Reato di Evasione: Quando l’Allontanamento dal Domicilio Diventa Reato?
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 46934/2024, è tornata a pronunciarsi su un tema delicato e di grande rilevanza pratica: il reato di evasione dalla detenzione domiciliare. Questa decisione chiarisce due aspetti fondamentali per la configurabilità del reato: l’elemento soggettivo del dolo e la durata dell’allontanamento. Comprendere questi principi è cruciale per chiunque si trovi a scontare una pena in regime di detenzione domiciliare.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da una persona condannata dalla Corte d’Appello per il reato di evasione, previsto dall’articolo 385 del Codice Penale. La ricorrente era stata ammessa alla misura della detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario. Nel suo ricorso per Cassazione, la difesa ha sollevato due principali motivi di contestazione: in primo luogo, ha sostenuto la mancanza di dolo, ovvero dell’intenzione di commettere il reato; in secondo luogo, ha affermato che l’allontanamento dal domicilio, per essere penalmente rilevante, avrebbe dovuto avere una durata superiore alle dodici ore.
Il Reato di Evasione e la Decisione della Corte
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le argomentazioni difensive. I giudici hanno ritenuto i motivi addotti non consentiti in sede di legittimità. In particolare, hanno definito l’argomento relativo alla mancanza di dolo come ‘puramente assertivo’ e ‘generico’, mentre quello sulla durata dell’allontanamento è stato giudicato ‘manifestamente infondato’. La Corte ha quindi condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Sentenza
La decisione si fonda su principi consolidati in giurisprudenza. Per quanto riguarda l’elemento psicologico, la Cassazione ha ribadito che il dolo nel reato di evasione è generico e si esaurisce nella ‘consapevole violazione della prescrizione di non allontanarsi dal domicilio’. In altre parole, non è necessario dimostrare un fine specifico o una volontà di sottrarsi definitivamente alla pena; è sufficiente che il soggetto sia cosciente di violare l’obbligo imposto dal giudice.
Ancora più netta è stata la posizione della Corte sulla questione della durata dell’allontanamento. I giudici hanno specificato che il requisito di una durata minima (come le dodici ore) non trova alcuna applicazione nella fattispecie della detenzione domiciliare ex art. 47-ter ord. pen. La norma che prevede tale limite temporale si riferisce ad altre situazioni e non può essere estesa analogicamente. Di conseguenza, anche un allontanamento di breve durata può integrare il reato, poiché ciò che conta è la rottura del vincolo imposto dall’autorità giudiziaria. A supporto di questa interpretazione, la Corte ha richiamato un proprio precedente (Sez. 4, n. 16182 del 2018).
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame conferma un orientamento rigoroso sul reato di evasione. Le implicazioni pratiche per chi è sottoposto a detenzione domiciliare sono chiare e inequivocabili. Qualsiasi allontanamento volontario e non autorizzato dall’abitazione, a prescindere dalla sua durata e dalle sue motivazioni, può configurare il reato. La ‘scusa’ di essere usciti solo per poco tempo o la mancanza di un piano di fuga elaborato non sono sufficienti a escludere la responsabilità penale. Questa decisione serve da monito: il rispetto delle prescrizioni imposte dal regime di detenzione domiciliare deve essere assoluto, poiché la loro violazione, anche minima, comporta conseguenze penali severe, inclusa la possibile revoca della misura alternativa al carcere.
Cosa si intende per ‘dolo’ nel reato di evasione?
Per il reato di evasione, il dolo consiste semplicemente nella consapevole e volontaria violazione della prescrizione di non allontanarsi dal proprio domicilio. Non è necessario provare un’intenzione ulteriore, come quella di fuggire definitivamente.
Esiste una durata minima dell’allontanamento perché si configuri il reato di evasione dalla detenzione domiciliare?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che, nel caso di detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario, non è richiesta una durata minima dell’allontanamento. Anche un’assenza di breve durata può integrare il reato.
Cosa succede se i motivi di un ricorso in Cassazione sono ritenuti ‘generici’ o ‘manifestamente infondati’?
Se la Corte di Cassazione giudica i motivi del ricorso come generici, puramente assertivi o manifestamente infondati, dichiara il ricorso inammissibile. Ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46934 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46934 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 25/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a PRATO il 02/05/1981
avverso la sentenza del 14/06/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso di COGNOME sentite le parti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che i motivi dedotti avverso la sentenza di condanna per il reato di evasione (art. 385 cod. pen.) non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità, perché puramente assertivi della esistenza di vizi in punto di configurabilità del dolo che, in relazione al reato in esame, è generico e, dunque, si esaurisce nella consapevole violazione della prescrizione di non allontanarsi dal domicilio. E’, inoltre, manifestamente infondato il motivo secondo cui la durata dell’allontanamento, ai fini della configurabilità del reato di evasione, deve essere superiore a dodici ore, che non trova applicazione alla fattispecie, come quella in esame, in cui la condannata è stata ammesso all’esecuzione domiciliare della pena detentiva ai sensi dell’art. 47-ter, ord. pen. (cfr. Sez. 4, n. 16182 del 13/12/2018, dep. 2019, Rv. 275579);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 25 novembre 2024
La consigliera réltrice
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