Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22617 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22617 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in Marocco l’11/3/1997
avverso l’ordinanza del Tribunale di Grosseto del 24/1/2025
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 24.1.2025, il Tribunale di Grosseto, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato un’ istanza , presentata nell’interesse di NOME COGNOME, di applicazione della disciplina della continuazione tra i reati oggetto di due sentenze di condanna dello stesso Tribunale di Grosseto, emesse il 20.4.2021 e il 23.3.2023.
In particolare, il giudice dell’esecuzione ha r ilevato che, nel caso di specie, il solo indice della eventuale unicità del disegno criminoso è la natura omogenea dei reati e che non ricorrono invece ulteriori elementi per ritenere che le condotte
criminose siano riconducibili, in ultima analisi, a un medesimo programma delittuoso.
Infatti, i reati oggetto delle due pronunce sono stati commessi dalla fine del 2017 al 22.5.2019, cosicché non si può ritenere verosimile che in un lasso di tempo così esteso i singoli episodi criminosi fossero stati programmati sin dall’inizio, sia pure nelle loro linee essenziali. Inoltre, alcuni reati sono stati commessi in concorso con altro soggetto e ciò induce a ritenere che l’ideazione sia avvenuta in circostanze diverse da quelli in cui sono maturati i reati commessi da solo. Anche il contesto territoriale -aggiunge il tribunale -è diverso, in quanto i reati oggetto delle due sentenze sono stati commessi in due comuni differenti.
L’ordinanza, dunque, assume come dato certo non più che COGNOME svolgesse l’attività di spaccio di sostanze stupefacenti in modo continuativo dal 2017 al 2018 in Follonica e successivamente fino al 22.5.2019 nella zona dell’Amiata: si può ritenere, pertanto, che la sua fosse una scelta di vita, in virtù della quale ha fatto di questa illecita attività la sua unica fonte di sostentamento.
Avverso la predetta ordinanza, il difensore di COGNOME ha proposto ricorso, articolando un unico motivo, con cui deduce erronea applicazione dell’art. 671 cod. proc. pen. e manifesta illogicità della motivazione.
Il tribunale ha ritenuto che l’unico elemento favorevole al condannato fosse costituito dall’omogeneità delle violazioni, mentre difetterebbero sia il requisito spaziale che il requisito temporale.
Ma, sotto il profilo del contesto territoriale, il ricorso osserva che la zona dell’Amiata e il comune di Follonica appartengono al medesimo contesto territoriale e che, comunque, il dato geografico è inconferente, in quanto la diversità dei comuni in cui i reati sono stati commessi non è un elemento ostativo.
In secondo luogo, è illogica la motivazione quando esclude la medesimezza del disegno criminoso, pur affermando che i reati sono stati commessi senza soluzione di continuità dal 2017 al 2019. Il tribunale non spiega il motivo per il quale uno stesso disegno criminoso non possa essere attuato in un lasso di tempo lungo ma unico, come nel caso di specie.
È, altresì, indecifrabile la ragione per la quale l’occasionale contributo concorsuale di un altro soggetto comporterebbe una diversità nell’ideazione della condotta.
Con requisitoria scritta trasmessa il 21.2.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, in quanto l ‘ordinanza impugnata si è attenuta ai principi affermati da tempo dalla giurisprudenza di legittimità riguardo alla continuazione, evidenziando, da un lato, che l’attività di spaccio di stupefacenti
era una scelta di vita dell’istante, e, dall’altro, che i diversi episodi delittuosi presentavano cesure con riferimento sia al dato territoriale che alle modalità attuative.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
L’ordinanza impugnata richiama in modo appropriato il principio secondo cui la omogeneità d ei reati tra i quali si chiede di applicare la disciplina di cui all’art. 81, comma secondo, cod. pen., non è sufficiente per il riconoscimento della continuazione, che necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica non solo della sussistenza di concreti indicatori, ma anche del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/5/2017, COGNOME, Rv. 270074 -01).
In particolare, è stato già affermato che l’omogeneità delle violazioni, anche ove unita alla contiguità temporale di alcune di esse, non consente di per sé, seppure indicativa di una scelta delinquenziale, di ritenere che i reati siano frutto di determinazioni volitive risalenti ad un’unica deliberazione di fondo (Sez. 3, n. 3111 del 20/11/2013, dep. 2014, P., Rv. 259094 -01).
Se è così, deve tenersi conto, allora, che, in tema di continuazione, l’accertamento del requisito della unicità del disegno criminoso costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, il cui apprezzamento è sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretto da adeguata motivazione (Sez. 1, n. 12936 del 3/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275222 -01; Sez. 6, n. 49969 del 21/9/2012, COGNOME, Rv. 254006 -01).
