Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7245 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7245 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a Crotone il 20/03/1978
avverso l’ordinanza del 01/07/2024 della Corte di Appello di Venezia udita la relazione svolta dal Consigliere NOME Maria COGNOME
lette le conclusioni del Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME per l’accoglimento del primo motivo e il rigetto nel resto del ricorso;
letti i motivi nuovi con i quali gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME insistono per l’accoglimento del primo motivo di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ha richiesto l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 8 cod. pen. tra in fatti accertati dai seguenti provvedimenti:
-1) sentenza n. 6036/2020 del 17 febbraio 2020 della Corte di appello di Bologna, irrevocabile il 7 maggio 2022, di condanna alla pena di anni tredici e mesi uno di reclusione per i reati di associazione di tipo mafioso, estorsione continuata in concorso, emissione di fatture per operazioni inesistenti, usura continuata e trasferimento fraudolento di valori, commessi dal 2004 all’8 febbraio 2018 a
Reggio Emilia, Parma, Modena e Mantova, Verona e Vicenza;
-2) sentenza n. 669/2002 del 21 ottobre 2022 del Gip del Tribunale di Reggio Emilia, irrevocabile il 9 novembre 2022, di condanna per il reato di cui all’art. 8 d.lgs. 74 del 2000 commesso a Cadelbosco di Sopra (RE) in epoca anteriore e prossima al 20 gennaio 2015, alla pena di mesi due in continuazione con i fatti di cui alla sentenza sub 1);
-3) sentenza n. 1866/2022 del 30 novembre 2011 del Gip del Tribunale di Bologna, di condanna per i reati di cui agli artt. 582, 583, comma secondo n. 4, 585, commi 1 e 2 e 416 bis.1 cod. pen. commesso a Reggio Emilia il 5 marzo 2017.
-4) sentenza n. 623/2023 del 28 settembre 2023 del Gip del Tribunale di Reggio Emilia, irrevocabile il 19 ottobre 2023, per il reato di cui all’art. 8 d.lgs. 74 de 2000 commesso a Cadelbosco di Sopra (RE) il 28 novembre 2014, 30 dicembre 2014 e 12 gennaio 2015, alla pena di mesi uno in continuazione con i fatti di cui alla sentenza sub 1);
-5) sentenza n. 2159/2022 del 24 maggio 2022 della Corte di Appello di Venezia, irrevocabile il 17 gennaio 2024, di condanna alla pena di anni sei e giorni 20 di reclusione ed euro 8.000,00 di multa per i reati di cui agli artt. 416, commi primo, secondo e terzo e 7 416 bis.1 cod. pen. e diverse ipotesi di cui all’art. 648 bis e 416 bis.1 cod. pen., commessi in Provincia di Padova e Venezia.
La Corte di Appello di Venezia, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 1° luglio 2024, in parziale accoglimento dell’istanza proposta nell’interesse di NOME COGNOME COGNOME ha applicato l’istituto della continuazione tra i fatti accertati dalle sentenze sub 1), 2), 4) e 5), per cui ha determinato la pena complessiva in anni diciassette e mesi dieci, e ha rigettato la richiesta in ordine ai fatti di cui a provvedimento sub 3).
Il giudice dell’esecuzione, nello specifico, ha ritenuto che le imputazioni delle sentenze 1), 2), 4) e 5), siano riconducibili alla realizzazione di un unico programma criminoso rientrante nell’adesione del condannato alla diramazione emiliana, poi estesasi in Veneto e Lombardia, dell’associazione mafiosa Grande Aracri e che le modalità di esecuzione dei reati siano talí da rendere conto dell’esistenza di un originario disegno criminoso e ha escluso l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 81 cod. pen. per i fatti di cui alla sentenza sub 3). diversa conclusione in ordine al reato di lesioni personali si fonda sulla considerazione che tale reato, commesso durante un periodo di detenzione, sia il frutto di un impulso criminoso estemporaneo.
La pena complessiva finale è stata determinata ritenendo come reato più
grave quello di cui al capo A) della sentenza 6036/2020 sub 1). In aggiunta a tale pena base il giudice, tenuti fermi gli aumenti in continuazione già applicati con la medesima sentenza, e quelli di cui alle sentenze 669/2002 sub 2) e 623/2023 sub 4), ha applicato in continuazione la pena di anni tre di reclusione per il reato di cui al capo 24 della sentenza 2159/2022 sub 5), al quale ha aggiunto anni tre e mesi nove di reclusione quale ulteriore aumento complessivo per gli altri reati contenuti nella stessa sentenza 2159/2022 per un totale di anni sei e mesi nove, poi ridotti ad anni quattro e mesi sei in virtù della riduzione per il rito abbreviato.
