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Reato di calunnia: la Cassazione conferma condanna

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per il reato di calunnia ai danni di un superiore gerarchico. L’imputato aveva falsamente accusato il superiore di aver ordinato la soppressione di prove. La Corte ha ritenuto che il ricorso fosse una mera contestazione dei fatti e ha confermato la valutazione logica e corretta dei giudici di merito riguardo la sussistenza sia dell’elemento oggettivo (la falsa accusa) sia di quello soggettivo (l’intento vendicativo), confermando le statuizioni civili a favore della vittima nonostante la prescrizione del reato.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato di calunnia: l’intento vendicativo è prova del dolo

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico di reato di calunnia, fornendo chiarimenti cruciali sulla valutazione delle prove e sull’accertamento dell’intento colpevole (dolo). La vicenda riguarda un agente che, insieme a due colleghi, aveva falsamente accusato un suo superiore gerarchico di aver ordinato la distruzione di prove per favorire un conoscente. Sebbene il reato sia stato dichiarato prescritto, la Cassazione ha confermato la condanna al risarcimento dei danni, ritenendo il ricorso dell’imputato inammissibile.

I Fatti di Causa

La controversia nasce da una serie di annotazioni di servizio redatte da tre agenti. In questi documenti, si sosteneva che un loro maresciallo superiore avesse ordinato a uno di loro di “buttare via” un DVD contenente elementi di prova raccolti durante un’indagine, presumibilmente per proteggere un suo amico.

Questa accusa si è rivelata infondata. In realtà, il superiore aveva semplicemente disposto di non allegare il DVD a una specifica comunicazione di notizia di reato (CNR) per non ritardare ulteriormente la trasmissione mensile degli atti. La falsa accusa, tuttavia, ha dato il via a un procedimento penale per il reato di calunnia.

La Corte d’Appello, pur dichiarando il reato estinto per prescrizione, aveva confermato la responsabilità dell’imputato agli effetti civili, condannandolo al risarcimento del danno in favore del superiore calunniato.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su due argomenti principali:

1. Errata valutazione delle prove: Secondo la difesa, i giudici di merito avrebbero interpretato erroneamente la documentazione agli atti, senza considerare elementi che avrebbero scagionato l’imputato. Si contestava, in sostanza, la ricostruzione dei fatti che fondava l’elemento oggettivo del reato.
2. Insussistenza dell’elemento soggettivo (dolo): La difesa sosteneva che non vi fosse prova della volontà di accusare falsamente il superiore. L’intenzione, a dire del ricorrente, era un’altra e la lettura data dai giudici alla sua annotazione era errata.

Le Motivazioni della Cassazione sul Reato di Calunnia

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo una sostanziale censura dei fatti, non consentita in sede di legittimità. I giudici hanno sottolineato come la Corte d’Appello avesse condotto un’analisi logica, coerente e giuridicamente corretta.

Per quanto riguarda l’elemento oggettivo, la Corte ha confermato che la falsa ricostruzione dell’ordine impartito dal superiore, contenuta nelle tre annotazioni di servizio concordanti, costituiva pienamente il fatto materiale del reato di calunnia.

Ancora più significativa è l’analisi sull’elemento soggettivo. La Cassazione ha validato il ragionamento dei giudici di merito, i quali avevano desunto il dolo da una serie di elementi inequivocabili:

* La consapevolezza della falsità: Gli imputati erano a conoscenza della reale dinamica dei fatti, ben diversa da quella rappresentata.
* L’intento vendicativo: Il movente dell’accusa è stato individuato nel desiderio di ritorsione da parte degli imputati nei confronti del superiore. Quest’ultimo, infatti, aveva dato inizio a precedenti indagini a loro carico per reati di falso. Questa circostanza è stata ritenuta un chiaro indicatore dell’intenzione di danneggiare ingiustamente il superiore.
* La coordinazione delle azioni: Le tre annotazioni, concordanti nel contenuto, dimostravano un’azione premeditata e congiunta, non un semplice malinteso.

La Corte ha specificato che, anche se il reato è prescritto, il giudice è tenuto a valutare nel merito il ricorso per decidere sulle statuizioni civili, come previsto dall’art. 578 c.p.p. Avendo riscontrato la palese infondatezza dei motivi, ha quindi confermato la condanna al risarcimento dei danni.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: nel reato di calunnia, l’intento doloso può essere provato anche attraverso elementi logici e indiziari, come un chiaro movente vendicativo. Quando la ricostruzione dei giudici di merito è immune da vizi logici e giuridici, non può essere messa in discussione davanti alla Corte di Cassazione. La decisione sottolinea inoltre l’importanza della tutela della reputazione e dell’onore, garantendo alla vittima il giusto risarcimento anche quando il reato si estingue per prescrizione.

Quando un’accusa si configura come reato di calunnia?
Un’accusa integra il reato di calunnia quando una persona, rivolgendosi a un’autorità competente, incolpa di un reato un’altra persona che sa essere innocente. È essenziale la consapevolezza della falsità dell’accusa da parte di chi la muove.

Come viene provato l’intento (dolo) nel reato di calunnia?
Secondo la sentenza, l’intento doloso non necessita di una prova diretta, ma può essere desunto da elementi logici e circostanziali. Nel caso specifico, è stato ricavato dal chiaro movente vendicativo degli accusatori nei confronti della vittima, dalla loro piena consapevolezza della falsità dell’accusa e dalla coordinazione delle loro azioni.

Cosa succede alle richieste di risarcimento se il reato penale è prescritto?
Anche se il reato viene dichiarato estinto per prescrizione, il giudice d’appello e la Cassazione devono comunque valutare la fondatezza dell’impugnazione per decidere sulle statuizioni civili. Se l’impugnazione risulta infondata, come in questo caso, la condanna al risarcimento del danno a favore della parte civile viene confermata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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