Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38225 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38225 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) nato a BOVOLONE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 29/01/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 29 gennaio 2024 la Corte di appello di Venezia ha, tra l’altro, rigettato l’istanza, presentata nell’interesse di NOME COGNOME, volta al riconoscimento del vincolo della continuazione, in executivis, oltre che tra i reati di appropriazione indebita, indicati con i numeri 5), 6) e 7), per cui egli è stato condannato con tre separate sentenze ed in relazione ai quali la continuazione è stata già riconosciuta dal giudice della cognizione, tra gli stessi e quelli cronologicamente posteriori, di truffa, individuati dai numeri 8) e 9).
Il giudice dell’esecuzione ha, in proposito, assegnato decisiva rilevanza alla differente tipologia criminosa e, soprattutto, alla collocazione delle condotte più recenti in epoca successiva alla radiazione di COGNOME dall’RAGIONE_SOCIALE dei consulenti finanziari, qualifica che aveva connotato le precedenti azioni delittuose, circostanza che induce ad escludere l’ideazione, a quel tempo, di comportamenti illeciti che presuppongono la dismissione, da parte dell’agente, della veste professionale che gli aveva fornito il destro per consumare i delitti ex art. 646 cod. pen..
Con il medesimo provvedimento, il giudice dell’esecuzione ha disatteso la richiesta di COGNOME intesa alla declaratoria di illegittimità del provvedimento di esecuzione di pene concorrenti n. 1/2023, emesso nei suoi confronti dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia, nella parte in cui, tra le pene in esecuzione, non è stata inserita quella inflittagli dal Tribunale di Verona con sentenza del 6 luglio 2011.
A questo proposito, il giudice dell’esecuzione ha assegnato decisiva rilevanza all’espiazione di tale pena tra il 18 ottobre 2017 ed il 2 settembre 2018, ovvero in epoca precedente alla consumazione di altro reato compreso nell’impugnato ordine di esecuzione, protrattasi sino al 29 ottobre 2018, ciò che osta, ai sensi dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., all’inserimento nel cumulo di una sanzione espiata prima della commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato a due motivi, con il primo dei denuncia violazione di legge e vizio di motivazione sul rilievo che il giudice dell’esecuzione è pervenuto al parziale rigetto dell’istanza ex art. 671 cod. proc. pen. sulla base dell’ingiustificata svalutazione degli elementi sintomatici della riconducibilità delle indicate manifestazioni delittuose ad un’unica, comune programmazione iniziale, costituiti: dall’identità del bene protetto; dalla
sovrapponibilità delle modalità di commissione (COGNOME, presentatosi come assicuratore, ha costantemente convinto le persone offese a stipulare, suo tramite, polizze di investimento ed a versa le somme delle quali si è arbitrariamente impossessato); dalla contiguità del contesto spazio-temporale di riferimento; dall’essere dipesa la diversità di qualificazione giuridica dal venir meno della qualifica, in capo all’agente, di consulente finanziario che in occasione delle più recenti manifestazioni criminali, egli ha, nondimeno, indebitamente speso.
Con il secondo motivo, il ricorrente si duole, ancora nell’ottica sia della violazione di legge che del vizio di motivazione, del rigetto della richiesta di inserimento nel provvedimento di esecuzione di pene concorrenti di quella inflittagli dal Tribunale di Verona con sentenza del 6 luglio 2011, la cui esecuzione, sostiene, è successiva alle date «di commissione di tutti gli altri reati giudicati con le sentenze comprese nel provvedimento di esecuzione di pene concorrenti n. 1/2023 SIEP Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Venezia, eccezion fatta per quella emessa dal Tribunale di Bologna il 29.10.2018».
Eccepisce, ulteriormente, che l’inserimento di detta pena nel cumulo sarebbe stata, comunque, imposta al fine di consentirgli di rivolgere al competente Ufficio di sorveglianza, con riferimento al periodo di detenzione patito presso la Casa circondariale di Verona, istanza di accesso allo strumento riparatorio previsto dall’art. 35-ter legge 26 luglio 1975, n. 354.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
Preliminarmente, va ricordato che la giurisprudenza di legittimità, con riferimento al vincolo della continuazione in sede di esecuzione, ha individuato gli elementi da cui desumere l’ideazione unitaria, da parte del singolo agente, di una pluralità di condotte illecite, stabilendo che le violazioni dedotte ai fi dell’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di illeciti, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenzial (Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, Daniele, Rv. 255156).
Tale programma, a sua volta, non deve essere confuso con la sussistenza di una concezione di vita ispirata all’illecito, perché in tal caso «la reiterazione dell condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntato al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenz delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al favor rei» (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950).
La verifica di tale preordinazione – ritenuta meritevole di più benevolo trattamento sanzionatorio attesa la minore capacità a delinquere di chi si determina a commettere gli illeciti in forza di un singolo impulso, anziché di spinte criminose indipendenti e reiterate – investendo l’inesplorabile interiorità psichica del soggetto, non può essere compiuta sulla base di indici meramente presuntivi ovvero di congetture processuali, essendo necessario dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione invocato siano stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso unitario (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 267596).
Ne discende che «Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati s successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea» (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074).
Non è, per converso, necessaria la concomitante ricorrenza di tutti i predetti indicatori, potendo l’unitarietà del disegno criminoso essere apprezzata anche al cospetto di soltanto alcuni di detti elementi, purché significativi (in questo senso cfr., tra le tante, Sez. 1, n. 8513 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 254809; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098).
L’accertamento di tali indici è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamento dei fatti.
Tanto premesso sul piano dei principi, ritiene il Collegio che la Corte di appello di Venezia vi si sia, nel complesso, attenuta, pervenendo al rigetto
dell’istanza ex art. 671 cod. proc. pen. proposta nell’interesse di NOME COGNOME sulla scorta di considerazioni logiche e coerenti e, comunque, esenti da vizi rilevanti in sede di legittimità.
Nella valutazione del giudice dell’esecuzione, la radiazione di COGNOME dall’RAGIONE_SOCIALE dei consulenti finanziari, professione nell’esercizio della quale egli ha commesso i reati di appropriazione indebita indicati ai punti 5), 6) e 7) del provvedimento impugnato, ha segnato un momento di svolta nell’azione illecita dell’odierno ricorrente, trovatosi costretto a millantare, a partire da quel momento, il possesso di una qualifica ormai venuta meno – circostanza fondamentale per convincere le persone offese ad affidargli i propri risparmi ed ha, quindi, introdotto nell’ideazione e nella progettualità criminosa un elemento, di imprescindibile e centrale rilevanza, che era certamente estraneo alla programmazione originaria, sì da individuare una cesura tanto netta da precludere in radice l’applicazione della disciplina del reato continuato.
Il giudice dell’esecuzione ha, per tale via, sviluppato un tessuto argomentativo sintonico con la descritta cornice ermeneutica, che il ricorrente contesta ponendosi in un’ottica sostanzialmente confutativa, in quanto tale non idonea ad abilitare l’intervento censorio del giudice di legittimità, che si impernia su elementi che, frutto di una opposta esegesi delle risultanze istruttorie, non valgono a connotare in chiave di illegittimità la decisione impugnata si incentra su dati di fatto che, correttamente esposti dal giudice dell’esecuzione, le garantiscono un adeguato supporto razionale in quanto idonei ad orientare l’esercizio della discrezionalità giudiziale, frutto della prevalenza degli elementi ostativi all’accoglimento dell’istanza ex art. 671 cod. proc. pen. su quelli che il Tribunale, senza esorbitare dall’ambito della libertà di apprezzamento che gli è normativamente attribuita, ha, invece, stimato recessivi.
