Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 35359 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 35359 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 28/11/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, AVV_NOTAIO COGNOME in difesa di NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento la Corte d’assise d’appello di Roma nel riformare la pronuncia dalla Corte di assise di Roma emessa il 29 settembre 2022 nei confronti di NOME COGNOME e di altri appartenenti al RAGIONE_SOCIALE per una serie di azioni avvenute nel cors del 2019, confermava la responsabilità dell’imputato per Io specifico episodio oggetto esclusi dell’odierna impugnazione, avvenuto 1’8 febbraio 2019 e qualificato fin dalla sentenza di pri grado in termini di imbrattannento di cose altrui (art.639 c.p.) anziché di danneggiamen (art.635 c.p.). La Corte d’assise d’appello procedeva altresì alla rideterminazione della pena confronti dell’imputato.
Con il ricorso per cassazione la Difesa dell’imputato deduce violazione di legge (art.606 le b c.p.p.) in relazione alla lettura costituzionalmente orientata del combinato disposto d articoli 635 e 639 c.p. nonché mancanza della motivazione (art.606 lett. e c.p.p.).
Si lamenta che la Corte d’assise d’appello, nel ribadire la condanna dell’imputato per l’episo avvenuto nelle prime ore dell’8 febbraio 2019 a Teramo, non abbia effettuato una interpretazione
sistematica volta a garantire la compatibilità concettuale tra le due norme menzionate tali addivenire alla conclusione, ermeneuticamente imposta dall’articolo 3 Cost., per cui la nozion di “beni immobili” di cui al comma 2 dell’articolo 639 c.p. non possa identificarsi con que cui all’articolo 812 c.c., bensì debba essere intesa quale espressione impropria ovvero frutto una formulazione legislativa atecnica e piuttosto debba corrispondere alla sola nozione di ben immobile come dettagliatamente esplicitato dall’articolo 635 comma 2 numero 1 c.p..
In difetto, si chiede la rimessione della questione alla Corte Costituzionale, per violazion principio di ragionevolezza.
Con comunicazione inviata per mail, l’AVV_NOTAIO, quale difensore e procurator speciale di RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE – oggi RAGIONE_SOCIALE – rappresentava che il presen procedimento trae origine dal ricorso per Cassazione presentato avverso la sentenza n. 39/23 emessa in data 28 novembre 2022 dalla Corte di Assise di Appello di Roma dall’imputato NOME COGNOME nei cui confronti RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE non erano costituite parti civili. Da mancata comparizione in udienza, nonostante la notificazione del decreto di fissazione dell’udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile poiché fondato su motivi non consentiti.
Occorre evidenziare che la questione sollevata nel ricorso non era stata sottoposta al giudi d’appello ove, a pg. 7, nulla osservando sulla qualificazione giuridica dei fatti si limi contestazione alla ascrivibilità degli stessi all’interessato, cosicché costituisce una no questa sede. Non essendo stata precedentemente formulata, la proposizione in questa sede costituisce una violazione della catena devolutiva, in spregio del combinato disposto degli a 606 comma 3 e 609 comma 2 c.p.p. in forza del quale non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili in ogni stato e grado del giudizio o di questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in gra d’appello. Tale regola trova la ratio nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricors non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di grav (Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, COGNOME, Rv. 256631).
In tema, si è anche stabilito (Sez. 4, Sentenza n. 4853 del 03/12/2003, Rv. 229373 – 01) che le questioni di diritto sostanziale possono essere sollevate per la prima volta davanti alla di Cassazione – così venendo meno la preclusione per le violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello – sempre che si tratti di deduzioni di pura legittimità o di questioni diritto insorte dopo il giudizio di secondo grado in forza di ius superveniens o di modificazione della disposizione normativa di riferimento conseguente all’intervento demolitorio o addit della Corte costituzionale (Sez.V, 21 luglio 1998, n.4911, Rillo). Si tratta di un orientam consolidato, confermato in diverse decine di pronunce, da ultimo n. 33243 del 26/01/2024, n.13126 del 09/06/2023, n. 20019 del 18/01/2023…
Nel caso concreto, non ricorrendo le predette condizioni, il motivo non è consentito.
Né si può dedurre la carenza di motivazione, come pure si legge nel ricorso giacché il giudi di merito non ha l’onere di motivare l’interpretazione del diritto: sono espressione di principio le lettere b) e c) dell’art. 606 c.p.p., le quali si riferiscono all’inosservanza e applicazione della legge e non fanno alcun riferimento al percorso logico-argomentativo de giudice, a differenza della successiva lettera e), che si riferisce, però, alla motivazione r ai profili di fatto (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Imp. RAGIONE_SOCIALE, Rv. 280027 – 05).
La tardiva sollevazione della questione prospettata dalla difesa rende astratta la questio sui rapporti tra le norme menzionate più sopra (art.635 e 639 c.p.) ed in particolare s lamentata incostituzionalità del disposto del secondo comma dell’art.639 c.p. che, secondo l tesi difensiva, in maniera del tutto irrazionale punisce più severamente l’imbrattamento rispe alle condotte di danneggiamento, in principio più gravi, contemplate dall’art.635 c. disposizione idonea, in tesi difensiva, a fungere da tertium comparationis (pg.7).
Sennonché la questione è posta in maniera errata, tale da risultare manifestamente infondata. Infatti, essa opera una comparazione tra gli effetti delle condotte (di imbrattamento, da lato, e di danneggiamento, dall’altro) giudicando in via di principio le seconde (ci danneggiamento) più gravi poiché destinate ad avere un impatto maggiore, e più duraturo oltre che più costoso, sulle res attinte dalla condotta. Dimenticando, tuttavia, che l’in sé della condotta di imbrattamento o deturpamento, cioè la ragione per cui è criminalizzata, non è affat costituita dal quantum dell’impatto della azione sulla cosa, ma piuttosto, verrebbe da dire, da quommodo, ritenendosi meritevoli di repressione e di sanzione penale condotte che incidono anche solo sull’esteriorità del bene, provocandone la deturpazione, a ricordarci che per la nost civilizzazione categorie come ordine e decoro costituiscono al tempo stesso un limite alla libe individuale ma altresì la stella polare del suo progresso. In tal senso, si è affermato in pron di questa stessa Sezione (Sez. 2, n. 29018 del 07/06/2018, Prn/EI Dabdouby, Rv. 272979 – 01; Sez. 2, n. 2768 del 02/12/2008 Varsalona Rv. 242708 – 01) che la ragione della criminalizzazione ex art. 639 c.p. è il pregiudizio dell’estetica e della pulizia che deriva dall’imbrattamento, dei costi di ripristino (che possono essere anche modesti), ed il conseguente senso di disgust e di ripugnanza che ciò causa nei cittadini. Si è detto appropriatamente che ‘il deturpamento incide sull’estetica della cosa’ mentre Tinnbrattamento nuoce alla “nettezza” della cosa’ (Sez. n. 5828 del 24/10/2012, Pm/Baschier, Rv. 255241 – 01), ad indicare concetti che parlano all’anima piuttosto che al portafoglio.
L’equiparazione dei reati sul piano meramente ‘finale’, quasi dei costi di ripristino, costi pertanto un errore prospettico che rende, ab origine, la questione manifestamente infondata.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condan del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese pro e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 10 luglio 2024 Il Consig ere relatore La Presidente