Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1211 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1211 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/10/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
COGNOME NOME nato a CROTONE il 22/10/1984 avverso l’ordinanza del 07/03/2024 della Corte d’appello di Venezia udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso letta la memoria del difensore
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 18 marzo 2024, la Corte di appello di Venezia, quale giudice dell’esecuzione, accoglieva parzialmente la richiesta avanzata da NOME COGNOME finalizzata ad ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. in relazione ai reati giudicati con le seguenti pronunce irrevocabili:
sentenza emessa, all’esito di giudizio abbreviato, dalla Corte di assise di appello di Catanzaro il 10 maggio 2014, irrevocabile il 29 ottobre 2014, di condanna alla pena di tre anni, tre mesi sei e venti giorni di reclusione per i reati di associazione di tipo mafioso e detenzione e porto illegale di armi, commessi in Crotone, Cirò e Cutro dal 2004 fino al 17 febbraio 2009;
sentenza, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro il 5 luglio 2017, irrevocabile il 1° ottobre 2012, di condanna alla pena di tre anni di reclusione e 535 euro di multa per il reato di tentata estorsione aggravato ai sensi dell’art. 7 legge n. 203 del 1991, commesso in Crotone dal 30 aprile 2011 al 19 maggio 2011;
sentenza emessa, all’esito di giudizio abbreviato, dalla Corte di appello di Catanzaro il 24 settembre 2021, irrevocabile il 1 dicembre 2022, di condanna alla pena di sei anni e otto mesi di reclusione per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen., commesso in Isola Capo Rizzuto, Petilia, Policastro, Papanice e territorio nazionale, dall’1 gennaio 2017, con condotta perdurante;
sentenza emessa dalla Corte di appello di Venezia il 24 maggio 2022, irrevocabile il 17 gennaio 2024, di condanna alla pena di due anni e ventisette giorni di reclusione e 1.481
euro di multa per il delitto di cui agli artt. 110, 56, 629, 416 bis .1 cod. pen., commesso in Padova dal 28 maggio 2013 al 21 maggio 2014.
In particolare, il giudice dell’esecuzione accoglieva l’istanza difensiva limitatamente alle sentenze sub a), b) e c) e rideterminava la pena in dodici anni e sei mesi di reclusione sulla scorta del seguente calcolo: pena base sei anni e otto mesi di reclusione di cui alla sentenza sub c), aumentata di tre anni di reclusione per i delitti di cui alla sentenza sub a) (due anni e otto mesi per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. e quattro mesi per il reato di cui agli artt. 2 e 4 legge n. 895 del 1967, già tenuto conto della diminuzione per la scelta del rito), aumentata ulteriormente di due anni e dieci mesi di reclusione, già tenuto conto della diminuzione per la scelta del rito, per il reato di cui alla sentenza sub b).
Escludeva il vincolo con riferimento al reato di cui alla sentenza sub d) sulla scorta del carattere estemporaneo della condotta criminosa, non potendosi ipotizzare che tale episodio estorsivo, realizzato nell’ambito di una consorteria diversa da quella di appartenenza (cosca Grande Aracri) e in territorio veneto, potesse essere stato programmato sin dall’ingresso, avvenuto nel 2004, nel sodalizio ‘ndranghetista facente capo alla famiglia COGNOME.
Invero, la condotta estorsiva commessa in Padova risultava del tutto occasionale, in quanto determinata dalla specifica esigenza, sorta in una distinta articolazione criminosa, di sfruttare la forza intimidatoria di COGNOME e del clan di cui faceva parte al fine di esigere un credito usurario.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo dei propri difensori, avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME articolando due motivi.
2.1. Con il primo ha eccepito vizio di motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 81 cod. pen., 671 e 442 cod. proc. pen., per avere il giudice dell’esecuzione, con riguardo al trattamento sanzionatorio, determinato la pena base inflitta per il reato piø grave già diminuita di un terzo e operato, poi, l’aumento per la continuazione per i reati satellite, senza dar conto nØ del ragionamento seguito nell’esercizio del proprio potere discrezionale, nØ della diminuente prevista per il giudizio abbreviato.
