Reato di Minaccia: Quando la Parola Diventa Crimine?
Il reato di minaccia è una fattispecie che tutela la libertà morale dell’individuo, punendo chi prospetta un danno ingiusto a un’altra persona. Ma cosa succede se la vittima non si spaventa? E quali sono i limiti per contestare una condanna davanti alla Corte di Cassazione? Un’ordinanza recente ha offerto chiarimenti fondamentali su questi aspetti, ribadendo principi consolidati del nostro ordinamento.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dalla condanna di un uomo per il reato di minaccia grave, confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello. L’imputato ha presentato ricorso per Cassazione, sostenendo che la sua condotta non avesse una reale portata intimidatoria e che la configurazione del reato fosse errata. La sua difesa si è concentrata su una diversa interpretazione dei fatti, cercando di dimostrare l’assenza degli elementi costitutivi del reato contestato.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno stabilito che le argomentazioni del ricorrente non riguardavano violazioni di legge, ma si limitavano a proporre una ‘rilettura’ degli elementi di fatto. Questo tipo di valutazione è riservato esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non può essere oggetto di esame in sede di legittimità.
Le Motivazioni: Il Reato di Minaccia come Reato di Pericolo
La Corte ha colto l’occasione per ribadire la natura del reato di minaccia. Si tratta di un ‘reato di pericolo’, il che significa che per la sua configurazione non è necessario che si verifichi un danno effettivo, ovvero che la vittima provi realmente paura. È sufficiente che la condotta sia, in astratto, idonea a incutere timore e a turbare la tranquillità psichica del soggetto passivo.
I Limiti del Ricorso in Cassazione
Un punto centrale della decisione è il confine tra giudizio di fatto e giudizio di diritto. Il ricorso è stato respinto perché basato su ‘mere doglianze in punto di fatto’, ossia un tentativo di ottenere una nuova valutazione delle prove. La Corte di Cassazione, come giudice di legittimità, ha il compito di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non di ricostruire l’accaduto.
L’Irrilevanza dello Stato d’Animo della Vittima per il reato di minaccia
I giudici hanno chiarito in modo inequivocabile che l’effettivo stato d’animo della vittima è irrilevante ai fini della sussistenza del reato. Nel caso specifico, la frase pronunciata dall’imputato, una minaccia di morte in un contesto di forte conflittualità, possedeva una chiara e astratta idoneità intimidatoria. Di conseguenza, il fatto che la condotta non abbia sortito alcun effetto di intimidazione concreto sulla vittima non esclude in alcun modo l’esistenza del reato.
Le Conclusioni
L’ordinanza conferma un principio cardine in materia di reato di minaccia: la legge punisce il potenziale offensivo della condotta, non il suo risultato. La decisione sottolinea che è sufficiente la capacità della minaccia di intimorire una persona ‘media’, a prescindere dalla reazione specifica della vittima. Inoltre, rafforza la distinzione tra i gradi di giudizio, ribadendo che la Corte di Cassazione non è una terza istanza di merito e che i ricorsi devono concentrarsi su questioni di diritto e non su una riconsiderazione dei fatti. Il ricorrente è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché si basava su ‘mere doglianze in punto di fatto’, ovvero contestazioni sulla ricostruzione dei fatti, e mirava a ottenere una nuova valutazione delle prove, attività preclusa alla Corte di Cassazione che si occupa solo di questioni di diritto.
È necessario che la vittima si senta effettivamente spaventata perché si configuri il reato di minaccia?
No. La Corte ha ribadito che il reato di minaccia è un reato di pericolo, per cui è sufficiente la sola attitudine della condotta a intimidire, a prescindere dal fatto che la vittima provi un effettivo stato di timore.
Cosa ha reso la frase pronunciata un reato nel caso specifico?
La frase è stata considerata una minaccia di morte pronunciata in un contesto di forte conflittualità. Questa circostanza, secondo la Corte, conferiva alla frase un’astratta idoneità intimidatoria sufficiente a configurare il reato, indipendentemente dall’effetto concreto sulla vittima.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31714 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31714 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 10/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SERIATE il 29/11/1964
avverso la sentenza del 12/11/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
‘,.
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia che ha confermato la condanna dell’imputato per il reato di minaccia grave di cui all’art. 612, comma 2, cod. pen.;
Considerato che il primo ed unico motivo di ricorso, che denunzia violazione di legge e vizio di motivazione relativamente alla portata intimidatoria e alla configurabilità della minaccia, non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché costituito da mere doglianze in punto di fatto e tendente ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944);
Ritenuto che il suddetto motivo è, altresì, manifestamente infondato in quanto la Corte territoriale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si veda, in particolare, pag. 5) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini dell’affermazione della responsabilità. Il giudice ha chiarito che ai fini della configurabilità della minaccia, trattandosi di un reato di pericolo, è sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire, a prescindere dal fatto che l’agente consegua o meno il suo intento. Nella specie, l’astratta idoneità intimidatoria della frase proferita dal COGNOME è chiaramente desumibile, consistendo in una minaccia di morte pronunciata in un contesto di forte conflittualità. Conseguentemente, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, dalla circostanza che la condotta minatoria del ricorrente non ha sortito alcun effetto di intimidazione nella vittima non discende in alcun modo l’insussistenza del reato;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10 settembre 2025
Il Consiofle esterrsore
Il Presidente’