Per quanto concerne la doglianza residua, pacifico che la pena di cui si discute è stata interamente espiata prima della consumazione del reato accertato dal Tribunale di Bologna con sentenza del 29 ottobre 2018, il giudice dell’esecuzione ha correttamente fatto applicazione del principio sancito dall’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., mirante a garantire che la commissione del reato sia sempre precedente all’applicazione della pena e, di conseguenza, che non si determinino situazioni tali da riconoscere al condannato crediti di pena suscettibili di generare, almeno in potenza, un effetto criminogeno.
A fronte della ineccepibile applicazione della previsione codicistica, il ricorrente frappone obiezioni che non colgono nel segno.
5.1. Da un canto, deduce, senza il conforto di adeguato supporto documentale, che il contestato provvedimento di esecuzione si estende a pene relative a reati commessi prima del 2 settembre 2018 (data di completa espiazione della pena di cui è stato chiesto l’inserimento nel cumulo) e non ancora eseguite; ciò che, è utile aggiungere, avrebbe imposto, in primo luogo, la formazione di cumuli distinti.
Al riguardo, pertinente si palesa, peraltro, il richiamo dell’indirizzo ermeneutico secondo cui «In tema di esecuzione di pene concorrenti inflitte con condanne diverse, qualora, durante l’espiazione di una determinata pena, o dopo che l’esecuzione di quest’ultima sia stata interrotta, il condannato commetta un nuovo reato, non può effettuarsi il cumulo di tutte le pene, ma occorre procedere a cumuli parziali, ossia, da un lato, al cumulo delle pene inflitte per i rea commessi sino alla data del reato cui si riferisce la pena parzialmente espiata, con applicazione del criterio moderatore dell’art. 78 cod. pen. e detrazione dal risultato del presofferto, e, dall’altro, ad un nuovo cumulo, comprensivo della pena residua e delle pene inflitte per i reati successivamente commessi, sino alla data della successiva detenzione» (Sez. 1, n. 46602 del 01/03/2019, COGNOME, Rv. 277491 – 01; Sez. 1, n. 7762 del 24/01/2012, COGNOME, Rv. 252078 – 01).
5.2. Privo di pregio è, del pari, l’ulteriore assunto del ricorrente, il qua rivendica la strumentalità dell’invocato inserimento del cumulo alla promozione delle iniziative finalizzate al conseguimento dei rimedi compensativi previsti dall’art. 35-ter legge 26 luglio 1975, n. 354, senza, al contempo, dimostrare di avere in tal senso offerto al giudice dell’esecuzione i necessari elementi di valutazione.
COGNOME, vieppiù, giustifica la richiesta riportandosi ad un orientamento giurisprudenziale (ribadito, da ultimo, da Sez. 1, n. 26601 del 07/05/2024, Stranieri, Rv. 286604 – 01) che si è formato in relazione alla diversa ipotesi in cui la pena già interamente espiata può avere un riflesso sul cumulo materiale, in vista della maturazione dei requisiti temporali per l’ammissione ad eventuali benefici penitenziari e trascurao, per contro, che, secondo quanto da tempo chiarito in ambito nomofilattico, «In tema di rimedi conseguenti alla violazione dell’art. 3 CEDU nei confronti di soggetti detenuti o internati, è inammissibile il ricorso volto ad ottenere il ristoro nella forma c.d. specifica della riduzione d pena, anziché in quella monetaria, per il pregiudizio subìto durante l’esecuzione di un titolo diverso da quello in esecuzione al momento della domanda, qualora l’esecuzione pregressa sia del tutto slegata da quella in corso» (Sez. 1, n. 54862 del 17/01/2018, Molluso, Rv. 274971 – 01; Sez. 1, n. 16915 del 21/12/2017, dep. 2018, Gerbino, Rv. 272830 – 01).
Dal rigetto del ricorso discende la condanna di COGNOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/07/2024.