Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 43861 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 43861 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nata a Roma il 05/01/1952, avverso l’ordinanza del 01/07/2024 del Tribunale di Roma; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME formulava al giudice dell’esecuzione istanza ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., chiedendo riconoscersi il vincolo della continuazione tra i reati giudicati con le seguenti sentenze:
sentenza della Corte di appello di Napoli del 18 settembre 2014, irrevocabile il 6 novembre 2015, di condanna alla pena di anni 5 e mesi 4 di reclusione per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., commesso tra il 1984 e il 1992;
sentenza della Corte di appello di Lecce del 21 febbraio 2003, irrevocabile il 14 dicembre 2009, di condanna alla pena di anni 8 di reclusione per il reato di cui all’art. 648 ter cod. pen., commesso in Taranto e altrove fino al luglio 1996.
Il Tribunale di Roma, con ordinanza dell’i luglio 2024, rigettava l’istanza, valorizzando l’assenza di omogeneità tra le condotte in relazione alle quali era
intervenuta condanna, nonché la loro distanza temporale e geografica, rilevando che quando ebbe inizio la contestata partecipazione all’associazione mafiosa operante in territorio campano (1984), la COGNOME non poteva aver programmato, neppure nelle sue linee essenziali, la perpetrazione del reato di riciclaggio, commesso a partire dall’anno 1993 in favore di un gruppo mafioso operante nel territorio pugliese, dovendosi, pertanto, concludere nel senso che questo secondo reato era stato frutto di una ideazione successiva e del tutto autonoma.
Il difensore di fiducia della COGNOME, Avv. NOME COGNOME ha tempestivamente impugnato l’indicata ordinanza, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.
Si duole della omessa valorizzazione dei plurimi elementi sottoposti alla valutazione del giudice dell’esecuzione, poiché la lettura non dei soli capi d’imputazione, ma delle motivazioni delle sentenze delle quali si discute e (venendo in rilievo una particolare ipotesi di “giudicato composto”) della parallela sentenza emessa il 25 ottobre 2007 dalla Corte di Assise di Napoli – che aveva dichiarato non doversi procedere per bis in idem in relazione al reato di associazione mafiosa e aveva definitivamente assolto la COGNOME da un delitto di omicidio commesso da appartenenti a quel sodalizio – metteva in luce che il contributo fornito dalla COGNOME al clan camorristico COGNOME/COGNOME di cui all sentenza sub 1) si era concretizzato nel reimpiego dei capitali illeciti del sodalizio, reinvestiti nel mercato immobiliare e commerciale romano (città di residenza della ricorrente) in un arco temporale prossimo ai primi anni ’90, condotta perfettamente sovrapponibile a quella oggetto della sentenza sub 2), che riguardava il reimpiego di capitali riconducibili ad affiliati al clan mafios pugliese COGNOME effettuato nel periodo 1993 / 1996 mediante attività economiche svolte nel settore immobiliare nel territorio di Roma.
Il Sostituto Procuratore generale ha chiesto rigettarsi il ricorso, rilevando che «il giudice dell’esecuzione ha messo in evidenza il profilo diacronico non compatibile con una previa risoluzione criminosa tra i due reati. Invero, il fulcro della motivazione dell’ordinanza impugnata va individuato nell’assenza di elementi utili a dimostrare la previa deliberazione criminosa della condannata sia con riferimento alla sua partecipazione al clan camorristico COGNOME/COGNOME, avvenuta a partire dal 1984 (e sino al 1992), con la commissione del delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 648-ter cod. pen. avvenuta alcuni anni dopo, ossia tra il 1993 e il 1996, a vantaggio del clan COGNOME, prevalentemente operante in territorio GLYPH pugliese, GLYPH a GLYPH differenza GLYPH del GLYPH clan GLYPH COGNOME/COGNOME GLYPH operante
prevalentemente in territorio campano. Inoltre, il delitto di impiego di denaro di provenienza del clan COGNOME, artt. 81 cpv. 648-ter cod. pen., risulta commesso in epoca successiva alla cessazione della partecipazione di COGNOME all’associazione mafiosa COGNOME/COGNOME (altro elemento correttamente valorizzato dal giudice dell’esecuzione per escludere la previa deliberazione criminosa dei due reati e, quindi, la continuazione criminosa). Né la finalità locupletativa che contrassegnerebbe la partecipazione della COGNOME alla commissione dei due reati di cui la medesima chiede l’unificazione, sono connotati del tutto compatibili con la reiterazione di risoluzioni criminose tra loro autonome, sintomatiche di una propensione a delinquere della condannata».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato e deve, pertanto, essere rigettato.