Avverso il provvedimento ha proposto ricorso l’interessato che, a mezzo del difensore, ha dedotto i seguenti motivi.
5.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen. Nel primo motivo la difesa rileva che il giudice dell’esecuzione, contravvenendo a Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269 – 01, avrebbe del tutto omesso di dare conto dei criteri utilizzati per la determinazione degli aumenti in continuazione e, nello specifico, di quello effettuato per il reato di cui al capo di imputazione n. 24 della sentenza emessa dalla Corte di appello di Venezia, relativo a un reato della stessa indole rispetto agli altri e per il quale è stato quindi applicato un aumento disomogeneo.
5.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento del medesimo istituto per i fatti oggetto della sentenza sub 3). Nel secondo motivo la difesa evidenzia che le lesioni personali sarebbero comunque inserite nel medesimo contesto criminoso, caratterizzato dalla partecipazione del ricorrente al sodalizio ‘ndranghetistico per cui la reazione che questo avrebbe avuto nei confronti di un altro detenuto (sfregiato con lama artigianale per un sgarbo) non sarebbe riconducibile a una mera scazzottata tra detenuti ma, piuttosto, sarebbe un’azione posta in essere per ribadire la “supremazia derivante dal ruolo ricoperto nel sodalizio”.
In data 29 agosto 2024 sono pervenuti in cancelleria i motivi nuovi con i quali gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME illustrata la giurisprudenza di legittimità sul punto, insistono per l’accoglimento del primo motivo di ricorso.
In data 21 ottobre 2024 è pervenuta in cancelleria la requisitoria scritta con la quale il Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME chiede l’accoglimento del primo motivo e il rigetto nel resto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Nel primo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen. evidenziando che il giudice dell’esecuzione avrebbe del tutto omesso di dare conto dei criteri utilizzati per la determinazione degli aumenti in continuazione e, nello specifico, di quello effettuato per il reato di cui al capo di imputazione n. 24 della sentenza emessa dalla Corte di appello di Venezia, relativo a un reato della stessa indole rispetto agli altri e per il quale è stato quindi applicato un aumento disomogeneo.
La doglianza è infondata.
La motivazione provvedimento impugnato -nel quale è specificato che reato satellite oggetto del capo 24) è il più grave per cui l’aumento di tre anni è giustificato “in quanto manifestazione dell’avvio della delocalizzazione della attività criminosa di matrice ‘ndranghetistica nel territorio Veneto (già ritenuto il più grave nella sentenza n. 2159/2022 della Corte di appello di Venezia”)infatti, è congrua e risulta conforme al principio indicato nella pronuncia delle Sezioni unite richiamata dalla stessa difesa per cui «in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite» (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269 – 01).
Nel secondo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento del medesimo istituto per i fatti oggetto della sentenza sub 3) in quanto le lesioni personali sarebbero comunque inserite nel medesimo contesto criminoso, caratterizzato dalla partecipazione del ricorrente al sodalizio ‘ndranghetistico.
La doglianza è infondata.
3.1. Al fine di verificare la possibilità di applicare la disciplina del reat continuato, ai sensi dell’art. art. 81 comma secondo cod. pen. il giudice di merito è tenuto – attraverso un concreto esame dei tempi e delle modalità di realizzazione delle diverse violazioni commesse e giudicate – a individuare l’esistenza di elementi dai quali desumere la sostanziale unicità del disegno criminoso tra le condotte poste in essere.
In una corretta prospettiva sistematica, infatti, il trattamento più mite rispetto al cumulo materiale è giustificato dall’esistenza di una rappresentazione unitaria
sin dal momento ideativo delle diverse condotte violatrici – almeno nelle loro linee essenziali – da parte del soggetto agente così da potersi escludere una successione di autonome risoluzioni criminose.
Ciò perché la ricaduta nel reato e l’abitualità a delinquere non integrano di per sé il caratteristico elemento intellettivo (unità di ideazione che abbraccia i diversi reati commessi) che caratterizza il reato continuato né, evidentemente, consentono l’applicazione di un trattamento sanzionatorio più mite (Sez. 2, n. 10033 del 07/12/2022, dep. 2023. COGNOME, Rv. 284420 – 01; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, B., Rv. 260896 – 01; Sez. 2, n. 40123 del 22/10/2010, Marigliano, Rv. 248862 – 01).
La giurisprudenza di legittimità nel corso del tempo ha indicato quali possibili “indici rivelatori” della effettiva preordinazione unitaria: a) la ridotta distanz cronologica tra i diversi fatti; b) le concrete modalità della condotta; c) l’omogeneità del bene tutelato dalle previsioni incriminatrici; d) l’apprezzamento della causale e delle condizioni di tempo e luogo delle singole violazioni, aggiungendo che risulta possibile valorizzare anche soltanto alcuni di detti elementi purché significativi (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01; Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266413 01; Sez. 1, n. 8513 del 09/01/2013, Cardinale, Rv. 254809 – 01; Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255156 – 01; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098 – 01).
L’unicità del disegno criminoso, in altre parole, non può identificarsi con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose o comunque con una generale tendenza a commettere dei reati (cfr. ancora Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01 e giurisprudenza in precedenza indicata).
La nozione di continuazione, d’altro canto, non può neanche ridursi all’ipotesi che tutti i singoli reati siano stati dettagliatamente progettati e previsti, i relazione al loro graduale svolgimento, nelle occasioni, nei tempi, nelle modalità delle condotte, in quanto tale definizione di dettaglio, oltre a non apparire conforme al dettato normativo, che parla soltanto di “disegno”, porrebbe l’istituto fuori dalla realtà concreta, data la variabilità delle situazioni di fatto e la lo prevedibilità, quindi e normalmente, solo in via approssimativa.
Quello che occorre, invece, è che si abbia una visibile programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte in vista di un unico fine, concreto e specifico, che può essere ab origine anche di massima, purché i reati da compiere risultino previsti almeno in linea generale -seppure con una riserva di ‘adattamento’ alle eventualità del caso- come mezzo per il conseguimento di un unico scopo o intento prefissato (in tal senso di nuovo Sez. U, n. 28659 del
18/05/2017, COGNOME Rv. 270074 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3111 del 20/11/2013, dep. 2014, Rv. 259094 – 01; Sez. 1, n. 12905 del 17/03/2010, P., Rv. 246838 – 01
La difficoltà di applicazione pratica dell’istituto deriva dalla natura indiziaria di tale tipologia di accertamento che impone di risalire dai fatti commessi (evidenza obiettiva) a un aspetto di tipo eminentemente psichico (che si pone come antecedente ideologico), rappresentato dalla unitaria programmazione nell’ambito di una finalità ben individuata e circoscritta.
In questa prospettiva, ad esempio, le decisioni che riconoscono una particolare valenza all’indicatore logico della ‘non eccessiva distanza temporale’ tra le violazioni realizzano, pertanto, una opportuna autolimitazione della discrezionalità affidandosi ad una massima di esperienza che può essere ritenuta ragionevole (cfr. Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, dep. 2016, Esposti, Rv. 266413 – 01; Sez. 2, n. 7555 del 22/01/2014, COGNOME, Rv. 258543 – 01
Ciò perché l’elemento teleologico richiesto dal legislatore non può coincidere con un finalismo del tutto generico -come in ipotesi l’obiettivo dell’agente di realizzare profitti illeciti attraverso una tendenziale dedizione al crimine sì da soddisfare in tal modo, per un tempo consistente, i propri bisogni di vita- posto che ciò finirebbe con il contraddire la natura stessa dell’istituto quale norma di favore, tesa a mitigare il rigore del cumulo materiale nei confronti dell’agente che abbia mostrato una ridotta capacità criminale.
Da ciò deriva che un consistente intervallo temporale tra un episodio e quello successivo, salve le ipotesi in cui si rinvenga una chiara ragione giustificatrice di una attuazione temporalmente frazionata di un fine specifico, è indicatore logico di una successione di azioni sorrette da ideazione autonome o comunque orientate a realizzare più che una finalità circoscritta (come richiesto dalla norma) una tendenza soggettiva indeterminata ed ampia.
3.2. Nel caso di specie il giudice dell’esecuzione ha dato conto di avere adeguatamente valutato tutti gli elementi e la motivazione sul punto risulta conforme ai principi indicati.
La conclusione che i fatti oggetto della sentenza di cui al capo 3), le lesioni personali commesse in carcere durante la detenzione, sono il frutto di un impulso estemporaneo e non sono riferibili a una originaria programmazione criminosa, infatti, è coerente e logica.
Ciò anche considerato il lungo di lasso di tempo intercorso tra l’insorgere del disegno criminoso (il 2004 data di inizio della consumazione del primo reato) al 5 marzo 2017, anno di commissione di tale ultimo reato nei confronti di un detenuto e in occasione di una detenzione ab origine pure imprevedibile.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 7 novembre 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente