Reato di Evasione: Quando la Semplice Volontà di Trasgredire Porta alla Condanna
L’ordinanza in commento offre un’importante precisazione sui requisiti necessari per la configurazione del reato di evasione, disciplinato dall’art. 385 del Codice Penale. La Corte di Cassazione, con una decisione netta, ha ribadito come la consapevolezza di essere sottoposti a una misura restrittiva e la volontà di violarla siano sufficienti per integrare il delitto, senza necessità di indagare su ulteriori motivazioni. Questa pronuncia chiarisce la natura dell’elemento psicologico richiesto e le conseguenze di un ricorso che si limita a riproporre censure già respinte.
I Fatti del Caso
Un individuo, precedentemente condannato per il reato di evasione, presentava ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello. Il ricorso si fondava su due motivi principali. In primo luogo, il ricorrente sosteneva la mancanza dell’elemento psicologico del reato, ovvero del dolo. In secondo luogo, lamentava il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del Codice Penale, che avrebbe potuto escludere l’applicazione della pena.
La Decisione della Corte di Cassazione e il reato di evasione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione, sebbene di natura processuale, si fonda su considerazioni sostanziali molto chiare che confermano l’orientamento consolidato della giurisprudenza in materia di reato di evasione. La Corte ha smontato entrambi i motivi di ricorso, giudicandoli manifestamente infondati e meramente riproduttivi di doglianze già esaminate e rigettate nei precedenti gradi di giudizio.
Le Motivazioni della Sentenza
La Corte ha basato la sua decisione su due pilastri argomentativi distinti.
Il primo motivo, relativo alla sussistenza dell’elemento psicologico, è stato ritenuto infondato perché per il reato di evasione è sufficiente il cosiddetto dolo generico. Questo significa che non è richiesta una finalità specifica (come la volontà di fuggire definitivamente o di commettere altri reati), ma basta la semplice consapevolezza di essere sottoposti a una misura che limita la libertà personale (come gli arresti domiciliari) e la volontà cosciente di violare le prescrizioni imposte. La Corte ha sottolineato che, una volta accertata questa consapevolezza e volontà, il dolo è pienamente integrato.
Il secondo motivo, riguardante la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, è stato liquidato come meramente riproduttivo. La Corte ha osservato che il ricorrente non aveva introdotto nuovi elementi o argomentazioni giuridiche valide, ma si era limitato a ripresentare le stesse censure già adeguatamente esaminate e respinte con motivazioni corrette dal giudice di merito. In sede di legittimità, non è possibile chiedere una nuova valutazione dei fatti, ma solo contestare vizi di legge o di motivazione della sentenza impugnata.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale in materia di reato di evasione: la responsabilità penale scatta con la semplice e cosciente violazione delle prescrizioni restrittive. Non rilevano le ragioni o i motivi che spingono il soggetto a trasgredire; ciò che conta è la rottura volontaria del vincolo imposto dall’autorità giudiziaria. Dal punto di vista processuale, la decisione serve da monito: un ricorso per cassazione deve basarsi su vizi specifici della sentenza impugnata e non può essere una semplice riproposizione di argomenti già respinti, pena la declaratoria di inammissibilità e la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Quali elementi sono necessari per configurare il reato di evasione secondo la Cassazione?
Per configurare il reato di evasione è sufficiente il dolo generico, che consiste nella consapevolezza del soggetto di trovarsi in uno stato restrittivo della libertà personale e nella volontà di trasgredire le prescrizioni imposte da tale stato.
Perché il motivo di ricorso sulla particolare tenuità del fatto è stato respinto?
Il motivo è stato respinto perché considerato meramente riproduttivo di censure già adeguatamente esaminate e disattese dal giudice di merito con corretti argomenti giuridici. Il ricorso non ha introdotto nuovi profili di censura validi.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito nel provvedimento (in questo caso, tremila euro).
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21236 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21236 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/09/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
n. 402/24 Porretto
OSSERVA
Visti gli atti e la sentenza impugnata (condanna per il reato di cui all’ art. 385 cod. pe
Esaminati i motivi di ricorso;
Ritenuto che le doglianze contenute nel primo motivo di ricorso GLYPH attinenti alla sussistenza dell’elemento psicologico – sono manifestamente infondate, in quanto per il reat di cui all’art. 385 cod. pen. è sufficiente il dolo generico che risulta integr consapevolezza di trovarsi nello stato restrittivo e dalla volontà di trasgredire le presc imposte da tale stato;
Ritenuto che il secondo motivo di impugnazione, avente ad oggetto l’omesso riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., risulta meramente riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito (v. pag. 3);
Rilevato, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma cli euro tremila in favor della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processua e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 17/05/2024