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Reato di minaccia: quando è reato anche senza timore

Un uomo, assolto in primo e secondo grado per minacce nei confronti di un istruttore di guida, vede la sua sentenza annullata dalla Corte di Cassazione ai soli fini civili. La Corte ha stabilito che per il reato di minaccia è sufficiente che la condotta sia potenzialmente intimidatoria, a prescindere dal reale stato di paura della vittima o dalla rabbia dell’aggressore. La reazione della vittima, che si era rifugiata in auto, dimostrava l’idoneità della minaccia a incutere timore.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Il reato di minaccia: la rabbia non giustifica, basta il pericolo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5940 del 2024, torna a definire i contorni del reato di minaccia, stabilendo principi chiari sulla sua natura di reato di pericolo. In questo tipo di illecito, non è necessario che la vittima provi un effettivo stato di paura, essendo sufficiente che la condotta dell’aggressore sia potenzialmente idonea a incutere timore. La pronuncia chiarisce inoltre l’irrilevanza dello stato emotivo dell’imputato ai fini della configurabilità del delitto.

I fatti del caso: una lite fuori dall’autoscuola

Il caso nasce da un alterco tra un cittadino e un istruttore di guida. Quest’ultimo veniva minacciato con frasi come “ti prendo a schiaffi, a calci, non vali a nulla”. La reazione della persona offesa era stata quella di rifugiarsi all’interno della propria autovettura per proteggersi, mentre l’aggressore tentava inutilmente di aprire la portiera. Nonostante la situazione, l’istruttore, una volta allontanatosi l’imputato, aveva proseguito la propria attività lavorativa con un’altra allieva.

Nei primi due gradi di giudizio, l’imputato era stato assolto con la formula “perché il fatto non sussiste”. I giudici di merito avevano ritenuto che la condotta non integrasse gli estremi del delitto di minaccia, valorizzando lo stato di frustrazione e rabbia dell’imputato e sminuendo la portata intimidatoria delle frasi, anche in considerazione del fatto che la vittima aveva poi continuato a lavorare.

La decisione dei giudici di merito e il ricorso

La parte civile, ritenendo errata la valutazione dei giudici, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione dell’art. 612 del codice penale. Secondo la difesa della persona offesa, il Tribunale aveva erroneamente svalutato la potenzialità intimidatrice delle frasi e la reazione della vittima, che si era chiusa in auto per paura. Inoltre, veniva contestata la rilevanza attribuita allo stato emotivo dell’imputato, considerato un fattore ininfluente per la configurabilità del reato.

L’analisi della Cassazione sul reato di minaccia

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza impugnata ai soli effetti civili. Il punto centrale del ragionamento dei giudici di legittimità risiede nella qualificazione del reato di minaccia come reato di pericolo. Questo significa che la legge non punisce l’evento dannoso (il turbamento psicologico della vittima), ma la semplice esposizione a pericolo della libertà morale della persona.

La valutazione della condotta minacciosa

Perché si configuri il reato, è sufficiente che la minaccia sia potenzialmente idonea a incutere timore in una persona media, tenendo conto delle circostanze concrete del fatto. Non è quindi necessario provare che il soggetto passivo si sia effettivamente sentito intimidito.

L’irrilevanza dello stato d’animo dell’agente

La Corte ha sottolineato come lo stato emotivo dell’aggressore, come rabbia o frustrazione, sia del tutto irrilevante. Il movente che spinge una persona a minacciare non incide sulla portata intimidatoria delle sue parole o dei suoi gesti. La valutazione deve essere oggettiva e basata sull’idoneità della condotta a ledere la libertà psichica altrui.

Le motivazioni della Sentenza

La Corte ha ritenuto illogico il ragionamento del Tribunale. Da un lato, i giudici di merito avevano dato atto che la persona offesa si era rifugiata in auto per proteggersi, un comportamento che palesa una percezione di pericolo. Dall’altro, avevano concluso per l’inidoneità della minaccia a produrre un effetto intimidatorio. Questa, per la Cassazione, è una palese contraddizione. Il fatto che la vittima abbia poi proseguito la sua attività è stato considerato irrilevante, proprio perché la consumazione del reato di pericolo prescinde dalle conseguenze emotive sul soggetto passivo. La condotta si era già perfezionata nel momento in cui la minaccia, potenzialmente lesiva, era stata proferita.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di reato di minaccia: per la sua configurabilità contano l’idoneità potenziale della condotta a intimidire e non l’effettivo timore della vittima o lo stato d’animo dell’aggressore. La decisione della Corte di Cassazione, annullando la sentenza ai fini civili, apre la strada a un possibile risarcimento del danno per la persona offesa, riaffermando che la libertà morale è un bene giuridico tutelato anche da aggressioni verbali dettate da rabbia momentanea.

Per configurare il reato di minaccia, è necessario che la vittima si sia sentita effettivamente spaventata?
No, non è necessario. Essendo un reato di pericolo, è sufficiente che la condotta dell’agente sia potenzialmente idonea a incidere sulla libertà morale della vittima, valutata con un criterio medio e in relazione alle circostanze concrete.

Lo stato di rabbia o frustrazione di chi minaccia può escludere la sua responsabilità penale?
No. Secondo la sentenza, i sentimenti soggettivi dell’agente, come la frustrazione e la rabbia, sono irrilevanti. Il movente dell’azione non incide sulla concreta portata intimidatoria dell’espressione utilizzata.

Se la vittima di una minaccia continua le sue normali attività, significa che il reato non sussiste?
No. Il fatto che la persona offesa prosegua la sua attività lavorativa o quotidiana non è un dato decisivo per escludere il reato, specialmente perché la minaccia è un reato di pericolo che non richiede un concreto turbamento psicologico della vittima.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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