Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 31882 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: NOME COGNOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 31882 Anno 2025
Presidente: NOME
Data Udienza: 15/05/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a null (GABON) il 01/02/1992 avverso l’ordinanza del 13/01/2025 del TRIBUNALE di Torino udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette/sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, in persona di NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, Il Tribunale di Torino, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza di applicazione, presentata nell’interesse di NOME COGNOME, dell’istituto della continuazione per le seguenti sentenze:
emessa dal Tribunale di Torino in data 28/9/2019 divenuta irrevocabile il 24.6.2020;
emessa dalla Corte di appello di Torino in data 16/9/2020 divenuta irrevocabile il 12/3/2021;
emessa dal Tribunale di Torino in data 2/12/2020 divenuta irrevocabile il 8/4/2022;
emessa dal Tribunale di Torino in data 23/7/2020 divenuta irrevocabile il 15/3/2023.
Il Tribunale ha rigettato la richiesta ritenendo che i reati non costituissero espressione di un medesimo disegno criminoso, attesa la distanza temporale tra gli stessi, bensì fossero sintomatici di una tendenza a delinquere del reo.
Avverso tale provvedimento ricorre, con rituale ministero difensivo, NOME COGNOME affidandosi ad un unico motivo.
Con tale motivo, egli denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 81 cod. pen. nonchØ il relativo vizio motivazionale. In particolare, si ritiene che il Tribunale avrebbe erroneamente deciso nonostante fosse stato evidenziato che i reati risultassero commessi in un arco temporale circoscritto (dieci mesi), fossero lesivi di un medesimo bene giuridico (spaccio di stupefacenti) e costituissero espressione di una preventiva deliberazione in quanto il reo avrebbe programmato la commissione di essi già prima di giungere in Italia.
Il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto l’accoglimento del ricorso e l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
Il ricorso Ł manifestamente infondato, quindi, meritevole di una dichiarazione d’inammissibilità.
Appare opportuno ribadire alcuni principi relativi al giudizio sull’istituto della continuazione in executivis di cui agli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen. come già espressi con Sez. 1, n. 12914 del 23/02/2022, Rv. 283083.
2.1. Nel procedimento di valutazione della richiesta di applicazione dell’istituto della continuazione Ł demandato un giudizio, proprio della sede di cognizione, in ordine alla riconducibilità dei reati oggetto della istanza ad un comune disegno criminoso. Quanto alla nozione di ‘medesimo disegno criminoso’, Ł stato chiarito che si tratta della rappresentazione, in capo al soggetto agente, della futura commissione dei reati, e dunque di elemento, che attiene alla sfera psicologica del soggetto, risalente a un momento precedente la commissione del primo fra i reati della serie considerata. La ratio propria dell’istituto del reato continuato risiede nella considerazione che l’esistenza di un unitario momento deliberativo di piø reati giustifica untrattamento sanzionatorio piø favorevole e discrezionalmente determinato, non secondo i limiti edittali individuati da ciascuna fattispecie incriminatrice, bensì nel rispetto delle regole di cui all’art. 81 cod. pen. In ordine al contenuto della rappresentazione delle future condotte criminose, va osservato che, da una parte, non può riguardare una scelta di vita, che implica la reiterazione di determinate condotte criminose, nØ una generale tendenza a porre in essere determinati reati: la dedizione al delitto, il ricorso abituale ai proventi dell’attività criminosa e la soggettiva inclinazione a commettere gravi delitti dolosi sono connotazioni proprie del profilo soggettivo del reo che determinano, ai sensi degli artt. 102-108 cod. pen., un piø grave trattamento sanzionatorio, e quindi risultano incompatibili con l’istituto della continuazione fra reati. Dall’altra, la nozione di continuazione non può ridursi all’ipotesi che tutti i singoli reati siano stati dettagliatamente progettati e previsti, in relazione al loro graduale svolgimento, nelle occasioni, nei tempi, nelle modalità delle condotte, giacchØ siffatta definizione di dettaglio, oltre a non apparire conforme al dettato normativo – che parla soltanto di ‘disegno’ – e a non risultare necessaria per l’attenuazione del trattamento sanzionatorio, non considera la variabilità delle situazioni di fatto e la loro prevedibilità normalmente solo in via di larga approssimazione. Quello che occorre, invece, e che Ł sufficiente, Ł che si abbia una programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte delineate in vista di un unico fine. La programmazione può essere, perciò, ab origine anche priva di specificità, purchØ i reati da compiere risultino previsti almeno in linea generale – con l’inevitabile riserva di ‘adattamento’ alle eventualità del caso – come mezzo diretto al conseguimento di un unico scopo o intento, parimenti prefissato e sufficientemente specifico. ¨ significativo che anche la Corte costituzionale (sentenza n. 183 del 2013) abbia precisato che il giudizio sulla continuazione fra reati richiede sia accertato che il soggetto agente, prima di dare inizio alla serie criminosa, abbia avuto una rappresentazione, almeno sommaria, dei reati che si accingeva a commettere e che detti reati siano stati ispirati ad una finalità unitaria. L’accertamento dell’esistenza di un momento ideativo e deliberativo comune a piø reati va compiuto, come ordinariamente avviene per l’accertamento degli stati soggettivi, secondo le regole della prova indiziaria. Sono stati individuati, con elencazione non tassativa, ma esemplificativa, una serie di elementi (il contesto di tempo e di luogo, le modalità esecutive, la comunanza di correi, il bene giuridico) rilevanti nell’accertamento in parola, da considerare con apprezzamento analitico, quanto alla specifica rilevanza di ciascuno, e complessivo, che li valuti in maniera unitaria.