Peraltro, il collegio ha effettuato un errore di calcolo nella determinazione della pena a titolo di aumento per la continuazione in relazione alla sentenza sub b), atteso che il ricorrente, diversamente da quanto riportato nell’ordinanza oggetto di gravame, veniva condannato alla pena di anni tre di reclusione.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto violazione degli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen., per avere il giudice dell’esecuzione escluso il medesimo disegno criminoso tra i fatti ritenuti in continuazione e il reato di tentata estorsione di cui alla sentenza sub d) sulla scorta del dato oggettivo costituito dall’appartenenza di Devona ad una articolazione locale diversa da quella nel cui interesse Ł stato realizzato il tentativo di estorsione.
Invero, il decidente non ha tenuto conto dell’aspetto strutturale della ‘ndrangheta, la quale non Ł una somma di tante autonome organizzazioni territoriali, ma un’unica compagine, seppur con molteplici sfaccettature.
Pertanto, l’esistenza di interrelazioni tra le differenti articolazioni territoriali costituisce espressione della vis offensiva dell’associazione, determinata dalla comune militanza, e dell’operatività della compagine, attuata mediante l’esercizio della capacità di intimidazione.
Ne consegue che l’interazione con esponenti di altra locale denota, semmai, la riconducibilità dei diversi nuclei associativi ad un’unica e comune organizzazione verticistica, caratterizzata dal perseguimento di scopi univoci e illeciti e dunque da un medesimo disegno criminoso.
Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
L’avv. COGNOME nell’interesse del ricorrente, ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso Ł parzialmente fondato.
Giova in diritto premettere che, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato piø grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269).
In particolare, ove il giudice dell’esecuzione si trovi a dover operare la rideterminazione della pena per la continuazione tra reati separatamente giudicati con sentenze, ciascuna delle quali afferente a piø violazioni già unificate a norma dell’art. 81 cod. pen., deve dapprima scorporare tutti i reati riuniti in continuazione c.d. interna, individuare, poi, quello piø grave e, solo successivamente, sulla pena, come determinata per quest’ultimo dal giudice della cognizione, operare autonomi aumenti per i reati satellite, compresi quelli già riuniti in continuazione con il reato posto a base del nuovo computo (Sez. 1, n. 21424 del 19/03/2019, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275845; Sez. 5, n. 8436 del 27/09/2013, dep. 2014, Romano, Rv. 259030; Sez. 1, n. 38244 del 13/10/2010, Conte, Rv. 248299; Sez. 1, n. 49748 del 15/12/2009, COGNOME, Rv. 245987).
Infine, ove, come nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione si trovi ad operare la rideterminazione della pena, ai fini del riconoscimento della continuazione, tra reati oggetto di condanne emesse all’esito di distinti giudizi abbreviati, dovrà, sempre previa individuazione del reato piø grave, determinare la pena base nella sua entità precedente all’applicazione della diminuente per il rito abbreviato, con l’applicazione dell’aumento per continuazione su detta pena base, ed infine computare la diminuente per il rito abbreviato sull’entità dell’intera pena in tal modo ottenuta (Sez. 1, n. 20007 del 05/05/2010, COGNOME, Rv. 247616).
¨ stato, peraltro, precisato dalla giurisprudenza di legittimità che non porta ad un diverso risultato, sul piano aritmetico, operare la rideterminazione della pena partendo – pur sempre – dalla pena base già diminuita per il rito e disponendo poi l’aumento per la continuazione, purchØ si specifichi che anche tale aumento sia stato determinato con la diminuente del rito scelto già applicata (Sez. 5, n. 43044 del 04/05/2015, Dedinca, non mass. sul punto).
E ancora, in tema di riconoscimento della continuazione “in executivis”, qualora il giudizio relativo al reato satellite sia stato celebrato con il rito abbreviato, l’aumento di pena inflitto in applicazione dell’art. 81 cod. pen., Ł soggetto alla riduzione premiale di cui all’art. 442 cod. proc. pen., ed il giudice deve specificare in motivazione di aver tenuto conto di tale riduzione, la quale, essendo aritmeticamente predeterminata, non necessita di alcuna motivazione in ordine “al quantum” (Sez. 1, n. 26269 del 08/04/2021, Rv. 281617 – 01).
Nella fattispecie, il giudice dell’esecuzione ha fatto buon governo dei principi sopra richiamati, avendo individuato come pena base per il reato piø grave quella concretamente inflitta in esito all’applicazione della riduzione premiale del rito, disposto poi gli aumenti per la continuazione, tenendo conto della riduzione in conseguenza del rito alternativo, e fornendo un’adeguata motivazione in ordine alla congruità degli stessi alla luce della gravità dei reati e della negativa personalità del condannato (pag. 3 e 4 dell’ordinanza).