Questa Corte ha costantemente affermato che, in tema di reato continuato, l’unicità del disegno criminoso presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro specificità, e che la prova di tale congiunta previsione deve essere ricavata, di regola, da indici esteriori che siano significativi, alla l dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere (Sez. 4, n. 16066 del 17/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 243632).
Il giudice dell’esecuzione, nel valutare l’unicità del disegno criminoso, non può attribuire rilievo ad un programma di attività delinquenziale che sia meramente generico, essendo invece necessaria la individuazione, fin dalla commissione del primo episodio, di tutti i successivi, almeno nelle loro connotazioni fondamentali, con deliberazione, dunque, di carattere non generico, ma generale (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267596).
L’esistenza di un medesimo disegno criminoso va desunta da elementi indizianti quali l’unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità de lasso temporale che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, l’analogia del modus operandi e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti (Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, dep. 2016, Esposti, Rv. 266413), tenendo presente che la ricaduta nel reato e l’abitualità a delinquere non integrano di per sé il caratteristico elemento intellettivo che caratterizza il reato continuato, costituit dalla unità di ideazione che abbraccia i diversi reati commessi (Sez. 2, n. 40123 del 22/10/2010, Marigliano, Rv. 248862).
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito che il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel
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processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto d determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074).
La prova dell’unicità del disegno criminoso – ritenuta meritevole di un più benevolo trattamento sanzionatorio, attesa la minore capacità a delinquere di chi si determina a commettere gli illeciti in forza di un singolo impulso, anziché di spinte criminose indipendenti e reiterate – investendo l’inesplorabile interiorità psichica del soggetto, deve dunque essere ricavata da indici esteriori significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere, indici che, tuttavia, hanno un carattere sintomatico, e non direttamente dimostrativo: l’accertamento, pur offìcioso e non implicante oneri probatori, deve assumere il carattere di effettiva dimostrazione logica, non potendo essere affidato a semplici congetture o presunzioni; esso è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamento dei fatti (Sez. 1, n. 5043 del 21/12/2022, dep. 2023, COGNOME n.m.).
Ancora di recente, questa Corte ha ribadito che l’unicità del disegno criminoso non può identificarsi con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose o comunque con una generale tendenza a porre in essere determinati reati, e che, al contempo, neppure può ridursi all’ipotesi che tutti i singoli reati siano stati dettagliatamente progettat previsti, in relazione al loro graduale svolgimento, nelle occasioni, nei tempi, nelle modalità delle condotte, giacché siffatta definizione di dettaglio non sarebbe conforme al dettato normativo, che parla soltanto di «disegno», e porrebbe l’istituto fuori dalla realtà concreta, data la variabilità delle situazioni fatto e la loro possibile prevedibilità solo in via approssimativa: occorre, dunque, che si abbia una visibile programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte in vista di un unico fine, una programmazione che può essere anche di massima, purché i reati da compiere risultino previsti almeno in linea generale, con riserva di adattamento alle eventualità del caso, come mezzo per il conseguimento di un unico scopo, prefissato e sufficientemente specifico (Sez. 1, n. 24202 del 23/02/2022, Cartanese, n.m.).
Con specifico riferimento alla configurabilità del vincolo della continuazione tra reati associativi, questa Corte ha ripetutamente affermato che non è sufficiente il riferimento alla tipologia del reato ed all’omogeneità delle condotte, ma occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, al fine di accertare l’unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni, comunque denominate, ovvero ad una medesima organizzazione (Sez. 5, n. 20900 del 26/04/2021, COGNOME, Rv. 281375; Sez. 6, n. 51906 del 15/09/2017, COGNOME, Rv. 271569), e che, qualora sia riconosciuta l’appartenenza di un soggetto a diversi sodalizi criminosi, il vincolo della continuazione tra i reati associativi può essere riconosciuto solo a seguito di una specifica indagine sulla loro natura, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, avuto riguardo ai profili della contiguità temporale, dei programmi operativi perseguiti e del tipo di compagine che concorre alla loro formazione, non essendo a tal fine sufficiente la valutazione della natura permanente del reato associativo e dell’omogeneità del titolo di reato e delle condotte criminose (Sez. 5, n. 20900 del 26/04/2021, COGNOME, Rv. 281375; Sez. 4, n. 3337 del 22/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268786; Sez. 6, n. 6851 del 09/02/2016, COGNOME, Rv. 266106).
L’applicazione dei principi fin qui rassegnati al caso di specie rivela l’infondatezza delle censure sollevate dalla ricorrente.
Ed invero, l’istanza presentata ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. e l’odierno ricorso hanno valorizzato i passaggi delle sentenze irrevocabili, e del parallelo giudicato formatosi a seguito di pronuncia di non doversi procedere per ne bis in idem, dai quali traspare che, tra la fine dagli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, la COGNOME e suo marito NOME COGNOME avviarono un programma di investimenti commerciali ed immobiliari in Roma, loro città di residenza, attraverso il reimpiego di capitali di provenienza illecita messi a disposizione dal clan COGNOME/COGNOME, operante in territorio campano, ed altresì che, in un periodo successivo, separato dal primo da un arco temporale non eccessivamente ampio, analoga condotta fu perpetrata dalla COGNOME con capitali di provenienza illecita messi a disposizione da soggetti legati al clan COGNOME, operante in territorio pugliese.
Ad avviso della ricorrente, il diverso contesto criminoso e territoriale che caratterizzò l’operatività dei due sodalizi nulla dice circa l’identità del disegno criminoso, dovendo la sussistenza dell’invocata continuazione essere riconosciuta ovvero esclusa ponendosi dall’angolo visuale della COGNOME, verificando in
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particolare se, come dedotto, gli atti in carteggio consentano di concludere nel senso che, in considerazione dei luoghi, dei tempi e delle modalità delle condotte illecite per le quali è intervenuta condanna, tutte le violazioni costituirono la concreta realizzazione dell’unico programma illecito avuto di mira dalla COGNOME, dalla stessa fin da principio delineato nelle sue linee essenziali.
La doglianza è infondata.
Occorre, invero, considerare che, secondo l’univoco orientamento di questa Corte, «in sede esecutiva non è consentito modificare la data del commesso reato, espressamente accertata nel giudizio di cognizione con sentenza passata in cosa giudicata perché, diversamente, si verrebbe ad infrangere la intangibilità del giudicato» (così, in motivazione, Sez. 3, n. 8180 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 266283 – 01, che ha ribadito il principio già statuito da Sez. 1, n. 5667 del 10/10/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 208923 – 01, e da Sez. 1, n. 3563 del 24/09/1992, dep. 1993, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 192169 – 01; in termini, ancor più di recente, Sez. 1, n. 25219 del 20/05/2021, COGNOME, Rv. 281443 01).
Ebbene, la condanna riportata dalla COGNOME per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. è intervenuta per fatti contestati da fine anno 1984 al 1992 (così il capo d’imputazione, che riportava la generale indicazione «in Poggiomarino, dal 1980 al 1992», precisando subito dopo che per l’odierna ricorrente ed altri coimputati «il reato va contestato da fine anno 1984 in poi»).
Dalla lettura delle motivazioni delle due sentenze di merito (quella del 18 maggio 2007 del Tribunale di Torre Annunziata, e quella del 18 settembre 2014 della Corte di appello di Napoli) si evince che, in effetti, le condotte d partecipazione della COGNOME e di suo marito NOME COGNOME furono poste in essere dopo che, nel 1983, l’omicidio di NOME COGNOME, elemento di spicco della Nuova Camorra Organizzata, «decapitò l’organizzazione cutoliana, comportando il subingresso del clan COGNOME, protagonista indiscusso della sconfitta di COGNOME, nella gestione malavitosa del territorio campano»: in particolare, può – tra l’altro – leggersi che «Dopo l’omicidio di COGNOME, COGNOME veniva tratto in arresto, e la sua detenzione si protraeva fino agli anni ’85/86. A seguito della sua scarcerazione, con l’aiuto di NOME COGNOME, COGNOME avviava diverse attività economiche a Roma, in particolare nel settore immobiliare», usufruendo di un prestito di due miliardi di lire ottenuto grazie all’intermediazione del COGNOME (cfr. pag. 61 sent. 18 maggio 2007), agendo sempre insieme alla moglie, come da precise direttive ricevute dal COGNOME (cfr. pag. 65 sent. 18 maggio 2007); che in quegli stessi anni, secondo le propalazioni del COGNOME, quest’ultimo «pagò l’intermediazione» del COGNOME e della COGNOME per corrompere un magistrato che si occupava dei suoi processi (cfr. pag. 64
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sent. 18 maggio 2007); che l’affiliazione della COGNOME al sodalizio mafioso ebbe inizio «nei primi anni ottanta con la collaborazione nell’omicidio COGNOME» (cfr. pag. 65 sent, 18 maggio 2007; come si è già accennato, la COGNOME è stata poi assolta da questo delitto, per mancanza di riscontri alla chiamata in correità del COGNOME); che, secondo le propalazioni del COGNOME, «la COGNOME aveva un ruolo all’interno dell’associazione, un ruolo primario, uguale al marito NOME COGNOME. Era un’associata», «era informata sin dall’inizio degli affari del clan» ed «era una persona a tutti gli effetti disponibile» (cfr. pag. 7 sent. 18 settembre 2014); che la COGNOME ed il COGNOME frequentarono e ospitarono tanto il COGNOME quanto l’COGNOME, vertici del sodalizio camorristico, durante la loro latitanza (cfr. pag. sent. 18 settembre 2014).
Se ne ricava che le sentenze di merito hanno incontestabilmente accertato l’intraneità della COGNOME al sodalizio mafioso negli anni di cui all’imputazione, e, dunque, a far data dal 1984 (ed anzi, risulta che il COGNOME ebbe a collocare temporalmente la sua partecipazione alla vita del sodalizio fin dal 1982: cfr. pagine 9/10 sent. 18 settembre 2014), ed hanno altresì evidenziato che la sua partecipazione al clan camorristico si è inizialmente manifestata con condotte ben diverse rispetto a quella relativa al reinvestimento dei capitali illeciti (ad esempio, l’ausilio prestato ai vertici del sodalizio durante la loro latitanza).
E’, dunque, inattaccabile la motivazione del provvedimento impugnato, che ha ritenuto di non poter valorizzare alcun concreto elemento rivelatore dell’identità del disegno criminoso tra il delitto di associazione mafiosa e l’ulteriore delitto commesso a circa dieci anni di distanza dall’accertato ingresso della COGNOME nel clan COGNOME/COGNOME: appare, invero, evidente che nel 1984 la ricorrente non poteva avere in alcun modo programmato, neppure nelle sue linee essenziali, l’ulteriore reato in relazione al quale è poi intervenuta condanna irrevocabile, che deve, pertanto, ritenersi originato da una ideazione successiva e del tutto autonoma, che, lungi dal rivelare l’identità del disegno criminoso avuto di mira dalla COGNOME, ne illustra, più semplicemente, la spiccata propensione a delinquere, rivelando l’intento della odierna ricorrente di utilizzare il know-how acquisito grazie all’appartenenza al clan camorristico, mettendo a disposizione di un altro sodalizio criminoso le conoscenze e le capacità maturate grazie al reimpiego dei capitali illeciti del clan COGNOME nel mercato immobiliare e commerciale romano.
Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 23/10/2024.