Reato di Calunnia: Quando Simulare un’Aggressione Diventa Falsa Accusa
L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sul reato di calunnia, specificando i contorni della cosiddetta calunnia ‘reale’ o ‘indiretta’. La Corte di Cassazione si è pronunciata sul caso di un individuo che, dopo essersi procurato una ferita, ha tentato di far ricadere la colpa sui propri fratelli, mettendo in moto la macchina della giustizia contro degli innocenti. Questa decisione sottolinea come la simulazione delle tracce di un crimine sia di per sé sufficiente a integrare il delitto, con conseguenze procedurali e sostanziali di grande rilievo.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria ha origine dal ricorso presentato da un uomo condannato per calunnia. L’imputato si era autoinferto una ferita da taglio al braccio e aveva poi denunciato di essere stato aggredito dai suoi fratelli. La sua versione dei fatti era stata raccolta in un’annotazione di polizia giudiziaria. In sede di ricorso per cassazione, la difesa sosteneva l’inutilizzabilità di tale annotazione, poiché non sottoscritta dall’imputato, e lamentava l’assenza di un procedimento penale effettivamente avviato a carico dei fratelli accusati.
L’Analisi della Corte sul Reato di Calunnia
La Corte di Cassazione ha respinto tutte le argomentazioni difensive, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. I giudici hanno chiarito diversi principi fondamentali applicabili in materia di reato di calunnia.
In primo luogo, è stato ribadito che la simulazione di tracce di un reato a carico di altri configura pienamente la calunnia nella sua forma ‘indiretta’. Non è necessario sporgere una formale denuncia; è sufficiente portare a conoscenza dell’autorità giudiziaria circostanze idonee a indicare un innocente come responsabile di un reato. In questo contesto, il fatto che l’annotazione di servizio non fosse stata firmata dall’imputato è stato ritenuto irrilevante.
In secondo luogo, la Corte ha smontato la tesi difensiva sull’inutilizzabilità delle dichiarazioni. Le norme procedurali invocate (artt. 64 e 350, co. 7, c.p.p.) tutelano la persona indagata. Nel caso di specie, l’imputato non aveva reso dichiarazioni come indagato, ma come presunta persona offesa. Pertanto, tali garanzie non erano applicabili alla sua narrazione dei fatti, finalizzata proprio a ingannare gli inquirenti.
Le Motivazioni della Decisione
La Suprema Corte ha basato la sua decisione su pilastri giuridici solidi. Ha evidenziato che la calunnia è un reato di pericolo, il che significa che il delitto si perfeziona nel momento in cui sorge il rischio che si avvii un procedimento penale contro un innocente. Non è necessario che tale procedimento venga effettivamente instaurato. L’argomento difensivo sull’assenza di procedimenti a carico dei fratelli era, quindi, del tutto infondato.
Un ulteriore motivo di inammissibilità è stato individuato nella genericità del ricorso. La difesa si era limitata a riproporre le stesse censure già ampiamente e logicamente motivate dalla Corte d’Appello, senza un reale confronto critico con la sentenza impugnata. Questo modo di agire, secondo la giurisprudenza consolidata, equivale a una mancata specificazione dei motivi e rende l’impugnazione non scrutinabile nel merito.
Infine, le considerazioni sviluppate in una memoria successiva sono state giudicate meramente reiterative degli argomenti già esposti, senza aggiungere nuovi elementi utili alla discussione.
Le Conclusioni
L’ordinanza riafferma con forza che chi simula un reato per accusare un innocente commette il grave delitto di calunnia, anche senza una denuncia formale. La decisione chiarisce che lo status di ‘presunta vittima’ non offre uno scudo contro le responsabilità penali derivanti da dichiarazioni mendaci. Dal punto di vista processuale, viene confermato un principio fondamentale: un ricorso in Cassazione deve essere specifico e confrontarsi criticamente con la decisione impugnata, altrimenti rischia una secca declaratoria di inammissibilità. La condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della cassa delle ammende rappresenta la diretta conseguenza di un’impugnazione ritenuta priva di fondamento.
Simulare le tracce di un reato per accusare qualcun altro è sufficiente per configurare il reato di calunnia?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che la simulazione di tracce di reato a carico di una persona integra di per sé il reato di calunnia nella forma della cosiddetta ‘incolpazione indiretta o reale’.
Le garanzie previste per le dichiarazioni di un indagato si applicano a chi si presenta come vittima ma sta mentendo?
No. Secondo la Corte, le tutele previste dagli artt. 64 e 350 c.p.p. sono destinate all’indagato. Chi rende dichiarazioni presentandosi come persona offesa di un reato, anche se sta mentendo per accusare altri, non può invocarle a proprio favore.
Cosa comporta presentare un ricorso in Cassazione che si limita a ripetere argomenti già respinti in appello?
Un ricorso di questo tipo viene considerato generico e, di conseguenza, inammissibile. La legge richiede che l’impugnazione si confronti in modo specifico e critico con le motivazioni della sentenza precedente. L’inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33051 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33051 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a FICARRA il 19/01/1958
avverso la sentenza del 01/12/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
ritenuto che il motivo dedotto in merito alla eccepita inutilizzabilità dell’annotazione di P.G. attestante la versione dei fatti resa dall’imputato sulla ferita da taglio sul braccio è manifestamente infondata, atteso che la simulazione di tracce di reato a carico di altri integra di per sé il reato di calunnia, nella forma della incolpazione c.d. reale o indiretta, con conseguente irrilevanza che l’annotazione di p.g. non sia stata sottoscritta dall’imputato, essendo sufficiente che siano portate a conoscenza dell’autorità giudiziaria circostanze idonee ad indicare taluno come responsabile di un fatto costituente reato che non ha commesso, mentre del tutto non pertinenti al caso sono le questioni di inutilizzabilità ex artt. 64, 350 co.7, c.p.p. relative alle dichiarazioni no verbalizzate rese dall’indagato, trattandosi di dichiarazioni rese da NOME NOME non come indagato ma come presunta persona offesa del ferimento autoinferto ed attribuito falsamente ai propri fratelli;
ritenuto che anche manifestamente infondata è la questione sulla assenza di procedimenti a carico dei fratelli indirettamente accusati, essendo la calunnia reato di pericolo;
ritenuto con riferimento alle altre censure che la riproposizione delle medesime questioni affrontate in modo approfondito con motivazione puntuale, in assenza di un confronto effettivo con le valutazioni del giudice di merito, non è ammissibile in sede di legittimità, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18.7.2014, COGNOME e altri, Rv. 260608);
ritenuto che le considerazioni sviluppate nella memoria depositata dal difensore sono reiterative dei medesimi argomenti esposti nel ricorso;
ritenuto che dalla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dellzf ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 3000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna 1141 ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 15 settembre 2025
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Il Consigliere estensore
Il Presidente