Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13634 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13634 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in MAROCCO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/06/2023 del GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI del TRIBUNALE di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME,
che ha chiesto di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del I’ll maggio 2022, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze, decidendo quale giudice dell’esecuzione, aveva rigettato l’istanza avanzata da NOME, intesa ad ottenere il riconoscimento della continuazione in relazione ai reati oggetto di due sentenze passate in giudicato.
In particolare: il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, commesso il 9 aprile 2015 (giudicato con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze del 17 dicembre 2015, irrevocabile il 14 aprile 2021); il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, commesso il 30 marzo 2016 (giudicato con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze del 27 settembre 2016, irrevocabile il 12 marzo 2021).
Il provvedimento di rigetto, essenzialmente, era stato basato sulla circostanza che, successivamente ai fatti reato di cui alla sentenza emessa i n data 17 dicembre 2015, l’istante era stato ristretto in stato di custodia cautelare per tre mesi ventuno giorni. Lo «stato detentivo», per il giudice dell’esecuzione, costituiva «una cesura, a seguito della quale l’agente si era nuovamente determinato, in base ad autonomo atto di volizione, alla commissione di ulteriori reati».
Avverso l’ordinanza, NOME aveva proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento, per l’erronea applicazione dell’art. 81, comma 2, cod. pen. e per carenza di motivazione. Il ricorrenl:e aveva sostenuto che si era in presenza di una motivazione generica, imperniata esclusivamente sulla limitazione della libertà personale, intervenuta nel tempo compreso tra i due reati.
La Prima sezione di questa Corte, con sentenza del 21 dicembre 2022, aveva annullato con rinvio l’ordinanza impugnata.
In particolare, aveva rilevato che: il Giudice per le indagini preliminari aveva basato la sua decisione solo sul fatto che l’COGNOME, dopo la commissione del primo reato, era «stato detenuto in custodia carceraria per oltre tre mesi»; il provvedimento di rigetto mancava di «qualsivoglia traccia di una effettiva valutazione delle concrete modalità di realizzazione delle condotte» e «dell’esplicitazione delle ragioni per le quali le allegazioni difensive» erano state disattese.
Il Giudice dell’esecuzione, con la cennata motivazione, si era «mosso in evidente contrasto con il consolidato principio, espresso in sede di legittimità, secondo cui la sola detenzione in carcere o domiciliare, ovvero altra misura limitativa della libertà personale, intervallante i fatti separatamente giudicati, non è da sola sufficiente ad escludere l’unitarietà del disegno criminoso e a rendere superfluo l’esame, in concreto, sulla base degli accertamenti consacrati nelle sentenze di condanna, della ricorrenza o meno di elementi rivelatori della continuazione, come elaborati dalla consolidata giurisprudenza sul tema» (Sez. 1, n. 37831 del 05/04/2019, COGNOME, Rv. 276842; Sez. 1, n. 32475 del 19/06/2013, COGNOME, Rv. 256119).
4
Con ordinanza emessa il 7 giugno 2023, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze, in sede di rinvio, ha rigettato l’istanza di applicazione della disciplina del reato continuato.
Avverso la “nuova” ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze, NOME ha proposto ricorso per cassazione.
5.1. Con un unico motivo, deduce il vizio di motivazione, in relazione agli artt. 81 e 671 cod. proc. pen.
Sostiene che il giudice per le indagini preliminari non avrebbe, in alcun modo, valorizzato gli indici sintomatici della continuazione che erano stati posti in rilievo dall’istante e, ponendosi in contrasto con la sentenza di annullamento e con la giurisprudenza di legittimità, avrebbe ancora una volta basato il provvedimento di rigetto sulla circostanza che il richiedente, nel periodo ricompreso tra la commissione di due reati, era stato sottoposto a misura cautelare personale.
Avrebbe, inoltre, erroneamente ritenuto sussistenti «presunte difformità» tra le condotte oggetto delle due sentenze passate giudicate. Entrambe le condotte, infatti, avevano a oggetto lo stesso tipo di sostanza stupefacente (hashish), che era confezionata in panetti ed era stata rinvenuta a seguito di perquisizione personale e locale da parte della polizia giudiziaria.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di rigettare il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. L’unico motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va, in primo luogo, evidenziato che non è affatto vero che il provvedimento impugnato sia nuovamente basato sulla circostanza che il richiedente, nel periodo ricompreso tra la commissione di due reati, era stato sottoposto a misura cautelare personale, avendo il giudice del rinvio, tra l’altro, espressamente affermato che tale circostanza non era «di per sé idonea a escludere l’identità del disegno criminoso».
Il giudice dell’esecuzione ha rigorosamente valutato gli elementi addotti dall’istante quali indici sintomatici dell’identità di disegno criminoso e ha ritenut che la sola circostanza che le due sentenze passate in giudicato avessero ad
oggetto la stessa tipologia di reati, in assenza di altri elementi di rilievo, non fosse sufficiente a far ritenere che essi fossero parte di un medesimo disegno criminoso.
Quanto al dato temporale, ha posto in rilievo che il tempo trascorso tra la commissione dei due reati – quasi un anno – non era particolarmente breve.
Ha, poi, evidenziato che i due reati erano stati commessi con modalità differenti: mentre l’uno era stato commesso in concorso con altra persona, l’altro era stato commesso dal solo NOME COGNOME; mentre l’uno aveva a oggetto sostanza stupefacente confezionata in panetti, l’altro aveva a oggetto sostanza stupefacente custodita in ovuli (lo stesso ricorrente ammette che, parte della sostanza oggetto del reato giudicato con la sentenza del 2015, era custodita in quarantotto ovuli).
Solo «in aggiunta» alle esposte argomentazioni, ha ritenuto di dovere dare rilievo anche alla circostanza che NOME era stato sottoposto a misura cautelare per oltre tre mesi, nel periodo ricompreso tra la commissione dei due reati.
Si tratta di una decisione perfettamente in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale «in tema di continuazione, l’omogeneità delle violazioni e la contiguità temporale di alcune di esse, seppure indicative di una scelta delinquenziale, non consentono, da sole, di ritenere che i reati siano frutto di determinazioni volitive risalenti ad un’unica deliberazione di fondo» (Sez. 3, Sentenza n. 3111 del 20/11/2013, P., Rv. 259094; cfr. anche Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 9 novembre 2023.