Reato Continuato: La Cassazione Chiarisce i Limiti dell’Applicazione
L’istituto del reato continuato, disciplinato dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta uno strumento fondamentale per mitigare il trattamento sanzionatorio nei confronti di chi commette più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa dimostrazione dell’esistenza di un piano unitario fin dall’inizio. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito questi principi, dichiarando inammissibile un ricorso che mirava a unificare pene per reati di natura molto diversa.
I Fatti di Causa
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo che aveva richiesto al giudice dell’esecuzione di applicare la disciplina del reato continuato a due distinte sentenze di condanna divenute irrevocabili.
La prima sentenza riguardava reati di usura, commessi in un arco temporale di circa due anni. La seconda, invece, si riferiva a reati di tutt’altra natura, tra cui detenzione illegale di armi e minacce, commessi in un periodo successivo. L’imputato sosteneva che tutti i reati rientrassero in un’unica attività criminale a carattere professionale, caratterizzata anche dall’uso delle armi, e che quindi dovessero essere considerati come un unico blocco criminoso.
La Corte d’Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva già respinto questa richiesta, non ravvisando gli elementi necessari per configurare un disegno criminoso unitario.
La Decisione della Corte e l’Importanza del Disegno Criminoso nel Reato Continuato
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per ribadire un principio cardine in materia di reato continuato: l’identità del disegno criminoso deve essere rintracciabile e dimostrabile sin dalla commissione del primo reato. Non è sufficiente che i reati siano commessi dalla stessa persona, anche a breve distanza di tempo.
Le Motivazioni
Nel dettaglio, la Corte ha spiegato che la motivazione del provvedimento impugnato era adeguata e corretta. Dai documenti processuali non emergeva alcun elemento concreto che potesse collegare i fatti di usura ai successivi reati in materia di armi e minacce. In particolare, i giudici hanno sottolineato come nella commissione dei reati di usura non fosse emerso alcun episodio estorsivo, che avrebbe potuto rappresentare un ponte di collegamento con l’uso delle armi.
I reati legati alle armi e alle minacce sono stati quindi considerati come “scollegati” dall’episodio di usura. Di conseguenza, non potevano essere interpretati come il frutto di un’unica ideazione unitaria e programmata fin dall’inizio. La Corte ha inoltre specificato che le argomentazioni del ricorrente erano tese a sollecitare una diversa e alternativa lettura dei fatti, un’operazione non consentita in sede di legittimità, dove il giudizio è limitato alla corretta applicazione della legge e alla logicità della motivazione.
Le Conclusioni
Questa ordinanza rafforza un importante principio giuridico: per beneficiare del trattamento più favorevole previsto per il reato continuato, non basta asserire un generico contesto criminale. È onere dell’interessato fornire la prova rigorosa di un’unica programmazione che abbracci tutti gli episodi delittuosi, un piano che deve preesistere alla commissione del primo reato. L’assenza di tale prova, come nel caso di specie, porta inevitabilmente a considerare i reati come episodi distinti e autonomi, ciascuno da sanzionare secondo la propria gravità.
Quando si può applicare la disciplina del reato continuato?
Si applica quando si può dimostrare che più reati sono stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, che deve essere rintracciabile sin dalla commissione del primo reato.
Perché in questo caso la Corte ha negato il riconoscimento del reato continuato?
La Corte lo ha negato perché non sono emersi elementi concreti per collegare i reati di usura ai successivi reati in materia di armi e minacce. Mancava la prova di un piano unitario che legasse le diverse condotte criminose.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene giudicato manifestamente infondato?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21672 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21672 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME a SAN PAOLO BEL SITO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 15/12/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che la Corte di Appello di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di COGNOME NOME di applicare la disciplina di cui all’art. 81 cod. pen. tra i reati oggetto della sentenza pronunciata dalla Corte di Appello di Napoli il 14/7/2021, irrevocabile il 25/1/2023 per i reati di cui agli artt. 81 e 644 cod. pen., commessi a Nola dal 12/3/2009 al 2011, e quelli della sentenza Corte di Appello di Napoli del 16/9/2011, irrevocabile il 9/5/2013, per i reati di cui agli artt. 10, 12 e 14 L. 497/1974 commesso in Palma Campania il 26/1/2010, di cui all’art.697 cod. pen., commesso in San gennaro Vesuviano il 9/7/2010 e 612 cod. pen. commesso in Palma Campania nel marzo 2010;
Rilevato che con il ricorso, come anche evidenziato con la memoria pervenuta il 3 aprile 2024, si denunciano la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 81 cod. pen. evidenziando che la conclusione sarebbe errata in quanto la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto che dalle due sentenze emergerebbe che i reati sarebbero stati commessi nell’ambito di un’attività condotta con tenore professionale nella quale era previsto anche l’uso delle armi e la circostanza che le vicende sarebbero analoghe e che in una delle quali risulta coinvolto NOME COGNOME;
Rilevato che le doglianze oggetto del ricorso sono manifestamente infondate in quanto il provvedimento impugNOME ha adeguatamente motivato in ordine alla necessità che l’identità del disegno criminoso debba essere rintracciabile sin dalla commissione del primo reato e come questo non sia desumibile dagli atti dai quali -in assenza di elementi concretiemerge che nella commissione dei fatti di usura non vi è alcun episodio estorsivo e che, pertanto, i reati materia di armi e le minacce sono scollegati anche dall’episodio poi qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, e come ciò escluda che siano pertanto il frutto di un’ideazione unitaria (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01; Sez. 1, n. 13971 del 30/3/2021, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, B, Rv. 260896 – 01);
Ritenuto pertanto che il ricorso è inammissibile in quanto le doglianze sono manifestamente infondate e in parte tese a sollecitare una diversa e alternativa lettura che non è consentita in questa sede (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601);
Considerato che alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della
somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 18/4/2024