Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26041 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26041 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 09/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a PESCOSANSONESCO il 08/12/1954 NOME COGNOME nata in POLONIA il 07/12/1961 avverso la sentenza del 26/09/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi e l’annullamento della sentenza con rinvio alla Corte d’appello competente, per nuovo giudizio; ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto dagli artt. 610, comma 5, e 611, comma 1 bis, e segg. cod. proc. pen..
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento, la Corte d’appello di L’Aquila ha parzialmente riformato la sentenza pronunciata il 17 ottobre 2023 dal Tribunale di Chieti con cui i ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati condannati alla pena di giustizia per il reato di estorsione commesso ai danni di NOME COGNOME La sentenza d’appello applicava nei confronti della donna la circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., procedendo alla riduzione nei suoi confronti della pena e confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza d’appello hanno presentato ricorso per Cassazione sia Collecorvino che COGNOME.
2.1 n primo ha affidato l’impugnazione a quattro motivi.
Con il primo motivo si lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 393 cod. pen..
Si evidenzia che la Corte ha omesso di fornire qualsivoglia motivazione sulla richiesta di riqualificazione del fatto in termini di esercizio arbitrario delle propr ragioni ex art. 393 cod. pen.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione di norme processuali nonché vizio di motivazione (art. 606 lett. c ed e, cod. proc. pen.) in relazione al contenuto delle trascrizioni del DVD prodotto all’udienza del 17 novembre 2020.
La Corte non si è confrontata con il motivo d’appello che contestava l’utilizzabilità di una registrazione introdotta nel procedimento di primo grado ed utilizzata da entrambi i giudici per motivare la responsabilità degli imputati.
Con il terzo motivo di ricorso si contesta violazione di legge penale e vizio di motivazione (art. 606, lett. b ed e, cod. proc. pen.) per l’errato calcolo della pena pecuniaria, diminuita a seguito dell’applicazione dell’art. 62 bis cod. pen., ma in misura inferiore a quella applicata per la pena detentiva.
Infine, con il quarto ed ultimo motivo, si deduce vizio di motivazione in relazione all’omessa applicazione (ed omessa motivazione) della circostanza attenuante della particolare tenuità del fatto, ex sent. C. Cost 120/2023, pur se menzionata nell’atto di appello.
2.2 Anche NOME COGNOME formula quattro motivi di ricorso.
Il primo, incentrato sul vizio motivazionale (art, 606 lett. e, cod proc. pen.) relativamente all’affermazione di responsabilità, ne contesta la validità in quanto basata sull’interpretazione, per nulla univoca, di una unica frase attribuita alla donna, senza che alcun ulteriore elemento corrobori la conclusione della compartecipazione della donna, nemmeno denunciata dalla persona offesa, alla condotta estorsiva.
Il secondo motivo ricalca la corrispondente doglianza del coimputato, contestando, nel prisma della violazione di legge processuale (art. 606, lett. c, cod. proc. pen.), l’utilizzabilità della registrazione acquisita nel corso del processo.
Il terzo motivo attiene alla violazione di legge ed al vizio motivazionale in cui è incorsa la sentenza nell’applicare la pena pecuniaria che, a fronte della applicazione della attenuante ex art. 114 cod. pen., con conseguente riduzione della pena detentiva, risulta notevolmente aumentata (addirittura di 7 volte) rispetto a quella comminata in primo grado, in totale assenza di giustificazione e di motivazione.
Infine, il quarto motivo contesta, sotto il profilo dell’omessa motivazione (art. 606 lett. e, cod. proc. pen.) la carenza motivazionale sulla particolare tenuità dell’estorsione, in relazione alla pronuncia n. 120 del 24 maggio 2023 della Corte Costituzionale.
Il Sostituto Procuratore generale ha inviato memoria ove conclude per l’accoglimento dei ricorsi e l’annullamento della sentenza con rinvio per ulteriore corso. Con memoria pervenuta il 29 aprile 2025, la difesa dell’imputato ha ribadito la richiesta di accoglimento del ricorso e di conseguente annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I due ricorsi vanno respinti in quanto basati su motivi in parte ripetitivi, in parte infondati.
La circostanza che ci si trovi, in relazione alla affermazione di responsabilità degli imputati, di fronte ad una ‘doppia conforme’, vale a dire a due sentenze di merito leggibili congiuntamente, costituendo un unico corpo decisionale, richiamando la seconda, la prima, ed adottando esse i medesimi criteri ricostruttivi (cfr., Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218), consente di ‘attingere’ al patrimonio conoscitivo comune.
In tal senso, a fronte della concisione ricostruttiva che caratterizza la seconda pronuncia, ne va valorizzata ed apprezzata la puntualità nel cogliere i tratti essenziali della vicenda, riassunti a pg. 5 della motivazione in termini sostanzialmente coincidenti con quanto la sentenza del Tribunale aveva già affermato. Ciò vale, in particolare, in relazione alla sussistenza di un rapporto lavorativo durato solo pochi mesi, esclusivamente tra la persona offesa e la COGNOME, da cui viene dedotta implicitamente, quale ineludibile precipitato logico, la insussistenza di qualsivoglia lecita pretesa economica da parte del Collecorvino e della badante e quindi la non configurabilità della condotta in termini di esercizio arbitrario delle proprie ragioni piuttosto che di estorsione (primo motivo di entrambi i ricorsi). Infatti, dovendosi riguardare la condotta nella sua interezza, non potendo essere essa diversamente qualificata a seconda che la pretesa di pagamento provenisse dall’uomo (del tutto sfornito di titolo a pretendere alcunché) o dalla donna (che avendo lavorato come badante poteva al più pretendere il pagamento del mese di giugno 2018, importo che il COGNOME aveva dichiarato di essere disponibile a riconoscere, oltre ad uno ‘scivolo’ per il
rilascio dell’immobile, quantificato dalla persona offesa in C 3.000,00), del tutto corretto è l’apprezzamento che ne fa la Corte d’appello che conclude nel senso dell’ “evidente … concorso – della Figatowska, n.d.r. – nella attività sicuramente estorsiva del Collecorvino”.
Ed a conferma della natura estorsiva delle pretese avanzate dalla coppia degli imputati, vi è la richiesta di una ulteriore somma di denaro, formulata in epoca successiva, per il rilascio dell’immobile. In relazione alla quale, se è corretta l’affermazione che la circostanza esuli dal perimetro dell’imputazione (ed in effetti a tal fine non è stata considerata ai fini della determinazione della pena né ancor prima, ai fini della affermazione della responsabilità) essa può certamente essere utilizzata per la ricostruzione complessiva della vicenda e la comprensione tanto dell’elemento oggettivo, come soggettivo del reato.
Né, in relazione a quest’ultimo profilo, possono trovare accoglimento le deduzioni del secondo motivo (comune ad entrambi i ricorsi), relativo alla pretesa invalidità o inutilizzabilità delle trascrizioni del DVD prodotto all’udienza 17 novembre 2020, considerato che tali doglianze non erano state oggetto di devoluzione in secondo grado, poiché nessun motivo dei due atti di appello (quello di Collecorvino e quello della Figatowska) le menziona. Formulate per la prima volta in questa sede, esse costituiscono un nuvum che viola la catena devolutiva. Deve trovare, in proposito, applicazione la regola ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, c.p.p. – secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado d giudizio o di questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello. Essa trova la ratio nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame (Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, COGNOME, Rv. 256631).
3. Anche il terzo motivo ed il quarto motivo di entrambi i ricorsi, che per diversi profili ‘attaccano’ la decisione impugnata in relazione alle determinazioni sanzionatorie, risultano infondati, dato che pretendono di portare in questa sede una censura non consentita all’esercizio della discrezionalità riservata in questo ambito al giudice di merito. È noto, infatti, che il trattamento sanzionatorio, sotto ogni aspetto, dalla quantificazione della pena alla valutazione e comparazione delle circostanze, dalla applicazione dei benefici alla continuazione, è riservato esclusivamente al giudice di primo e di secondo grado, i quali operano valutazioni che risultano immuni dallo scrutinio di legittimità, se si risolvono in giudizi privi di contraddizioni o di illogicità manifeste.
Pertanto, in relazione all’imputata, che ha beneficiato della applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. per il ruolo minore nella vicenda, conseguendo una pena di poco superiore ai due anni di reclusione, non appare manifestamente illogico che, nell’ambito di un trattamento complessivamente più mite, si sia voluto irrogare una pena pecuniaria superiore a quella irrogata in primo grado, ‘spostando’ l’effetto sanzionatorio dalla privazione di libertà (sicuramente più afflittiva) alla sanzione incidente sul patrimonio della imputata. Va in proposito ribadito che non viola il divieto di reformatio in peius la sentenza d’appello che riduca la pena detentiva inflitta in primo grado ed aumenti quella pecuniaria se, operato il ragguaglio di quest’ultima ai sensi dell’art. 135 cod. pen., l’entità finale della pena non risulti superiore a quella complessivamente irrogata dal giudice di primo grado (Sez. 4, n. 16994 del 16/03/2023, Wang, Rv. 284565 – 01). In relazione a quest’ultimo aspetto, a fronte di una pena non illegale e che pertanto non ‘attiva’ i poteri ufficiosi di questa Corte, va poi evidenziata la genericità della doglianza difensiva, che non si cura di dimostrare, con opportuno calcolo di ragguaglio (ex art. 135 cod. pen.), il superamento, da parte della pena pecuniaria, ove convertita e cumulata a quella detentiva, della pena originariamente irrogata, escludendosi anche per tale ragione la fondatezza della pretesa difensiva.
Quanto alla doglianza avanzata dal Collecorvino, in ordine ad un presunto errore di calcolo presente nella motivazione, in relazione alla pena pecuniaria, ridotta, rispetto alla pena base, in misura inferiore al terzo indicato in motivazione, la Corte rileva come, pur a fronte del segnalato ‘disallineamento’ tra pena indicata in dispositivo e la formula di calcolo espressa nella motivazione, il contrasto, secondo i principi ermeneutici assolutamente prevalenti, non determina nullità della sentenza, ma si risolve con la logica prevalenza dell’elemento decisionale su quello giustificativo (Sez. 6, n. 7980 del 01/02/2017, COGNOME, Rv. 269375 – 01).
Infine, entrambi i ricorsi lamentano l’omissione motivazionale in relazione alla istanza, formulata nei rispettivi appelli, di applicazione della circostanza attenuante della estorsione di lieve entità, come introdotta dalla giurisprudenza pretoria della Corte Costituzionale (sent. 120 del 2023).
Anche in questo caso, le doglianze non possono trovare accoglimento, per le seguenti ragioni:
in relazione alla COGNOME, si rileva che il motivo è inammissibile, perché formulato esclusivamente in questa sede, mentre poteva (e doveva) essere formulata fin dal primo grado (la sentenza del tribunale di Chieti è successiva, di qualche mese, rispetto alla pronuncia della Corte Costituzionale) o, al più tardi, con l’atto di appello. Risulta pertanto spezzata la catena devolutiva, posto che, in base al dettato dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., “il ricorso è inammissibile
se è proposto … per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello”;
– quanto al motivo di COGNOME, esso è inammissibile per genericità
‘derivata’, pur avendo la motivazione della sentenza del tutto omesso di trattare il punto sollevato dal ricorso. Occorre considerare, infatti, che il motivo è stato
formulato nell’atto di appello in maniera del tutto aspecifica, senza alcun riferimento a precisi argomenti a favore della meritevolezza dell’invocata
diminuente. La citata sentenza della Corte Costituzionale, tuttavia, fa esplicito riferimento ai parametri che potrebbero costituire il supporto razionale della
applicazione della attenuante, che non può essere invocata senza farne riferimento, fornendone puntuale giustificazione. Nel caso concreto, il motivo,
posto in fondo all’atto di appello, fa generico riferimento ad un paragrafo precedente, omettendo qualsivoglia precisazione. Di qui, la genericità per
aspecificità del motivo.
Ebbene, è principio pacifico che l’inammissibilità dell’atto di appello per difetto di specificità dei motivi possa essere rilevata anche in Cassazione ai sensi
dell’art. 591, comma 4, cod. proc. pen. (cfr., Sez. 2, n. 36111 del 09/06/2017, PG
in proc. P, Rv. 271193 – 01). Con il corollario che debba ritenersi inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile ab origine, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 6, n. 47722 del 6/10/2015, COGNOME, Rv. 265878 – 01; Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263157 – 01).
Per queste ragioni, i ricorsi vanno respinti. Al rigetto dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Il Consi liere r latore Così deciso il 9 maggio 2025
Il Presidente