caso ha origine da una sentenza del Giudice di Pace di Sulmona, che aveva condannato una persona per i reati di minacce e lesioni personali. La decisione era stata successivamente confermata in appello dal Tribunale di Sulmona. L’imputata ha quindi deciso di presentare ricorso alla Corte di Cassazione, contestando la valutazione dei fatti e la motivazione della sentenza d’appello.

I Motivi del Ricorso e la Decisione della Cassazione

Il ricorso si concentrava principalmente su presunti vizi di motivazione della sentenza impugnata. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha immediatamente evidenziato una questione procedurale fondamentale: le sentenze pronunciate in appello per reati di competenza del Giudice di Pace possono essere impugnate in Cassazione solo per ‘violazione di legge’ e non per vizi di motivazione. Questo significa che la Corte Suprema non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione delle norme di diritto.

Sulla base di questo principio, i motivi del ricorso sono stati ritenuti inammissibili. La Corte ha inoltre giudicato alcuni motivi come intrinsecamente generici, in quanto privi di una puntuale indicazione delle ragioni di diritto che avrebbero dovuto giustificare l’annullamento della sentenza.

Analisi del reato di minaccia

Nonostante l’inammissibilità del ricorso, la Corte ha colto l’occasione per ribadire un importante principio giurisprudenziale relativo al reato di minaccia. Ha confermato che un’espressione come ‘comunque non finisce qui’ può integrare il delitto previsto dall’art. 612 del codice penale.

La Corte ha spiegato che, sebbene la frase non abbia di per sé una connotazione univocamente minacciosa, il suo significato deve essere valutato nel contesto specifico. Elementi come il tono della voce, il momento in cui viene proferita e la ‘cornice di riferimento’ generale possono trasformarla nella prospettazione di un’ulteriore attività aggressiva e illegittima. Ai fini della configurabilità del reato, è irrilevante che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri principali.

Il primo è di natura procedurale: il richiamo alla normativa speciale (art. 39-bis del d.lgs. n. 274/2000) che limita i motivi di ricorso in Cassazione avverso le sentenze d’appello per reati di competenza del Giudice di Pace alla sola violazione di legge. Qualsiasi doglianza relativa alla ricostruzione dei fatti o alla coerenza della motivazione è, quindi, preclusa.

Il secondo pilastro è sostanziale e riguarda l’interpretazione del reato di minaccia. La Corte ha applicato un orientamento consolidato, secondo cui la valutazione della portata minatoria di una frase non può essere astratta, ma deve essere calata nella realtà fattuale del momento. La frase ‘non finisce qui’, pronunciata al culmine di un litigio che ha già portato a lesioni, assume un peso e un significato inequivocabilmente intimidatorio.

Infine, la Corte ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione prevista per i ricorsi dichiarati inammissibili. Non ha invece disposto nulla sulle spese della parte civile, poiché questa non aveva svolto un’attività difensiva attiva nel procedimento di Cassazione.

Conclusioni

L’ordinanza in esame è significativa per due ragioni. In primo luogo, ricorda agli operatori del diritto i precisi limiti procedurali del ricorso in Cassazione per i reati ‘minori’, sottolineando l’importanza di formulare motivi di ricorso basati su specifiche violazioni di norme di diritto. In secondo luogo, offre una lezione pratica sulla valutazione del reato di minaccia: le parole contano, ma il contesto in cui vengono pronunciate è decisivo per determinarne la rilevanza penale. Una frase apparentemente ambigua può diventare una minaccia concreta se inserita in un contesto di ostilità e aggressività, indipendentemente dalla reazione emotiva della vittima.

Una frase come ‘comunque non finisce qui’ può costituire reato di minaccia?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che questa espressione, pur non essendo di per sé esplicitamente minacciosa, integra il reato di minaccia se, valutata nel contesto in cui è stata pronunciata (toni, situazione pregressa, ecc.), prospetta un’ulteriore attività aggressiva e illegittima.

È possibile fare ricorso in Cassazione per un reato di competenza del Giudice di Pace contestando la motivazione della sentenza?
No. La Corte ha chiarito che, per i reati di competenza del Giudice di Pace, il ricorso per cassazione è consentito solo per ‘violazione di legge’ e non per vizi di motivazione. Non è quindi possibile contestare la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito.

Perché l’imputata è stata condannata a pagare una somma alla Cassa delle ammende?
La condanna al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende è una sanzione pecuniaria prevista dalla legge come conseguenza della dichiarazione di inammissibilità di un ricorso. Serve a sanzionare l’uso dello strumento processuale per motivi infondati o non consentiti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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