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Reato continuato: quando si applica? La Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35488/2024, ha rigettato il ricorso di un imputato che chiedeva il riconoscimento del reato continuato tra due condanne per spaccio di stupefacenti. La Corte ha ribadito che la mera ripetizione di illeciti, anche se simili e ravvicinati nel tempo, non basta a configurare l’istituto. È necessaria la prova di un’unica programmazione iniziale, assente nel caso di specie, dove i fatti apparivano piuttosto come espressione di uno stile di vita dedito al crimine, caratterizzati da diversità di luoghi, contesti e modalità operative.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato: Non Basta Ripetere il Reato, Serve un Piano Unico

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 35488 del 2024, offre un’importante lezione sui limiti di applicazione del reato continuato. Questo istituto, previsto dall’articolo 81 del codice penale, consente un trattamento sanzionatorio più favorevole quando una persona commette più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la Corte ha chiarito che la semplice abitudine a delinquere o la ripetizione di reati simili non è sufficiente per invocarne i benefici. Analizziamo insieme la decisione per capire la differenza fondamentale tra un piano unitario e uno stile di vita criminale.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo condannato con due distinte sentenze per reati legati allo spaccio di stupefacenti. Il primo episodio era avvenuto a gennaio 2022 in una città del nord Italia, mentre il secondo si era verificato circa un mese e mezzo dopo in un’altra località. L’interessato ha presentato un’istanza al Giudice dell’esecuzione per chiedere il riconoscimento del reato continuato tra i due illeciti, sostenendo che entrambi fossero parte di un unico progetto criminoso.

Il Giudice dell’esecuzione aveva però respinto la richiesta. La sua decisione si basava sulla constatazione che i reati, pur essendo della stessa natura, erano sintomatici di uno “stile di vita dedito al delitto” piuttosto che di un’ideazione unitaria. A sostegno di questa tesi, il giudice evidenziava la distanza temporale, la diversità dei luoghi e dei contesti, nonché il coinvolgimento di soggetti diversi (con l’eccezione di un complice che ricopriva ruoli differenti nei due episodi).

La Decisione della Corte e la definizione di reato continuato

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando che il giudice non avesse considerato elementi importanti come l’omogeneità dei reati, il breve lasso di tempo intercorso, le modalità operative simili e il coinvolgimento di uno stesso complice.

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del giudice dell’esecuzione. I giudici di legittimità hanno colto l’occasione per ribadire i principi consolidati in materia di reato continuato. L’applicazione di questo istituto richiede un’analisi approfondita che vada oltre la superficie degli eventi.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che per riconoscere l’unicità del disegno criminoso, non è sufficiente la presenza di alcuni indicatori esteriori come la vicinanza temporale o la somiglianza delle condotte. Ciò che conta è la prova di una “visibile programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte in vista di un unico fine”. In altre parole, è necessario dimostrare che, al momento di commettere il primo reato, l’agente avesse già pianificato, almeno nelle linee essenziali, anche i successivi.

La sentenza distingue nettamente questa situazione dalla “ricaduta nel reato” e dall'”abitualità a delinquere”. Queste ultime descrivono una tendenza a commettere crimini, una propensione che si manifesta in modo estemporaneo e occasionale, anche se ripetuto, e non una strategia pianificata a monte. La Corte ha ritenuto che il giudice di merito avesse correttamente desunto la programmazione separata di ciascun delitto dall’insieme degli elementi: l’arco temporale, la diversità di luoghi e contesti e le diverse dinamiche di complicità. La successione degli episodi appariva quindi come frutto di determinazioni estemporanee, tipiche di chi ha fatto del crimine uno stile di vita, e non di un piano unitario.

Le conclusioni

La pronuncia della Cassazione è un monito importante: il reato continuato è un istituto eccezionale che non può essere esteso a tutte le situazioni di criminalità seriale. Per ottenerne il riconoscimento, non basta affermare che i reati sono simili o vicini nel tempo. È onere della difesa fornire elementi concreti che dimostrino l’esistenza di un’unica deliberazione originaria, un progetto che preesiste al primo atto e lega tutti i successivi. In assenza di tale prova, i reati verranno considerati autonomi e sanzionati separatamente, senza il beneficio di una pena più mite.

La semplice ripetizione di reati simili in un breve periodo di tempo è sufficiente per ottenere il riconoscimento del reato continuato?
No. Secondo la sentenza, la mera reiterazione di condotte criminose, anche se omogenee e commesse in un arco temporale limitato, non è sufficiente. È necessario dimostrare l’esistenza di un’unica e preventiva deliberazione criminosa che abbracci tutti gli episodi.

Cosa si intende per ‘unico disegno criminoso’?
Per ‘unico disegno criminoso’ si intende una programmazione iniziale di una pluralità di condotte in vista di un unico fine. I reati successivi al primo devono essere stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, sin dal momento della commissione del primo illecito.

Quali elementi valuta il giudice per decidere sulla sussistenza del reato continuato?
Il giudice valuta una serie di indicatori concreti, tra cui l’omogeneità delle violazioni, la contiguità spazio-temporale, le modalità della condotta e il coinvolgimento dei medesimi soggetti. Tuttavia, la presenza di alcuni di questi indici non è decisiva se i reati appaiono frutto di determinazioni estemporanee piuttosto che di un piano unitario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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