Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23444 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23444 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a AVERSA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/12/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 19 dicembre 2023 la Corte di assise di appello di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza presentata da NOME COGNOME per il riconoscimento del vincolo della continuazione tra il reato di omicidio volontario commesso il 10/09/2001 in danno di NOME COGNOME, e di quello di omicidio volontario commesso il 23/09/2001 in danno di NOME COGNOME.
La Corte ha evidenziato che il primo omicidio fu perpetrato nell’ambito della faida tra i clan camorristici dei COGNOME e dei COGNOME, ed anche il secondo fu commesso per riaffermare l’egemonia sul territorio della cosca RAGIONE_SOCIALE, ma, secondo la sentenza di appello, la decisione di uccidere il COGNOME scaturì dal sospetto che questi, appartenente al clan avverso, fosse coinvolto nell’omicidio di NOME COGNOME, avvenuto pochi giorni prima. La Corte ha ritenuto, pertanto, che la decisione di commettere il secondo omicidio sia derivata da contingenze occasionali, cioè la volontà di vendicare un omicidio a cui la vittima aveva partecipato.
Inoltre la Corte ha evidenziato che il riconoscimento della continuazione non escluderebbe l’applicazione dell’ergastolo, con conseguente inammissibilità della domanda. L’istante è stato condannato, per ciascun omicidio, a trent’anni di reclusione, e quindi, unificando due pene superiori a 24 anni di reclusione, la norma dell’art. 73, comma 2, cod.pen. imporrebbe l’applicazione dell’ergastolo.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo, con il quale denuncia la violazione di legge e il difetto di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen.
L’affermazione GLYPH dell’ordinanza, GLYPH della GLYPH inevitabilità GLYPH dell’applicazione dell’ergastolo in caso di riconoscimento della continuazione, è errata, essendo vietata, in sede esecutiva, l’applicazione dell’art. 73, comma 2, cod.pen., per espresso richiamo dell’art. 80 cod.pen. Inoltre, poiché con la continuazione la pena diventa unica, e soggiace alla regola di calcolo fondata sulla pena più grave aumentata fino al triplo, ad essa non si applica più la norma dell’art. 73, comma 2, cod.pen., che riguarda una pluralità di pene.
La motivazione dell’ordinanza è inesistente in quanto, oltre a dedicarsi al tema, non devoluto, dell’applicazione dell’art. 73, comma 2, cod.pen., si limita ad escludere la continuazione sulla base di una affermazione, circa l’essere stato l’omicidio di NOME COGNOME deciso in base ad una diversa operazione progettuale,
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in contrasto con le sentenze di merito. Esse, infatti, hanno indicato entrambi gli omicidi come commessi nell’ambito della faida tra il clan RAGIONE_SOCIALE e quello degli RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e in risposta all’omicidio di NOME COGNOME, avvenuto prima dei due fatti ascritti al ricorrente. Dopo l’omicidio di COGNOME fu deciso uccidere tutti gli appartenenti al gruppo rivale, individuando gli obiettivi p facilmente raggiungibili, e sulla base di questa unica deliberazione furono uccisi sia NOME COGNOME, sia NOME COGNOME. Entrambi gli omicidi, quindi, erano finalizzati a riaffermare la supremazia sul territorio del clan COGNOME, e devono ritenersi programmati in modo unitario, anche se non vi fosse stata una specifica individuazione delle vittime.
La motivazione è contraddetta, poi, dal riconoscimento, in entrambi gli omicidi, dell’aggravante della premeditazione. I due omicidi, compiuti a soli tredici giorni di distanza, sono frutto di un’unica attività preparatoria, culminat con le due esecuzioni, avvenute in momenti diversi ma così vicini da potersi escludere una soluzione di continuità tra loro.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, chiede il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, nei termini sotto precisati, e deve essere accolto.
Deve premettersi che non appartiene alla competenza del giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto sui quali il giudice di merit motivato la sua decisione: costituisce, infatti, un principio consolidato, dettato già dalla sentenza Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944, quello secondo cui «l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo dell decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice d merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di
una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali».
Questa Corte non deve procedere, pertanto, ad una nuova valutazione del contenuto delle due sentenze, dalle quali, secondo l’ordinanza impugnata, emergerebbe l’insussistenza di una programmazione unitaria dei due omicidi per i quali il ricorrente ha chiesto il riconoscimento dell’istituto della continuazione. E compito di questa Corte valutare, invece, la correttezza del ragionamento logicoargomentativo attraverso il quale il giudice dell’esecuzione è pervenuto alla sua decisione.
Questo controllo deve essere particolarmente approfondito in questo caso, in cui dalle due sentenze, come riportate nell’ordinanza, emergono, con evidenza, plurimi elementi solitamente ritenuti idonei per dimostrare la sussistenza dell’unicità del disegno criminoso, quali la stretta contiguità spazio-temporale dei due delitti, la loro omogeneità, l’analogia delle modalità esecutive, la partecipazione ai due fatti dei medesimi soggetti, l’identico contesto in cui tali fatti sono stati consumati. L’ordinanza stessa riferisce che i due delitti tra i qual il ricorrente chiede il riconoscimento della continuazione sono stati commessi nei territori contigui di Casal di Principe e Villa Literno, a tredici giorni di distan agendo con tre complici, due dei quali presenti in entrambi i fatti, uccidendo soggetti appartenenti al clan avverso ed agendo, in entrambi i casi, per «riaffermare l’egemonia del gruppo COGNOME sul territorio di Villa Literno», nell’ambito di una faida che contrapponeva tale gruppo a quello dei COGNOME.
L’ordinanza impugnata ha escluso l’applicabilità della continuazione tra i due delitti sottolineando che, dalla sentenza di appello relativa all’omicidio di NOME COGNOME, risulta che la decisione di ucciderlo «scaturì dal sospetto del suo coinvolgimento nell’omicidio di COGNOME NOME, commesso pochi giorni prima»; nel periodo precedente, però, l’ordinanza afferma che entrambe le azioni criminose scaturirono «dalla necessità di riaffermare l’egemonia del gruppo RAGIONE_SOCIALE sul territorio di Villa Literno».
Le due affermazioni non sono in contrasto tra loro, in quanto, nell’ambito di uno scontro tra clan rivali, appare plausibile che la programmazione generale di uccidere i membri del clan avverso si concretizzi nella decisione di aggredire, prioritariamente, coloro che hanno compiuto azioni violente nei confronti dei propri associati: l’omicidio del COGNOME, pertanto, può essere stato eseguito con la finalità indicata e nell’ambito di un’unica programmazione originaria, scegliendo di colpire, tra i membri del clan rivale, un soggetto che aveva l’ulteriore colpa di avere ucciso un associato.
La conclusione che l’ordinanza impugnata trae dal fatto che il COGNOME sarebbe stato ucciso per vendicare l’omicidio dello COGNOME, cioè che tra il suo omicidio e quello commesso tredici giorni prima, in danno di NOME COGNOME, non vi sia identità di disegno criminoso perché la decisione di commettere il secondo delitto sarebbe «scaturita da precise contingenze», è invece illogica, potendo la motivazione della vendetta coesistere, come detto, con quella di riaffermare il dominio sul territorio, e potendo il COGNOME essere stato scelto quale vittima in conseguenza dell’omicidio da lui commesso, ma eseguendo un delitto che era stato già programmato e ideato, essendo stato deciso di riaffermare l’egemonia del clan RAGIONE_SOCIALE mediante azioni violente contro gli appartenenti al clan avverso.
L’illogicità appare ancora più manifesta alla luce delle affermazioni contenute nel ricorso, secondo cui le due sentenze di merito dimostrerebbero che l’omicidio dello COGNOME è precedente anche all’omicidio di COGNOME, essendo avvenuto il 07/09/2001, e che anche questo delitto venne deciso quale risposta all’uccisione dello COGNOME, nell’ambito della guerra che era scoppiata tra il clan RAGIONE_SOCIALE e il gruppo degli RAGIONE_SOCIALE, riconducibile ai COGNOME.
Secondo il ricorrente, quindi, le sentenze di merito dimostrerebbero che entrambi gli omicidi sono stati deliberati unitariamente, subito dopo la morte dello COGNOME, decidendo di uccidere «tutti gli appartenenti al gruppo Tavoletta», per vendicare tale affronto. Sul punto occorre ribadire che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’unicità di disegno criminoso può consistere in una programmazione solo generale di più reati, che devono però essere previsti e organizzati in modo concreto, al fine di evitare che una eccessiva genericità finisca con il ricomprendere, in tale concetto, la mera scelta di vita delinquenziale. Si è stabilito, infatti, che «in tema di reato continuato, il giudic dell’esecuzione, nel valutare l’unicità del disegno criminoso, non può attribuire rilievo ad un programma di attività delinquenziale che sia meramente generico, essendo invece necessaria la individuazione, fin dalla commissione del primo episodio, di tutti i successivi, almeno nelle loro connotazioni fondamentali, con deliberazione, dunque, di carattere non generico ma generale» (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, dep. 2016, Rv. 267596). In applicazione di tale principio, si è in particolare affermato che la genericità della programmazione non consente di ritenere uniti dal vincolo della continuazione tutti gli omicidi compiuti nell’ambito di una guerra di mafia, che sono caratterizzati, in realtà, dall’unicità di movente ma non di programmazione e ideazione: «l’unicità del movente rileva ai fini della continuazione solo se il proposito criminoso risulti connotato da specificità e concretezza. » (Sez. 1, n. 35639 del 02/07/2013, Rv. 256307, resa in un caso in cui è stata esclusa rilevanza, ai fini del riconoscimento della continuazione fra più
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delitti di omicidio, alla generica ideazione dell’imputato di sopprimere i componenti delle famiglie avverse).
L’ordinanza impugnata, pertanto, ha negato la sussistenza della continuazione tra i due omicidi con una motivazione illogica e non sufficientemente approfondita.
E’ infatti necessario verificare, alla luce della contiguità spazio-temporale dei due delitti, dell’analogia delle modalità esecutive, e della presenza di un unico movente, individuato dalla stessa ordinanza impugnata, se dalle sentenze di merito emerga l’avvenuta assunzione, prima della loro consumazione, del proposito criminoso di commettere entrambi i delitti, e se tale decisione sia rimasta una deliberazione generica o si sia concretizzata nella programmazione di operazioni specifiche, dirette contro soggetti individuati almeno nelle loro caratteristiche generali.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve, pertanto, essere accolto, e l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio alla Corte di assise di appello di Napoli, in diversa composizione (vedi Sez. 2, n. 7155 del 11/01/2024, Rv. 285999), per un nuovo giudizio, da svolgersi con piena libertà valutativa, ma nel rispetto dei principi sopra puntualizzati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’assise d’appello di Napoli.
Così deciso il 02 maggio 2024
Il Consigliere estensore