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Reato di evasione: autorizzazione e buona fede

Un soggetto agli arresti domiciliari, condannato per il reato di evasione, ha sostenuto di aver agito in buona fede allontanandosi per un progetto lavorativo. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando la condanna. Secondo i giudici, l’imputato, già responsabile di precedenti evasioni, era pienamente consapevole di dover richiedere una specifica autorizzazione per qualsiasi uscita non prevista, rendendo la sua difesa infondata e il ricorso inammissibile.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato di Evasione: Quando l’Autorizzazione è Indispensabile

L’ordinanza della Corte di Cassazione analizza un caso significativo relativo al reato di evasione, chiarendo i confini tra l’errore scusabile e la consapevole violazione delle prescrizioni. La vicenda riguarda un individuo agli arresti domiciliari che si era allontanato dalla propria abitazione per svolgere un’attività lavorativa, ritenendo, a suo dire, di essere nel giusto. La Suprema Corte, tuttavia, ha confermato la condanna, stabilendo principi ferrei sulla necessità di un’autorizzazione esplicita.

I Fatti del Caso

Il ricorrente era sottoposto alla misura degli arresti domiciliari e si era allontanato dalla sua abitazione per prendere parte a un’attività lavorativa inserita in un progetto di inclusione sociale. La sua difesa ha sostenuto che l’allontanamento fosse avvenuto in buona fede, attribuendo l’accaduto a una presunta mancanza di coordinamento tra il Tribunale di Sorveglianza e gli assistenti sociali responsabili del progetto.

La Tesi Difensiva: Violazione degli Artt. 42 e 43 del Codice Penale

La difesa ha basato il ricorso sulla violazione degli articoli 42 e 43 del codice penale, che disciplinano l’elemento soggettivo del reato (dolo e colpa). Si è tentato di accreditare la tesi secondo cui il ricorrente avesse agito in buona fede, convinto di poter svolgere l’attività lavorativa esterna senza commettere un illecito. Questa convinzione, secondo la difesa, sarebbe derivata dalla natura stessa del progetto di reinserimento e da un deficit comunicativo tra gli organi di controllo.

La Configurazione del Reato di Evasione per la Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente la tesi difensiva. I giudici hanno sottolineato come il ricorso si basasse su una ricostruzione dei fatti, un’operazione non consentita in sede di legittimità. La Corte d’Appello aveva già fornito una motivazione logica e completa, non attaccabile in Cassazione, per ritenere l’imputato colpevole.

Le Motivazioni della Decisione

Il punto cruciale della decisione risiede nella storia pregressa del ricorrente. Egli si era già reso responsabile, in altre quattro occasioni, del medesimo reato di evasione. Questa circostanza, secondo la Corte, dimostrava in modo inequivocabile che il soggetto era perfettamente a conoscenza della procedura da seguire: per potersi allontanare dalla propria abitazione in orari o per motivi diversi da quelli già specificamente autorizzati, era indispensabile una preventiva autorizzazione dell’autorità giudiziaria. La pretesa buona fede è stata quindi ritenuta insussistente, poiché la reiterazione del comportamento illecito escludeva qualsiasi forma di errore scusabile. L’appello è stato quindi dichiarato inammissibile.

Le Conclusioni

L’ordinanza rafforza un principio fondamentale in materia di misure cautelari: la responsabilità di ottenere le necessarie autorizzazioni ricade interamente sulla persona sottoposta alla misura. Non è possibile invocare la buona fede o presunte mancanze organizzative dell’apparato statale per giustificare la violazione delle prescrizioni. La Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e a una sanzione pecuniaria, ribadendo che chi è agli arresti domiciliari ha l’obbligo di conoscere e rispettare scrupolosamente le regole imposte, soprattutto se ha già violato le stesse in passato.

È possibile giustificare il reato di evasione se ci si allontana da casa per svolgere un’attività lavorativa autorizzata in linea di principio?
No. Secondo la Corte, anche se l’attività lavorativa è parte di un progetto di inclusione, è necessaria un’autorizzazione specifica dell’autorità giudiziaria per allontanarsi in orari o per motivi diversi da quelli già espressamente concessi.

La presunta mancanza di coordinamento tra Tribunale di Sorveglianza e assistenti sociali può giustificare la violazione degli arresti domiciliari?
No. La Corte ha ritenuto irrilevante la presunta mancanza di coordinamento, affermando che la responsabilità di richiedere e ottenere l’autorizzazione preventiva ricade sempre sul soggetto sottoposto alla misura, il quale non può agire autonomamente.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni della difesa sono state considerate un tentativo di riesaminare i fatti del caso, operazione non permessa in sede di Cassazione. Inoltre, la motivazione della corte d’appello è stata giudicata logica, completa e non sindacabile, avendo già chiarito che i precedenti penali specifici dell’imputato escludevano la sua buona fede.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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