cod. proc. pen., si Ł affermato che la parte istante ha l’onere di indicare le sentenze che riguardano i reati in relazione ai quali Ł chiesto il riconoscimento della continuazione, ma non anche quello di produrre le sentenze, dato che in esecuzione si applica, diversamente dal giudizio di cognizione, la norma di cui all’art. 186 disp. att. cod. proc. pen., che onera il giudice dell’acquisizione della copia delle sentenze (Sez. 2, 18.11.2010, Rv. 249205; Sez. 2, 14.2.2014, Rv. 259069). Quanto al principio, ricorrente in giurisprudenza, secondo cui l’istante, in sede esecutiva, avrebbe l’onere di allegare gli elementi che dovrebbero fondare il riconoscimento della continuazione (Sez. 1, 25.11.2009, Rv. 245970; Sez. 5, 6.5.2010, Rv. 247356; Sez. 1, 20.4.2016, Rv. 267580), il collegio rileva che impropriamente si parla di onere, istituto che, secondo la tradizionale dottrina, significa l’esistenza, a carico di una parte, di un dovere, seppur diverso dall’obbligo e dalla soggezione. D’altra parte, la giurisprudenza che afferma l’esistenza del menzionato ‘onere di allegazione’ di elementi specifici a sostegno dell’istanza, in realtà, sottolinea la necessità che la prova dell’esistenza di un comune disegno criminoso sia effettiva, e non si limiti a registrare l’esistenza di elementi, come la prossimità spazio-temporale e l’identità del bene giuridico leso, che, di per sØ, sono neutri, essendo anche compatibili con la mera inclinazione a delinquere, fenomeno ben diverso dalla unitaria programmazione, anche generica, di piø reati. Piuttosto, dunque, si deve affermare che, trattandosi di una indagine che ha ad oggetto il momento ideativo e deliberativo del reato, spesso non rilevante e quindi trascurato nell’accertamento di merito, Ł interesse della parte rappresentare ed evidenziare al giudice gli elementi significativi dell’esistenza di un disegno criminoso comune a piø reati, elementi che potrebbero non risultare dalle sentenze di merito. La configurazione, quindi, di un mero interesse della parte, e non di un onere giuridico, comporta che la mancata allegazione di elementi specifici a sostegno dell’istanza non può, di per sØ, essere valorizzata dal giudice in senso negativo all’accoglimento della stessa. 2.3. La motivazione del provvedimento del giudice dell’esecuzione deve, confrontandosi con quanto, eventualmente, rappresentato nell’istanza dellaparte, indicare gli elementi, desumibili da quanto accertato dalle sentenze di condanna, ritenuti rilevanti nella formulazione del giudizio sulla richiesta continuazione. Motivazione sindacabile, nel giudizio di legittimità, nei limiti del controllo consentito ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
2.4. Quanto al rapporto specifico con il giudizio di cognizione, a norma dell’art. 671 cod. proc. pen., innanzitutto, la continuazione può essere riconosciuta dal giudice dell’esecuzione ‘sempre che la stessa non sia stata esclusa dal giudice della cognizione’. Sul punto, si Ł precisato che, se Ł pur vero che ‘il giudice della cognizione può riconoscere d’ufficio la continuazione tra il reato rimesso alla sua cognizione e altro per cui l’imputato ha riportato in precedenza condanna divenuta definitiva’ (Sez. 1, 24/01/2017, Rv. 269822), peraltro il giudicato si forma in relazione alle questioni decise dal giudice, e non anche in ordine alle questioni che non sono state devolute alla cognizione del giudice e che questi, pur potendole decidere d’ufficio, non ha esaminato (Sez. 1, 24/09/2015, Rv. 265251). D’altra parte, con specifico riferimento alla domanda, posta nella cognizione, di riconoscimento della continuazione così detta esterna, si Ł precisato che, da una parte, la difesa ha l’onere di indicare e depositare le sentenze condanna già divenute irrevocabili e, dall’altra, in caso di inosservanza di tale onere, il mancato esame nel merito della sussistenza del reato continuato non comporta giudicato negativo sul punto e non preclude perciò l’esame della questione ai sensi dell’art. 671, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. 6, 14/01/1999, Rv. 212706; Sez. 1, 4/11/2009, Rv. 244947). Con riguardo ai rapporti tra i giudizi di cognizione e quello instaurato ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., Ł consolidato l’orientamento, condiviso da
