Reato Continuato: La Cassazione Fissa i Paletti per il ‘Medesimo Disegno Criminoso’
L’istituto del reato continuato, previsto dall’articolo 81 del Codice Penale, rappresenta un’ancora di salvezza per chi ha commesso più violazioni della legge penale, consentendo di unificare le pene sotto un’unica egida sanzionatoria più favorevole. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede la prova rigorosa di un elemento fondamentale: il ‘medesimo disegno criminoso’. Con l’ordinanza n. 5431 del 2024, la Corte di Cassazione torna a ribadire i criteri per il suo riconoscimento, sottolineando che la mera vicinanza temporale o la generica attitudine a delinquere non sono sufficienti.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte nasce dal ricorso di un individuo condannato con cinque diverse sentenze per una pluralità di reati, tra cui riciclaggio, truffa e reati fallimentari. Questi reati erano stati commessi in contesti societari differenti e in diverse località geografiche. In fase di esecuzione della pena, il condannato aveva chiesto al Giudice di unificare le pene applicando la disciplina del reato continuato, sostenendo che tutte le condotte illecite fossero parte di un unico, complessivo programma criminoso.
La Corte d’Appello di Milano, in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva rigettato tale richiesta. Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione, poiché a suo dire non era stata adeguatamente valutata la presenza di indicatori concreti della sussistenza della continuazione.
La Questione del Medesimo Disegno Criminoso
Il cuore della questione giuridica ruota attorno alla definizione e alla prova del ‘medesimo disegno criminoso’. Per poter applicare il reato continuato, non basta che una persona commetta più reati. È necessario dimostrare che, fin dal momento della commissione del primo reato, l’agente avesse già ideato e pianificato i successivi, come tappe di un unico progetto. Si tratta di una programmazione unitaria che lega le diverse condotte, distinguendole da una semplice sequenza di delitti nati da decisioni estemporanee e indipendenti.
Nel caso di specie, il ricorrente sosteneva che i giudici di merito avessero errato nel non riconoscere questo legame programmatico tra i vari illeciti commessi. La difesa puntava a dimostrare che, nonostante la diversità dei reati, esistesse un filo conduttore unico, un piano originario che li collegava tutti.
Le motivazioni della Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno confermato la correttezza del ragionamento della Corte d’Appello, evidenziando come la decisione impugnata fosse adeguatamente motivata.
Secondo la Suprema Corte, il giudice dell’esecuzione aveva correttamente escluso la sussistenza di un reato continuato sulla base di elementi oggettivi:
1.  Eterogeneità delle condotte: I reati contestati erano di natura diversa (riciclaggio, truffa, reati fallimentari), rendendo difficile ipotizzare un’unica matrice programmatica.
2.  Diversità dei contesti: I crimini erano stati perpetrati all’interno di contesti societari differenti e in diverse località geografiche.
3.  Mancanza di un’ideazione iniziale: Non è emerso alcun elemento da cui desumere che, al momento della commissione del primo reato, il condannato avesse già pianificato i successivi. I reati apparivano, piuttosto, come il frutto di determinazioni criminose distinte e successive, nate da contingenze diverse.
La Corte ha richiamato un consolidato orientamento giurisprudenziale, incluse le Sezioni Unite (sent. n. 28659/2017), secondo cui l’identità del disegno criminoso deve essere rintracciabile sin dall’inizio, come un programma unitario che anticipa e comprende le future violazioni. In assenza di tale prova, i reati restano distinti e non possono beneficiare del trattamento sanzionatorio più mite previsto per la continuazione.
Le conclusioni
L’ordinanza in commento ribadisce un principio fondamentale: il reato continuato non è un beneficio concesso sulla base della mera successione cronologica di illeciti, ma richiede la prova rigorosa di un’unica ideazione criminosa che precede e avvolge tutte le condotte. Il giudice deve accertare, sulla base di elementi concreti, che i reati non siano il frutto di occasionali e distinte spinte a delinquere, ma l’attuazione di un piano preordinato. La decisione sottolinea inoltre che il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito, volto a sollecitare una diversa lettura dei fatti già correttamente valutati dai giudici delle fasi precedenti. Per chi intende richiedere l’applicazione di questo istituto, è quindi cruciale fornire prove concrete e univoche dell’esistenza di un piano criminoso unitario sin dal primo atto illecito.
 
Quando si può applicare il reato continuato?
Si può applicare quando più reati sono stati commessi in esecuzione di un ‘medesimo disegno criminoso’. Questo significa che l’agente deve aver programmato fin dall’inizio di commettere una serie di violazioni, che quindi non sono frutto di decisioni estemporanee e separate.
È sufficiente che i reati siano commessi in un periodo di tempo ravvicinato per riconoscere il reato continuato?
No. La sola prossimità temporale tra i reati non è sufficiente. Secondo la Corte, è necessario dimostrare che le condotte, anche se vicine nel tempo, siano il frutto di un’ideazione iniziale e unitaria, e non di determinazioni criminose distinte e autonome.
Cosa succede se un ricorso per cassazione è considerato manifestamente infondato?
Quando un ricorso è giudicato manifestamente infondato, la Corte di Cassazione lo dichiara inammissibile senza entrare nel merito della questione. Ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro a favore della cassa delle ammende.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5431 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 5431  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TORRE ANNUNZIATA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/09/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che il Giudice per la Corte di Appello di Milano, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di COGNOME NOME di applicare la disciplina di cui all’art. 81 cod. pen. tra i reati oggetto di cinque sentenze pronunciate dal Gip del Tribunale di Milano (per il reato di riciclaggio e altro), Gip del Tribunale di Novara (per reati di cui al D.Lvo 22/97), Corte , *Appello di Milano in riforma Tribunale di Milano (reato di cuiji 648 ter cod. pen.), Corte di appello di Milano in riforma di Tribunale di busto Arsizio (truffa e diversi reati di cui al D.Lvo 152/2006), Corte di Appello di Milano in riforma di Tribunale di Busto Arsizio (reato di cui agli artt. 216 e 223 R.D. 267/1942);
Rilevato che con il ricorso si denunciano la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 81 cod. pen. evidenziando che la conclusione sarebbe errata in quanto il giudice non avrebbe valutato la presenza dei concreti indicatori della sussistenza della continuazione e non avrebbe adeguatamente considerato che i reati sarebbero tutti parte di un medesimo complessivo programma criminoso;
Rilevato che la doglianza oggetto del ricorso è manifestamente infondata in quanto il provvedimento impugnato ha adeguatamente motivato quanto alla necessità che l’identità del disegno criminoso debba essere rintracciabile sin dalla commissione del primo reato e come questo non sia desumibile dagli atti dai quali risulta che le condotte, pure se a volte temporalmente prossime, non sono omogenee, sono stati commessi in contesti societari differenti e in diverse località geografiche e che, pertanto, i reati non sono il frutto di una iniziale ideazione quanto, piuttosto, risultano essere il frutto di determinazioni criminose distinte, non essendo all’evidenza ipotizzabile che all’atto della commissione del primo reato il condannato avesse già ideato di commettere ulteriori e diversi reati (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01; Sez. 1, n. 13971 del 30/3/2021, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, B, Rv. 260896 – 01) e ciò anche riguardo all’asserita ma non avvenuta abrogatio criminis (cfr. pag. 4 del provvedimento impugnato);
Ritenuto pertanto che il ricorso è inammissibile in quanto le doglianze sono manifestamente infondate e in parte tese a sollecitare una diversa e alternativa lettura che non è consentita in questa sede (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601);
Considerato che alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della
somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 25/1/2024