Reato di maltrattamenti: la Cassazione traccia il confine con lo Stalking
Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 29928/2025, offre un chiarimento fondamentale sulla differenza tra il reato di maltrattamenti e quello di atti persecutori (stalking). Il caso analizzato riguarda la condanna di un uomo per maltrattamenti ai danni della sua ex compagna, anche per il periodo successivo alla fine della loro convivenza. La Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha stabilito un principio cardine: senza convivenza, non può esserci maltrattamento ai sensi dell’art. 572 c.p.
I Fatti del Caso
L’imputato era stato ritenuto colpevole del delitto di maltrattamenti per una serie di condotte vessatorie nei confronti della sua ex partner. La Corte d’Appello aveva confermato la condanna, includendo nel perimetro del reato anche i comportamenti tenuti dall’uomo dopo che la relazione e la coabitazione erano terminate. Il ricorso in Cassazione si è fondato proprio su questo punto: l’errata applicazione della norma incriminatrice a un contesto fattuale che non ne rispettava più i presupposti.
La Decisione della Corte: Annullamento con Rinvio
La Sesta Sezione Penale della Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio. La decisione si basa su una rigorosa interpretazione della legge penale, volta a tutelare il principio di legalità e tassatività sancito dall’art. 25 della Costituzione.
Le Motivazioni: il confine tra maltrattamenti e stalking
Le motivazioni della sentenza sono cruciali per comprendere la distinzione tra le due fattispecie di reato. La Corte sottolinea che il reato di maltrattamenti, previsto dall’art. 572 del codice penale, presuppone necessariamente un rapporto qualificato tra l’autore e la vittima, come un legame familiare o una relazione di convivenza. Questo legame crea una posizione di supremazia o di affidamento che viene abusata attraverso condotte vessatorie abituali.
Quando la convivenza cessa, viene meno il presupposto fondamentale del reato. Le eventuali condotte persecutorie successive, pur essendo penalmente rilevanti, non possono più essere qualificate come maltrattamenti. Esse devono, invece, essere valutate alla luce di un’altra norma: l’art. 612-bis c.p., che punisce gli atti persecutori (stalking). Questa norma, infatti, è stata introdotta proprio per coprire quelle situazioni in cui le molestie e le minacce reiterate provochino un grave stato d’ansia o di paura nella vittima, a prescindere dall’esistenza di una convivenza.
La Corte richiama anche un intervento della Corte Costituzionale, ribadendo che in materia penale è vietata qualsiasi interpretazione analogica in malam partem, ovvero un’interpretazione che estenda l’applicazione di una norma a sfavore dell’imputato oltre il suo significato letterale. Applicare l’art. 572 c.p. a un ex convivente costituirebbe una violazione di tale divieto.
Le Conclusioni: l’importanza della corretta qualificazione giuridica
La sentenza in esame riafferma con forza un principio di civiltà giuridica: la necessità di rispettare la lettera della legge penale per garantire la certezza del diritto. La distinzione tra reato di maltrattamenti e stalking non è un mero formalismo, ma risponde a logiche e beni giuridici differenti. La decisione della Cassazione impone ai giudici di merito un’attenta valutazione del contesto relazionale in cui si inseriscono le condotte. Per il periodo successivo alla cessazione della convivenza, la condotta dell’imputato dovrà essere nuovamente esaminata per verificare se essa integri gli estremi del reato di stalking, con tutte le conseguenze che ne derivano anche in termini di rideterminazione della pena.
È possibile essere condannati per maltrattamenti verso un ex partner dopo la fine della convivenza?
No, la sentenza chiarisce che il reato di maltrattamenti (art. 572 c.p.) presuppone un rapporto di convivenza o familiare. Una volta cessata la convivenza, tale reato non è più configurabile per le condotte successive.
Quale reato si configura per le condotte persecutorie dopo la fine di una relazione?
Le condotte persecutorie o moleste commesse dopo la fine della convivenza possono integrare il reato di atti persecutori (stalking), previsto dall’art. 612-bis del codice penale, ma non quello di maltrattamenti.
Perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza precedente?
La Corte ha annullato la sentenza perché il giudice precedente ha erroneamente applicato la norma sul reato di maltrattamenti a un periodo in cui la convivenza tra le parti era già terminata, violando il principio di tassatività della legge penale, che vieta interpretazioni estensive a sfavore dell’imputato.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 29928 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 6 Num. 29928 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 29/05/2025
SESTA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 761/2025 UP – 29/05/2025 R.G.N. 9192/2025
– Relatore – ha pronunciato la seguente
Sul ricorso proposto da:
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
¨ indispensabile, infatti, rispettare la lettera della norma incriminatrice di diritto sostanziale in argomento e non modificarne la portata operativa in termini tali da formulare opzioni applicative fondate su soluzioni che rispondono ad una logica di interpretazione analogica in malam partem , non consentita in materia penale. In tale contesto Ł significativa la presa di posizione della Corte costituzionale che, nell’esaminare una specifica questione processuale avente ad oggetto l’art. 521 cod. proc. pen., ha evidenziato il rischio che l’esercizio del relativo potere da parte del giudice possa determinare una violazione del principio di tassatività sancito dall’art. 25 Cost., che impone che ‘in materia penale il possibile significato letterale della legge fissa il limite estremo della sua legittima interpretazione’. Ciò la Consulta ha fatto proprio con riferimento al rapporto tra le due norme incriminatrici previste dagli artt. 572 e 612bis c od. pen., sottolineando come ‘il divieto di analogia in malam partem impon(ga) di chiarire se il rapporto affettivo dipanatosi nell’arco di qualche mese e caratterizzato da permanenze non continuative di un partner nell’abitazione dell’altro possa già considerarsi, alla stregua dell’ordinario significato di questa espressione, come una ipotesi di ‘convivenza’ …(e se)… davvero possa sostenersi che la sussistenza di una (tale) relazione consenta di qualificare quest’ultima come persona appartenente alla medesima ‘famiglia’ dell’imputato (…). In difetto di una tale dimostrazione, l’applicazione dell’art. 572 cod. pen. in casi siffatti – in luogo dell’art. 612bis , secondo comma, cod. pen., che pure contempla espressamente l’ipotesi di condotte commesse a danno di persona
3.Seguendo questa impostazione, la motivazione della sentenza impugnata Ł errata nella parte in cui ha sostenuto che il delitto di cui all’art. 572 cod. pen. fosse configurabile per le condotte tenute dall’odierno ricorrente in danno della ex compagna nel periodo in cui era cessata la loro convivenza: periodo con riferimento al quale andrà valutata la possibilità di qualificare i fatti ai sensi dell’art. 612bis cod. pen., con ogni conseguenza di legge in ordine alla rideterminazione della pena per il reato del capo.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.
Il Presidente NOME COGNOME