Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25533 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25533 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Zagarolo il 17/10/1986
avverso la sentenza emessa in data 12/12/2024 dalla Corte di appello di Roma;
lette le conclusioni scritte depositate in data 05/05/2025 dal Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto declaratoria di inammissibilità del visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME ricorso;
preso atto che il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME non ha depositato conclusioni scritte.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma confermava la pronuncia emessa in data 09/07/2024 dal Tribunale di Tivoli che, all’esito di
giudizio dibattimentale, aveva dichiarato COGNOME NOME responsabile dei delitti di estorsione tentata e consumata in danno di NOME COGNOME con conseguente irrogazione della pena di anni tre mesi sei di reclusione ed euro 1.000,00 di multa, previa esclusione della contestata recidiva reiterata e riconoscimento di attenuanti generiche.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 521 del codice di rito.
Rileva il ricorrente che l’imputazione consta di due distinti capi di accusa rispetto ai quali il Tribunale, prima, e la Corte di appello, poi, avrebbero effettuato una ‘commistione’, con conseguente riqualificazione giuridica e violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
2.2.Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. la violazione dell’art. 192 del codice di rito con riferimento al giudizio di responsabilità.
Considerando distintamente i fatti di cui al capo A) e quelli di cui al capo B) ed avuto riguardo alle risultanze probatorie, emerge l’insussis tenza del reato di estorsione.
Quanto all’elemento costitutivo della minaccia, non vi è prova della coartazione della volontà della persona offesa e del conseguente effetto intimidatorio: dagli atti emerge esclusivamente un rapporto di amicizia tra l’imputato e NOME COGNOME e la circostanza che COGNOME si recava presso l’esercizio commerciale gestito da quest’ultimo in stato di alterazione alcolica ed arrecava disturbo; il testimone NOME COGNOME nulla ha riferito in ordine alle richieste di denaro avanzate dall’imputato nei co nfronti del figlio NOME
Quanto all’elemento soggettivo, tutti gli episodi contestati sono accomunati dalla medesima circostanza e cioè dalla condizione alcolica che ha inciso sulla coscienza e volontà delle condotte serbate.
2.3. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 133 cod. pen. con riferimento al mancato riconoscimento della attenuante della lieve entità.
Rileva il ricorrente che nel caso di specie i fatti addebitati hanno un disvalore ridotto (essendosi trattato, nella sostanza, di un consumo gratuito di cibi e bevande) e non vi è traccia in atti della circostanza- valorizzata dai giudici di meritoche la minaccia posta in essere da COGNOME sia consistita nella rappresentazione di legami con ambienti criminali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Il primo motivo relativo alla inosservanza del principio di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado non è consentito , ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen ., in quanto doglianza non dedotta con l’atto di appello .
La medesima censura mossa con riguardo all’operato della Corte territoriale è manifestamente infondata.
Non si vede infatti in cosa sarebbe consistita la violazione del disposto di cui all’art. 521 cod. proc. pen. da parte del collegio di merito che ha confermato il giudizio di responsabilità per i fatti, così come contestati dalla pubblica accusa e cioè per le reiterate estorsioni descritte al capo A (il consumo gratuito di cibi e vivande realizzato, in varie occasioni, previa minacce) alle quali si erano accompagnati ulteriori ripetuti tentativi estorsivi di somme di denaro, contemplati nell’addebito sub B), condotte illecite unificate nel vincolo della continuazione interna ed esterna.
Il secondo motivo di ricorso non è consentito con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 192 cod. proc. pen.
Va richiamato e ribadito l’orientamento di legittimità secondo il quale le doglianze relative alla violazione del l’art. 192 cod. proc. pen. , riguardanti la valutazione delle risultanze probatorie, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge (Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 271294; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567). Di recente, anche le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito detto principio, affermando che non è «consentito il motivo di ricorso con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e ), cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e ), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. c ), cod. proc. pen., ed in difetto di una espressa sanzione di inutilizzabilità, nullità, inammissibilità, decadenza» (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027-04, in motivazione).
La doglianza può semmai essere esaminata solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione che in questa sede, tuttavia, è stato solo genericamente dedotto in
quanto, seppure l’intestazione del motivo di ricorso contenga il richiamo all’art. 606, comma 1 lett. e), del codice di rito, nel corpo del testo non è esplicitata la censura che si intende muovere al percorso argomentativo esplicitato dalla Corte territoriale.
In ogni caso, la motivazione è esaustiva e aderente alle risultanze probatorie e con essa il ricorrente non si confronta, limitandosi a riproporre pedissequamente in questa sede le deduzioni contenute nell’atto di appello ( peraltro riferite al solo capo A) di imputazione) e già compiutamente disattese dai giudici di secondo grado.
Il Collegio di merito (pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata) ha richiamato le convergenti dichiarazioni di NOME COGNOME e quelle del di lui padre (la cui attendibilità non era contestata) dalle quali emergeva che il consumo di cibi e bevande (come anche le ulteriori richieste di denaro) erano state accompagnate da esplicite minacce che avevano coartato la volontà delle stesso COGNOME inducendolo a non pretendere il corrispettivo; ha evidenziato, in risposta alle censure della difesa appellante, pedissequamente riproposte in questa sede, che il rapporto di amicizia tra l’imputato e la persona offesa non elideva la rilevanza penale delle condotte e che lo stato di alterazione alcolica non valeva ad escludere il dolo di reato, ma semmai, per come descritto dalla persona offesa, delineavano uno stato di ubriachezza abituale integrante l’ aggravante (ancorchè non contestata) di cui all’art. 94 cod. pen.
Manifestamente infondato è, infine, il terzo motivo di ricorso con il quale si censura il mancato riconoscimento della attenuante della lieve entità.
Con apparato giustificativo congruo e puntualmente aderente ai parametri valutativi espressamente indicati nella sentenza della Corte Costituzionale n. 120 del 24 maggio 2023, la Corte di appello (pag. 6 della sentenza impugnata) ha escluso l’invocata dimi nuente, con considerazioni in fatto non sindacabili in questa sede, compiendo una valutazione complessiva delle azioni estorsive messe in atto dall’imputato che – a prescindere dal valore economico dei beni di cui si era impadronito dietro minaccia – aveva avanzato richieste di denaro di significativa entità ed aveva comunque serbato, in ogni occasione, un atteggiamento prevaricatore contraddistinto da plurime insistenti minacce di danni gravi anche verso i familiari della persona offesa ( ‘ non ti pago perché questa e zona mia e comando io ‘, ‘ ti faccio chiudere la macelleria, la incendio, uccido tutti ‘ ).
Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio e al versamento della somma di euro tremila in favore
della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il giorno 21/05/2025