Reato di Evasione: Quando i Motivi Personali non Escludono il Dolo
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di reato di evasione, previsto dall’art. 385 del codice penale. Con la decisione in esame, i giudici supremi hanno chiarito che, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo, le motivazioni personali che spingono un individuo a violare le misure restrittive sono del tutto irrilevanti. L’unica cosa che conta è la consapevolezza di trasgredire.
Il Contesto del Ricorso in Cassazione
Il caso trae origine da una sentenza della Corte d’Appello che aveva confermato la condanna di un soggetto per il reato di evasione. L’imputato, ritenendo ingiusta la decisione, ha proposto ricorso per Cassazione basandolo, tra l’altro, su una presunta errata valutazione del dolo. A suo dire, i giudici di merito non avrebbero considerato adeguatamente le ragioni che lo avevano indotto a violare le prescrizioni, ragioni che, secondo la sua tesi difensiva, avrebbero dovuto escludere la sua piena consapevolezza e volontà di commettere il reato.
La Decisione della Suprema Corte sul Reato di Evasione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicando i motivi presentati come manifestamente infondati. La Corte ha sottolineato come il ricorrente non avesse adeguatamente contestato la ricostruzione dei fatti e del diritto operata dalla Corte d’Appello, la quale aveva fornito una motivazione logica e coerente per la condanna.
L’Irrilevanza dei Motivi nella Configurazione del Dolo
Il punto centrale della pronuncia riguarda l’elemento psicologico del reato di evasione. I giudici hanno affermato in modo inequivocabile che il dolo richiesto dalla norma consiste unicamente nella coscienza e volontà di sottrarsi alle misure imposte. Non è necessario un fine specifico né assumono rilevanza i motivi personali, per quanto possano apparire validi o comprensibili dal punto di vista umano. La Corte ha stabilito che la piena consapevolezza del ricorrente di violare le prescrizioni era sufficiente a integrare il dolo, rendendo superflua ogni indagine sulle sue motivazioni interiori.
Le Motivazioni della Cassazione
L’ordinanza ha specificato che le censure mosse dal ricorrente riguardo al dolo erano inconferenti. Testualmente, la Corte ha affermato che “a nulla rilevando i motivi che hanno determinato la condotta dell’agente”. Il giudice di appello, secondo la Cassazione, aveva correttamente riconosciuto la piena consapevolezza del ricorrente di sottrarsi agli obblighi imposti, e tale valutazione era sufficiente a fondare il giudizio di colpevolezza. Pertanto, la manifesta infondatezza del motivo di ricorso ha portato a una declaratoria di inammissibilità.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
La conseguenza diretta della decisione è stata la conferma definitiva della condanna. Oltre a ciò, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso: chi è sottoposto a misure restrittive della libertà personale ha il dovere di rispettarle scrupolosamente. Le giustificazioni personali, anche se dettate da necessità o urgenze, non possono essere invocate per escludere la responsabilità penale per il reato di evasione, la cui consumazione richiede solo la volontà cosciente di violare la misura.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi addotti sono stati ritenuti manifestamente infondati. In particolare, non contestavano efficacemente la sentenza impugnata e sollevavano questioni irrilevanti, come le motivazioni personali alla base della condotta.
Ai fini del reato di evasione, contano i motivi per cui una persona viola le prescrizioni?
No. Secondo la Corte di Cassazione, i motivi che spingono una persona a evadere sono irrilevanti per la configurazione del reato. Ciò che conta è la consapevolezza e la volontà di sottrarsi alla misura restrittiva imposta.
Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente a seguito della decisione della Cassazione?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e a versare la somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21264 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21264 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/06/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RG 677/24 – COGNOME NOME
OSSERVA
I motivi dedotti in relazione alla condanna per il reato di cui all’art. 385 cod. pen. sono inammissibili perché manifestamente infondati.
In particolare, il primo motivo non si confronta con la sentenza impugnata che dà correttamente conto degli elementi di fatto e di diritto posti a base della ritenuta responsabilità del ricorrente. A conclusioni analoghe deve giungersi con riferimento al secondo motivo di ricorso, che censura la sentenza impugnata in relazione al dolo, a nulla rilevando i motivi che hanno determinato la condotta dell’agente.
Il giudice di appello, dunque, ha correttamente affermato la piena consapevolezza del ricorrente di sottrarsi alle prescrizioni impostegli, con conseguente manifesta infondatezza del relativo motivo di ricorso.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17/05/2024