Reato di Evasione: Quando l’Autorizzazione è Indispensabile
L’ordinanza della Corte di Cassazione analizza un caso significativo relativo al reato di evasione, chiarendo i confini tra l’errore scusabile e la consapevole violazione delle prescrizioni. La vicenda riguarda un individuo agli arresti domiciliari che si era allontanato dalla propria abitazione per svolgere un’attività lavorativa, ritenendo, a suo dire, di essere nel giusto. La Suprema Corte, tuttavia, ha confermato la condanna, stabilendo principi ferrei sulla necessità di un’autorizzazione esplicita.
I Fatti del Caso
Il ricorrente era sottoposto alla misura degli arresti domiciliari e si era allontanato dalla sua abitazione per prendere parte a un’attività lavorativa inserita in un progetto di inclusione sociale. La sua difesa ha sostenuto che l’allontanamento fosse avvenuto in buona fede, attribuendo l’accaduto a una presunta mancanza di coordinamento tra il Tribunale di Sorveglianza e gli assistenti sociali responsabili del progetto.
La Tesi Difensiva: Violazione degli Artt. 42 e 43 del Codice Penale
La difesa ha basato il ricorso sulla violazione degli articoli 42 e 43 del codice penale, che disciplinano l’elemento soggettivo del reato (dolo e colpa). Si è tentato di accreditare la tesi secondo cui il ricorrente avesse agito in buona fede, convinto di poter svolgere l’attività lavorativa esterna senza commettere un illecito. Questa convinzione, secondo la difesa, sarebbe derivata dalla natura stessa del progetto di reinserimento e da un deficit comunicativo tra gli organi di controllo.
La Configurazione del Reato di Evasione per la Cassazione
La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente la tesi difensiva. I giudici hanno sottolineato come il ricorso si basasse su una ricostruzione dei fatti, un’operazione non consentita in sede di legittimità. La Corte d’Appello aveva già fornito una motivazione logica e completa, non attaccabile in Cassazione, per ritenere l’imputato colpevole.
Le Motivazioni della Decisione
Il punto cruciale della decisione risiede nella storia pregressa del ricorrente. Egli si era già reso responsabile, in altre quattro occasioni, del medesimo reato di evasione. Questa circostanza, secondo la Corte, dimostrava in modo inequivocabile che il soggetto era perfettamente a conoscenza della procedura da seguire: per potersi allontanare dalla propria abitazione in orari o per motivi diversi da quelli già specificamente autorizzati, era indispensabile una preventiva autorizzazione dell’autorità giudiziaria. La pretesa buona fede è stata quindi ritenuta insussistente, poiché la reiterazione del comportamento illecito escludeva qualsiasi forma di errore scusabile. L’appello è stato quindi dichiarato inammissibile.
Le Conclusioni
L’ordinanza rafforza un principio fondamentale in materia di misure cautelari: la responsabilità di ottenere le necessarie autorizzazioni ricade interamente sulla persona sottoposta alla misura. Non è possibile invocare la buona fede o presunte mancanze organizzative dell’apparato statale per giustificare la violazione delle prescrizioni. La Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e a una sanzione pecuniaria, ribadendo che chi è agli arresti domiciliari ha l’obbligo di conoscere e rispettare scrupolosamente le regole imposte, soprattutto se ha già violato le stesse in passato.
È possibile giustificare il reato di evasione se ci si allontana da casa per svolgere un’attività lavorativa autorizzata in linea di principio?
No. Secondo la Corte, anche se l’attività lavorativa è parte di un progetto di inclusione, è necessaria un’autorizzazione specifica dell’autorità giudiziaria per allontanarsi in orari o per motivi diversi da quelli già espressamente concessi.
La presunta mancanza di coordinamento tra Tribunale di Sorveglianza e assistenti sociali può giustificare la violazione degli arresti domiciliari?
No. La Corte ha ritenuto irrilevante la presunta mancanza di coordinamento, affermando che la responsabilità di richiedere e ottenere l’autorizzazione preventiva ricade sempre sul soggetto sottoposto alla misura, il quale non può agire autonomamente.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni della difesa sono state considerate un tentativo di riesaminare i fatti del caso, operazione non permessa in sede di Cassazione. Inoltre, la motivazione della corte d’appello è stata giudicata logica, completa e non sindacabile, avendo già chiarito che i precedenti penali specifici dell’imputato escludevano la sua buona fede.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 15183 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 15183 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/03/2023 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di SASSARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminato il ricorso di COGNOME NOME
OSSERVA
Ritenuto che il motivo con cui si deduce violazione degli artt. 42 e 43 cod. pen. è declin in fatto nella parte in cui la difesa tenta di accreditare che il ricorrente, a causa di manc coordinamento tra il Tribunale di Sorveglianza e gli assistenti sociali, fosse stato in buona nel momento in cui si era allontanato dall’abitazione per svolgere attività lavorativa affere progetto di inclusione sociale, avendo la Corte territoriale, con motivazione logica e comp insindacabile in sede di legittimità, spiegato le ragioni che portavano a ritenere che Zo resosi responsabile in altre quattro occasioni del delitto di evasione, sapesse di d previamente richiedere l’autorizzazione all’autorità giudiziaria onde potersi allontanare da in orario e per motivi differenti da quelli per cui era stato già autorizzato;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore dell Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 05/02/2024.