questo collegio, secondo il quale, anche ove fosse stato possibile, la mancata prospettazione dell’unitarietà del disegno criminoso in sede di cognizione non costituisce indice negativo della sua esistenza, che può essere quindi riconosciuta nella fase esecutiva (Sez. 1, 13/07/2018, Rv. 274327; Sez. 1, 11/07/2019, Rv. 277483; Sez. 1, 03/06/2020, Rv. 279188; contra, Sez. 1, 4/04/2014, Rv. 260088). In particolare, le scelte processuali compiute nel giudizio di cognizione – come il silenzio tenuto in ordine a dati fattuali che potrebbero essere rilevanti al fine del riconoscimento della continuazione ovvero la scelta di non formulare la richiesta ai sensi dell’art. 81 cod. pen. con riguardo a reati già giudicati noncostituiscono di per sØ dati rilevanti nel giudizio sulla continuazione, trattandosi di scelte dettate dall’interesse difensivo nel giudizio di cognizione. Piuttosto, va rilevato che il giudice dell’esecuzione deve fondare il proprio giudizio sulla base di quanto accertato nei giudizi di cognizione e quindi quelle scelte difensive possono incidere sulla formazione dei dati valutabili nel giudizio ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen.
Nel caso in esame giudice dell’esecuzione ha valorizzato taluni principi di diritto ed ha fondato il giudizio negativo su alcuni accertamenti in fatto in relaziona alla distanza temporale intercorrente tra i vari reati rilevando che, in alcune occasioni, il ricorrente fosse anche stato arrestato. Ora, se Ł pur vero che ‘in tema di reato continuato, la detenzione in carcere o altra misura limitativa della libertà personale, subita dal condannato tra i reati separatamente giudicati, non Ł di per sØ idonea ad escludere l’identità del disegno criminoso e non esime il giudice dalla verifica in concreto di quegli elementi (quali ad esempio la distanza cronologica, le modalità esecutive, le abitudini di vita, la tipologia dei reati, l’omogeneità delle violazioni, etc.) che possono rivelare la preordinazione di fondo che unisce le singole violazioni’ (Sez. 1, n. 32475 del 19/06/2013, Rv. 256119), questo Collegio intende dar continuità al principio di diritto espresso da Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, Rv. 245833, secondo cui ‘Ł legittima la decisione con cui il giudice di merito, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigetti l’istanza di applicazione della continuazione – tra reati di detenzione e vendita di sostanze stupefacenti susseguitisi per dieci anni – fondata sul medesimo titolo di reato, sulla comune non eccessiva gravità dei fatti e sulla non grande distanza temporale tra essi intercorrenti, in quanto ciò non Ł sufficiente ad integrare l’unicità del disegno criminoso con la conseguenza che le singole manifestazioni della volontà violatrice della norma o delle norme esprimono l’attuazione, sia pure dilazionata nel tempo, di un’unica, pregnante, irripetuta determinazione intellettiva’.
Dall’esame del provvedimento impugnato in relazione al motivo di ricorso non Ł possibile rilevare utili indicazioni per ritenere effettivamente violate le norme in tema di applicazione del reato continuato, se non ‘l’omogeneità del bene giuridico violato e dei reati commessi’, mentre depone in senso contrario l’affermazione, meramente labiale, secondo cui il condannato, clandestino e privo di attività lavorativa abbia continuato, abbia fin dall’inizio ideato di venire in Italia per violare la legge, di cui al Testo Unico Stupefacenti, al fine di trarre i mezzi di sussistenza, accettando il rischio di venire arrestato. Non Ł chiarito dal motivo di ricorso, infine, quale sia il profilo viziato della motivazione del provvedimento impugnato, ritenuta comunque inutile la produzione di provvedimenti relativi ad altri soggetti che, per fatti simili, hanno visto accolta la loro richiesta.
Il ricorso, per tali ragioni, deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così Ł deciso, 15/05/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME