Il Reato di Calunnia e i Limiti del Ricorso in Cassazione
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’opportunità di approfondire il reato di calunnia e i confini del giudizio di legittimità. Il caso analizzato riguarda due persone che, dopo essere state condannate per aver falsamente denunciato lo smarrimento di alcuni titoli, hanno visto il loro ricorso dichiarato inammissibile. Vediamo perché.
I Fatti del Caso: Una Denuncia Strumentale
La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di due individui per il reato di calunnia, previsto dall’art. 368 del codice penale. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, i due avevano presentato una denuncia per lo smarrimento di alcuni titoli di pagamento. Tuttavia, questa denuncia non corrispondeva al vero: si trattava, in realtà, di una mossa strumentale finalizzata a non adempiere a un’obbligazione di pagamento. La Corte d’Appello aveva confermato la condanna, ritenendo le prove, in particolare le dichiarazioni della persona offesa, sufficienti a dimostrare l’intento calunnioso.
Il Ricorso in Cassazione e il reato di calunnia
Contro la sentenza d’appello, gli imputati hanno proposto ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione. In sostanza, hanno cercato di sostenere che i giudici dei gradi precedenti avessero interpretato male le prove e che la dinamica dei fatti non fosse stata adeguatamente considerata. Il loro obiettivo era ottenere dalla Suprema Corte una rilettura delle risultanze processuali, sperando in un esito diverso.
La Decisione della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La decisione si fonda su principi cardine del nostro sistema processuale.
I Motivi di Fatto non sono Ammissibili in Cassazione
Il punto centrale della decisione è che i motivi presentati dai ricorrenti non denunciavano un errore di diritto, ma erano “svolti in fatto”. Essi chiedevano alla Cassazione di fare ciò che non le compete: riesaminare le prove e sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito. La Suprema Corte ha il compito di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non di ricostruire i fatti come in un terzo grado di giudizio.
L’irrilevanza dell’Assoluzione per Truffa
Un altro aspetto interessante è che, nel corso del procedimento, gli imputati erano stati assolti dall’accusa di truffa. La Corte ha sottolineato come questa assoluzione fosse irrilevante ai fini della configurabilità del reato di calunnia. Si tratta di due reati distinti, con presupposti differenti, e l’insussistenza di uno non esclude automaticamente l’altro.
La Questione della Reformatio in Pejus
Infine, i ricorrenti avevano sollevato la violazione del divieto di reformatio in pejus (il divieto di peggiorare la pena in appello). Questo perché il giudice di secondo grado aveva revocato il beneficio della pena sospesa concesso in primo grado. La Cassazione ha ritenuto il motivo “manifestamente infondato”, spiegando che la revoca del beneficio, quando disposta ai sensi dell’art. 164, comma 4, cod. pen., non costituisce una violazione di tale principio.
Le Motivazioni
La Suprema Corte ha chiarito che i tentativi di ottenere un riesame del merito fattuale di una causa non sono ammissibili in sede di legittimità. Le argomentazioni dei ricorrenti sono state considerate un tentativo di ottenere proprio questo, piuttosto che evidenziare autentici errori di diritto nella sentenza impugnata. La Corte d’Appello aveva già fornito una motivazione logica e sufficiente per confermare la condanna per il reato di calunnia, basandosi sulle prove acquisite, in particolare sulla testimonianza della vittima. Inoltre, la Corte ha ribadito il principio consolidato secondo cui la revoca della sospensione condizionale della pena, in presenza di specifiche condizioni di legge, non costituisce una violazione del divieto di reformatio in pejus.
Le Conclusioni
L’ordinanza rafforza un principio fondamentale della procedura penale: la netta distinzione tra il ruolo dei tribunali di merito (che valutano i fatti e le prove) e quello della Corte di Cassazione (che garantisce la corretta applicazione della legge). Un imputato non può utilizzare il ricorso in Cassazione per richiedere semplicemente un “terzo processo” sui fatti. La decisione offre anche un importante chiarimento pratico sull’applicazione del principio di reformatio in pejus riguardo alla revoca di benefici come la sospensione condizionale della pena, confermando che tale revoca, se legalmente prevista, è legittima.
Denunciare falsamente lo smarrimento di titoli per non pagare un debito costituisce reato di calunnia?
Sì, secondo questa ordinanza, se la falsa denuncia di smarrimento viene utilizzata per accusare implicitamente il creditore di un reato che non ha commesso (ad esempio, una pretesa illegittima) e chi denuncia è consapevole dell’innocenza di quest’ultimo, si configura il reato di calunnia.
Se vengo assolto dal reato di truffa, posso essere comunque condannato per calunnia nello stesso procedimento?
Sì, la Corte ha chiarito che l’assoluzione dal reato di truffa è irrilevante per la sussistenza del reato di calunnia. Si tratta di due illeciti distinti con elementi costitutivi diversi, quindi la mancanza di uno non esclude l’altro.
La revoca della sospensione condizionale della pena in appello viola il divieto di peggiorare la sentenza?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che la revoca del beneficio della pena sospesa, se disposta in conformità con la legge (in questo caso, l’art. 164, comma 4, del codice penale), non viola il divieto di reformatio in pejus.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 44445 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 44445 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 25/10/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a POLLA il 15/03/1994 NOME COGNOME nato a EBOLI il 07/08/1989
avverso la sentenza del 27/02/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi dei ricorsi di COGNOME Martina e NOME COGNOME dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che i comuni motivi dedotti avverso la sentenza con la quale, è stata confermata la condanna dei ricorrenti per il reato di calunnia (art. 368 cod. pen.), declinati sotto la denuncia del vizio di motivazione, sono in realtà svolti in fatto e volti a sollecitare alla Corte di cassazione la rilettura delle risultanze di prova che, invece, la Corte di appello ha esaminato e ritenuto idonee a confermare la condanna.
In particolare, la Corte di appello ha valorizzato le dichiarazioni rese dalla persona offesa, destinataria dei titoli denunciati smarriti, ed evidenziato come la dinamica dei fatti fosse adeguata a ritenere strumentale al mancato pagamento la denuncia di smarrimento.
Irrilevante, ai fini del perfezionamento del reato, l’assoluzione dal reato di truffa di cui non sono stati ritenuti sussistenti, anche in ragione degli accordi convenuti tra le parti, gli estremi.
Manifestamente infondato è il motivo di ricorso che denuncia violazione del divieto di reformatio in pejus che non si estende alla fattispecie in cui, come nel caso in esame, la revoca del beneficio della pena sospesa, riconosciuto in primo grado, sia stata disposta ai sensi dell’art. 164, comma 4, cod. pen. ( cfr. notizia di decisione su questione devoluta alle S.U., udienza del 30 maggio 2024, ricorrente COGNOME).
Rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 25 ottobre 2024