Reato di evasione: non basta essere nella provincia autorizzata
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto fondamentale riguardo al reato di evasione, specificando che per integrare il delitto è sufficiente trovarsi in un luogo diverso da quello precisamente autorizzato, anche se ci si trova all’interno della stessa provincia. Questa decisione ribadisce il rigore con cui la legge interpreta le autorizzazioni concesse a chi è sottoposto a misure restrittive della libertà personale.
I Fatti del Caso: La Condanna per Evasione
Il caso esaminato riguarda un individuo che, pur essendo autorizzato a lasciare il proprio domicilio per recarsi al lavoro in una specifica località nella provincia di Salerno, è stato trovato dalle forze dell’ordine in un altro luogo. Sebbene si trovasse ancora nel territorio della provincia di Salerno, non era presso il posto di lavoro per cui aveva ottenuto l’autorizzazione. Per questo motivo, era stato condannato per il reato di evasione sia in primo grado che in appello.
Il Ricorso in Cassazione e il concetto di reato di evasione
L’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, sostenendo che la sua condotta non potesse configurare il reato di evasione. La sua tesi si basava sul fatto che l’autorizzazione a recarsi nella provincia di Salerno per lavoro dovesse essere intesa in senso ampio, coprendo la sua presenza in qualsiasi punto del territorio provinciale. A suo avviso, non essendosi allontanato dalla provincia, non aveva violato le prescrizioni imposte.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo completamente la tesi difensiva. I giudici hanno sottolineato che il motivo del ricorso era privo di specificità, in quanto si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già esaminate e correttamente respinte dalla Corte d’Appello.
La motivazione della Suprema Corte è chiara e netta: l’autorizzazione a svolgere attività lavorativa concessa a una persona agli arresti domiciliari è strettamente legata al luogo specifico indicato nel provvedimento del giudice. Non si tratta di un’autorizzazione generica a muoversi liberamente all’interno di un’area geografica più vasta, come una provincia.
La Corte ha ribadito che il delitto di evasione si integra pienamente nel momento in cui il soggetto viene trovato in un luogo diverso da quello presso il quale è autorizzato a svolgere l’attività lavorativa. L’essenza della prescrizione non è limitare la persona a una provincia, ma vincolarla a un percorso e a una destinazione ben precisi, funzionali esclusivamente all’esigenza lavorativa autorizzata.
Di conseguenza, la Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, ritenendo la motivazione della sentenza d’appello corretta ed esaustiva. A causa dell’inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione
Questa ordinanza serve come importante monito per chiunque sia sottoposto a misure restrittive con autorizzazioni specifiche. Le prescrizioni del giudice devono essere osservate con la massima precisione e scrupolosità. Un’interpretazione estensiva o ‘elastica’ delle autorizzazioni, come quella tentata dal ricorrente, non è ammessa e conduce inevitabilmente a una condanna per il reato di evasione. La decisione sottolinea che il controllo del rispetto delle misure restrittive si basa sulla verifica puntuale di luoghi e orari, elementi essenziali per garantire la finalità della misura stessa.
È sufficiente trovarsi nella provincia autorizzata per evitare il reato di evasione dal lavoro?
No, non è sufficiente. Secondo la Corte, il delitto di evasione si configura quando il soggetto viene trovato in un luogo diverso da quello specifico presso cui è autorizzato a svolgere l’attività lavorativa, anche se si trova all’interno della stessa provincia.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché considerato privo di specificità. In pratica, l’imputato si è limitato a riproporre le stesse argomentazioni già adeguatamente esaminate e respinte con motivazioni corrette dal giudice del merito (la Corte d’Appello).
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23958 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23958 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 12/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a FARDELLA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/10/2023 della CORTE APPELLO di SALERNO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe;
esaminati gli atti e il provvedimento impugNOME;
premesso che il 29 febbraio 2024 è pervenuta istanza, nell’interesse del ricorrente, di trattazione orale ma l’istanza è inammissibile, vertendosi in tema di procedimento ex art. 611 cod. pen.;
ritenuto che il motivo dedotto con il ricorso – con cui si censura la motivazione della sentenza impugnata in relazione alla configurabilità del reato di evasione, dal momento che il ricorrente, autorizzato a recarsi al lavoro nella provincia di Salerno, era stato rinvenuto comunque nel territorio di Salerno, pur se in luogo diverso da quello lavorativo – è privo di specificità, in quanto riproduttivo di doglianza già adeguatamente vagliata e disattesa con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito;
considerato, invero, che, la Corte d’appello, con motivazione corretta ed esaustiva, ha ritenuto, alla luce delle risultanze probatorie, che fosse pienamente integrato il delitto di evasione, configurabile là dove il soggetto sia rivenuto in luogo diverso rispetto a quello presso il quale è autorizzato a svolgere attività lavorativa (cfr. pag. 4);
ritenuto che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della Cassa delle ammende, non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/4/2024