Si tratta, dunque, di valutare la motivazione del giudice dell’esecuzione, il quale afferma nel proprio provvedimento che, in mancanza di altri indici esterni significativi del dato progettuale unitario, deve ritenersi che i delitti commessi siano espressione di una abitualità nel reato specifico.
In tal modo, l’ordinanza impugnata ha fatto corretto uso del principio secondo cui, in tema di esecuzione, la mera identità dei titoli di reato è, da sola, indice sintomatico, non di attuazione di un progetto criminoso unitario, quanto di un’abitualità criminosa e di scelte di vita ispirate alla sistematica e contingente
consumazione degli illeciti (Sez. 1, n. 35806 del 20/4/2016 , COGNOME, Rv. 267580 -01).
Invece, l’identità del disegno criminoso postula che l’agente si sia previamente rappresentato e abbia unitariamente deliberato una serie di condotte criminose, di guisa che non si identifica con il programma di vita delinquenziale del reo, che esprime, invece, l’opzione del reo a favore della commissione di un numero non predeterminato di reati, rivelando una generale propensione alla devianza, che si concretizza, di volta in volta, in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali. (Sez. 1, n. 15955 del l’ 8/1/2016, P.m. in proc. Eloumari, Rv. 266615 – 01). La mera inclinazione a reiterare violazioni della stessa specie, anche se dovuta ad una determinata scelta di vita o ad un programma generico di attività delittuosa da sviluppare nel tempo secondo contingenti opportunità, non integra di per sé l’unitaria e anticipata ideazione di più condotte costituenti illecito penale, che caratterizza l’istituto disciplinato dall’art. 81, secondo comma, cod. pen. (Sez. 1, n. 39222 del 26/2/2014, B., Rv. 260896 -01).
3. Nel solco di tale indirizzo, il giudice dell’esecuzione ha ritenuto in modo congruo che la commissione dei reati da parte di NOME fosse il frutto di una scelta di vita, in virtù della quale egli ha fatto dell’attività di spaccio di sostanze stupefacenti la propria fonte di sostentamento.
Si tratta di una conclusione cui l’ordinanza approda dopo aver adeguatamente depotenziato altri eventuali indicatori della continuazione, in particolare evidenziando, da un lato, l’esteso lasso di tempo intercorso tra i reati oggetto delle due sentenze e, dall’altro, il diverso contesto territoriale nel quale sono stati commessi.
A fronte di ciò, il ricorso sollecita sostanzialmente una rilettura degli elementi posti a fondamento della decisione impugnata e propone l’adozione di parametri di valutazione dei fatti alternativi rispetto a quelli adottati dal giudice dell’esecuzione.
Pe un verso, il ricorso, quando oppone che il periodo di commissione dei reati, benché lungo, è stato continuo, non tiene conto che la contiguità temporale è un indice che rileva soprattutto rispetto al momento iniziale della unitaria preordinazione e deliberazione di una serie di condotte criminose.
Per l’altro, l’argomento della diversità del contesto territoriale di commissione dei reati non può essere superato dal rilievo difensivo, di merito, che le due zone di commissione dei reati ‘appartengono al medesimo comprensorio’, in quanto quello della distanza, anche se pari a poche decine di chilometri, costituisce dato di non marginale rilevanza a proposito di reati in materia di stupefacenti, in cui l’attività illecita continuata di cessione delle sostanze ai consumatori si fonda in
genere sul l’insediamento stanziale del cedente in una determinata area del territorio, nell’ambito di una logica delinquenziale di suddivisione degli spazi ove non si creino occasioni di conflitto con altri spacciatori e si possa diventare punto di riferimento riconoscibile dai potenziali acquirenti: di guisa che la possibilità di preordinare in autonomia e con tanto anticipo una diversa futura allocazione sul territorio della propria attività delittuosa è pressoché da escludere in radice.
Sulla base di queste coordinate, allora, anche la critica attinente al fatto che la continuazione era stata riconosciuta in sede di cognizione tra i reati oggetto di ciascuno dei due singoli processi perde di consistenza, in quanto esito di una valutazione -diversa e di più limitato orizzonte -relativa ad uno stesso luogo e a un periodo di tempo ben definito.
In definitiva, dunque, il ricorso non arriva ad inficiare la motivazione dell’ordinanza impugnata , che, per quanto fin qui osservato, risulta nient’affatto illogica o contraddittoria.
Ne consegue, pertanto, che il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25.3.2025