Ha, tuttavia, errato nel considerare come pena base per la condanna di cui alla sentenza sub b) quella di tre anni e otto mesi di reclusione.
A tale proposito, ha determinato l’aumento a titolo di continuazione nella misura di due anni e dieci mesi di reclusione assumendo come base di partenza la pena di tre anni e otto mesi di reclusione (come da premessa dell’ordinanza) in luogo di quella effettiva di tre anni di reclusione.
L’errato presupposto, dunque, ha indotto in errore il giudice dell’esecuzione alterando, così, il rapporto di proporzionalità tra gli aumenti complessivi fissati ai sensi dell’art. 81 cod. pen.
2. Parimenti infondato Ł il secondo motivo di ricorso.
Questa Corte ha costantemente affermato, in tema di reato continuato, che l’unicità del disegno criminoso presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di piø violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro specificità, e che la prova di tale congiunta previsione deve essere ricavata, di regola, da indici esteriori che siano significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere; cosicchØ l’identità del disegno criminoso deve essere negata qualora, malgrado la contiguità spazio-temporale ed il nesso funzionale tra le diverse fattispecie incriminatrici, la successione degli episodi sia tale da escludere la preventiva programmazione dei reati ed emerga, invece, l’occasionalità di quelli compiuti successivamente rispetto a quelli cronologicamente anteriori.
Anche recentemente, le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito che il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017 – dep. 08/06/2017, COGNOME, Rv. 270074).
Con specifico riferimento al rapporto tra il delitto associativo e i reati fine, questa Corte, applicando i principi fin qui enunciati, ha ritenuto ipotizzabile la continuazione tra gli stessi a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si Ł determinato a fare ingresso nel sodalizio (Sez. 1, n. 23818 del 22/06/2020, Toscano, Rv. 279430; Sez. 1, n. 1534 del 09/11/2017, dep. 2018, Rv. 271984).
Non Ł, quindi, configurabile la continuazione tra il reato associativo e quei reati fine che, pur rientrando dell’ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al suo rafforzamento, non erano comunque immaginabili al momento iniziale dell’associazione stessa (Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 20/03/2014, Rv. 259481; Sez. 1, n. 13609 del 22/03/2011, Rv. 249930).
Occorre, quindi, ribadire che non sussiste necessariamente la continuazione tra il delitto associativo e tutti i reati fine commessi dall’associato successivamente all’adesione all’associazione, dovendo trattarsi di reati che, al momento dell’adesione, siano stati programmati.
Tanto premesso, la Corte di appello ha ragionevolmente argomentato sull’impossibilità di ritenere l’episodio estorsivo di cui alla sentenza sub d) e gli altri reati avvinti dal medesimo disegno criminoso alla luce del carattere estemporaneo ed occasionale della condotta criminosa realizzata in territorio veneto.
Le ragioni, chiaramente enunciate nel provvedimento impugnato, che hanno indotto il ricorrente a commettere il delitto sono sufficienti per escluderne una programmazione ab origine , non assumendo alcun rilievo che lo stesso sia stato realizzato pur sempre nell’ambito della ‘ndrangheta, quale unitaria compagine associativa, e per perseguire, dunque, le medesime finalità.
Invero, per una previa e unitaria programmazione sarebbe stato necessario provare che anche il delitto di cui alla sentenza sub d) fosse stato programmato sin dall’adesione all’associazione criminosa, giacchØ la circostanza che i fatti gravitino attorno alla compagine associativa non comporta affatto che tutte le azioni compiute successivamente all’ingresso nel clan fossero legate dal nesso della continuazione.
Alla luce di quanto esposto, discende l’annullamento dell’ordinanza impugnata, limitatamente alla misura dell’aumento di pena a titolo di continuazione.
Spetterà al giudice di rinvio (da individuarsi tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 183 del 2013) assumere come base di partenza la pena base di tre anni di reclusione per il delitto di cui alla sentenza sub b).
Il ricorso deve essere rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata, limitatamente alla misura dell’aumento di pena a titolo di continuazione, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla corte di appello di venezia. rigetta il ricorso nel resto.
Così Ł deciso, 25/10/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME