Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 24687 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 24687 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/06/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 2099/2025
– Relatore –
COGNOME NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da:
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano – in funzione di giudice dell’esecuzione – ha parzialmente rigettato l’istanza, volta al riconoscimento del vincolo della continuazione, presentata da NOME COGNOME con riferimento ai reati rispettivamente giudicati:
con sentenza della Corte di appello di Milano del 19/11/2012 (sentenza passata in giudicato il 28/11/2013 e relativa ai delitti di cui agli artt. 628 cod. pen. e 2-4 legge 02 ottobre 1967, n. 895, commessi in Milano il 02/11/2009 e il 15/02/2010);
con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano del 25/02/2013 (sentenza passata in giudicato il 30/04/2014 e relativa ai reati ex artt. 624-bis cod. pen. e 73 d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309, commessi in data anteriore e prossima al 14/07/2007).
Il giudice dell’esecuzione ha invece accolto la medesima istanza, limitatamente ai reati rispettivamente giudicati:
con sentenza della Pretura circondariale di Monza del 30/10/1992 (sentenza divenuta irrevocabile il 11/10/1993 e relativa al delitto di cui all’art. 648 cod. pen., commesso in Muggiò il 14/05/1992);
con sentenza della Pretura circondariale di Milano del 27/06/1995 (sentenza divenuta irrevocabile il 07/01/1997, relativa al delitto di cui all’art. 648 cod. pen., commesso in Milano il 17/01/1993)
e, per l’effetto, ha rideterminato la pena complessiva – per i fatti unificati in continuazione nella misura di anni uno, mesi dieci di reclusione ed euro 413,00 (già lire 800.000,00).
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo un motivo unico, a mezzo del quale viene denunciata violazione di legge, per esser stato ritenuto operante il divieto di cui all’art. 671 comma 1, ultima parte cod. pen., sulla base di una errata lettura della sentenza di merito.
Una delle richieste avanzate era tesa a ottenere l’unione in continuazione, con riferimento ai
reati giudicati mediante la medesima sentenza di condanna, emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano in data 25/02/2013; il ricorrente era stato condannato, in tal caso, per il reato di cui all’art. 73 T.U. stup. e per quello di cui all’art. 648 cod. pen., senza il riconoscimento del suddetto vincolo fra tali due reati. Ha errato il giudice dell’esecuzione, allora, nel ritenere che in sentenza fosse stata esclusa la sussistenza della continuazione, atteso che vi Ł solo una menzione – nella parte inerente al trattamento sanzionatorio – dell’inesistenza di apprezzabili collegamenti fra i due reati. Ciò non implica, però, la sussistenza del divieto di cui all’art. 671 cod. proc. pen., anche in considerazione del fatto che – in sede esecutiva – non era stata avanzata dal ricorrente alcuna istanza in tal senso.
Non si Ł formato, quindi, alcun giudicato negativo, circa la possibilità di unificare, ai sensi dell’art. 81 cod. pen., il reato concernente sostanza stupefacente e il furto in abitazione. A ciò si aggiunga che il divieto de quo sussiste solo a fronte di piø sentenze o decreti penali irrevocabili, ma non con riferimento a reati giudicati mediante la stessa sentenza.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso. L’esame nel merito, ad opera del giudice della cognizione, in ordine alla sussistenza del vincolo della continuazione, preclude l’esame della questione, a norma dell’art. 671, comma primo, cod. proc. pen., da parte del giudice della esecuzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł da dichiarare inammissibile.
Riprendendo quanto sintetizzato in parte narrativa, si può precisare come la richiesta rivolta dall’odierno ricorrente – in sede di incidente di esecuzione – fosse volta alla unificazione, sotto il vincolo della continuazione, di due distinti reati, ex art. 624bis cod. pen ed ex art. 73 d.P.R. 309/1990, commessi in data anteriore e prossima al 14/07/2007. Tali fatti erano stati giudicati – nella fase della cognizione – mediante un processo unico, che era quindi culminato nell’emissione di una sola sentenza, ossia quella emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano il 25/02/2013 e che si trova riportata, al punto 4), nella prima pagina dell’ordinanza impugnata, (sentenza divenuta irrevocabile il 30/04/2014). 2.1. Tale operazione, però, può esser compiuta esclusivamente in sede di cognizione; laddove ciò fosse consentito in executivis , infatti, essa avrebbe la valenza di porre nel nulla il giudicato e, così, di consentire una riponderazione della decisione definitiva, assunta all’esito del processo.
2.1.1. Conforta tale impostazione concettuale, in primo luogo, l’inequivocabile dato letterale dell’art. 671 cod. proc. pen., che espressamente postula la presenza di ‘procedimenti distinti’. Il dettato normativo rende chiaro, dunque, come venga a formarsi già il giudicato, all’esito della fase della cognizione; la valutazione circa la sussistenza di una preventiva ideazione unitaria – e, consequenzialmente – in ordine alla possibilità di unificazione di distinte ipotesi criminose, sotto l’egida previsionale dell’art. 81 cod. pen., costituisce pertanto proprio uno degli oggetti specifici del processo.
Questa Ł la ragione per la quale non Ł possibile immaginare, già normativamente, una questione attinente all’unificazione sotto il vincolo della continuazione – in sede esecutiva tra fattispecie di reato giudicate all’interno del medesimo processo.
Tale assetto sistematico – che non contempla eccezioni alla regola generale – riposa sul fatto che l’applicazione della disciplina della continuazione, tra reati contestualmente giudicati all’interno del medesimo processo, rientri proprio nello specifico oggetto del giudizio stesso di cognizione. Tale tematica Ł destinata a rimanere coperta dal giudicato, che investe – in assenza di impugnazioni – la determinazione del trattamento sanzionatorio, con
riferimento al dedotto e al deducibile, salve le eccezioni derivanti, ad esempio, dalla declaratoria di illegittimità costituzionale del trattamento sanzionatorio (questione imposta, quindi, da una sopravvenienza; per una ipotesi particolare, Sez. 1, n. 6225 del 30/10/2024, dep. 2025, Akibe, Rv. 287557 – 01, a mente della quale: ‹‹La richiesta di rideterminazione “in executivis” della pena applicata con sentenza irrevocabile di patteggiamento, presentata a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma penale, diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, deve rispettare lo schema procedimentale previsto dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., e, in caso di mancato accordo tra le parti, il giudice dell’esecuzione può provvedere “ex officio” alla rideterminazione solo nel caso in cui la pronuncia di incostituzionalità abbia determinato di per sØ l’illegalità della pena, e non anche nel caso in cui essa possa conseguire a valutazioni discrezionali, eventuali ed incerte››) o correlate a specifiche ‘valvole di sicurezza’, funzionali al mantenimento della tenuta costituzionale del sistema in tema di illegalità della pena.
Si veda, sotto tale ultimo profilo, il dictum di Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283689 – 01, che ha chiarito la sussistenza – in capo alla Corte di cassazione, in attuazione degli artt. 3, 13, 25 e 27 Cost. – del potere, esercitabile anche in presenza di ricorso inammissibile, di rilevare l’illegalità della pena determinata dall’applicazione di sanzione che si presenti “ab origine” contraria all’assetto normativo vigente, in quanto di specie diversa da quella prevista dalla legge, ovvero irrogata in misura superiore al massimo edittale (si veda anche, in tema, Sez. 1, n. 27435 del 07/06/2024, Charaf, Rv. 286609 – 01, quanto alla deducibilità in executivis del profilo di illegalità della pena, in ragione della erronea applicazione, ad opera del tribunale, di una pena detentiva per un reato attribuito alla cognizione del giudice di pace).
2.1.2. Giova anche rammentare, incidenter tantum , che opera – in sede esecutiva – la preclusione comportata dal principio generale dell’ordinamento, che Ł costituito dal divieto del ne bis in idem. Tale principio, sancito dall’art. 649 cod. proc. pen., per quanto attiene alla cosa giudicata formale, che viene a formarsi all’esito del giudizio di cognizione, trova un ulteriore ancoraggio, per ciò che concerne la fase della esecuzione – e, correlativamente, per tutti i procedimenti incidentali, complementari e/o speciali in vario modo conformati attraverso il rinvio alle disposizioni di cui all’art. 666 cod. proc. pen. – nella comminatoria della inammissibilità, prevista dall’art. 666 cod. proc. pen., comma 2 cod. proc. pen., nel caso di mera riproposizione della medesima richiesta già disattesa, che risulti fondata sui medesimi elementi.
Differentemente da quanto accade per quella ‘forte’, che Ł propria della res iudicata – la preclusione cd. debole, correlata al divieto di cui sopra, copre però il “dedotto” e non anche il “deducibile” (Sez. 1, n. 30496 del 3/6/2010, COGNOME, Rv. 248319). La preclusione ‘debole’ del giudicato esecutivo, dunque, non opera a fronte della deduzione di elementi nuovi (cd. nova), sia di fatto che di diritto, quali, sotto tale ultimo profilo, lo ius superveniens o il “mutamento di giurisprudenza, intervenuto con decisione delle Sezioni unite della Corte di cassazione” (Sez. U, n. 18288 del 21/1/2010, COGNOME, Rv. 246651).
Nell’ambito del concetto giuridico dei nova , atti a vincere la preclusione esecutiva, pacificamente rientrano tutti gli elementi cronologicamente sopravvenuti, rispetto alla decisione e influenti sulla medesima. Ma anche rilevano elementi pregressi o coevi che, tuttavia, non abbiano formato oggetto di considerazione, neppure implicita, da parte del giudice (Sez. 1, n. 27712 del 01/07/2020, COGNOME, Rv. 279786 – 01; Sez. 1, n. 4835 del 07/11/2018, Albino, n.m.; Sez. 4, n. 32929 del 04/06/2009, COGNOME Rv. 244976 – 01; Sez. 4, n. 4273 del 28/11/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242502 – 01).
2.2. L’introduzione invece – in sede di cognizione – di sentenze irrevocabili rese in altri processi, ai fini dell’applicazione dell’istituto della continuazione, costituisce mera facoltà riconosciuta all’interessato, con la conseguenza che, nel caso quest’ultimo opti per la soluzione negativa e non introduca la questione, rimane pur sempre aperta la porta del processo esecutivo. Ma tra reati giudicati all’interno del medesimo processo, si pone il problema della determinazione del trattamento sanzionatorio e – in assenza di impugnazione (non importando che la questione sia stata dedotta o meno) – non Ł configurabile la facoltà di rivolgersi al giudice dell’esecuzione.
2.3. Tale impostazione concettuale e interpretativa, per la verità, Ł sorretta da una risalente e consolidata giurisprudenza di legittimità, che Ł tale da non lasciare spazio a difformi interpretazioni del testo della norma, nØ sotto il profilo funzionale, nØ con riferimento alla coerenza sistematica.
Sul punto, si veda Sez. 7, n. 37394 del 29/03/2019, COGNOME, Rv. 277415 – 01, a mente della quale: ‹‹Il giudice dell’esecuzione può fare applicazione della disciplina del reato continuato e del concorso formale di reati solo con riguardo a fatti oggetto di distinte sentenze di condanna››; Ł utile ricordare, inoltre, come nella parte motiva di tale ordinanza sia dato leggere quanto segue: ‹‹Si opina, da parte della difesa, che nel caso di specie il Giudice della cognizione non si sia pronunciato sulla relativa questione, sicchØ nessuna violazione dell’intangibilità del giudicato potrebbe configurarsi. Rileva, nondimeno, il Collegio che l’argomento difensivo si fonda su una circostanza di fatto rimasta del tutto indimostrate, non ricavandosi alcun elemento idoneo a suffragarne l’esistenza nØ all’interno del provvedimento impugnato, nØ in eventuale, ma non allegata, documentazione della difesa; sicchØ l’impugnazione appare, pertanto, connotata da un insuperabile deficit di autosufficienza sul punto centrale della prospettazione difensiva›› (nello stesso senso, si può richiamare Sez. 1, n. 2819 del 09/05/1995, COGNOME, Rv. 201470 – 01, secondo la quale: ‹‹L’applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato “in executivis” ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. non Ł consentita con riferimento a fatti giudicati con unica sentenza, in quanto si verrebbe, in caso contrario, a violare il principio di intangibilità del giudicato, quale che sia il motivo per cui all’istituto non sia stata data operatività nella fase di cognizione››; medesima lettura della norma Ł stata fornita da Sez. 1, n. 20169 del 22/01/2009, COGNOME, Rv. 243862 – 01; Sez. 1, n. 5755 del 01/12/1994, dep. 1995, COGNOME, Rv. 200875-01 e Sez. 1, n. 4568 del 06/11/1992, dep. 1993, COGNOME, Rv. 193442-01).
2.4. E inoltre, sia pure occupandosi direttamente di altra questione, Sez. U, n. 36460 del 30/05/2024, COGNOME, Rv. 287004 – 01, in motivazione, hanno ricordato, a proposito del rapporto tra poteri del giudice della cognizione e ambito di intervento del giudice esecutivo, che – ove il giudice della cognizione, pur avendo il potere di decisione, rimanga in silenzio e nella sentenza non si rinvengano elementi per desumere che, almeno implicitamente, abbia preso in considerazione una determinata questione – l’errore non Ł valutativo ma, appunto, di percezione, per non essersi il giudice reso conto della esistenza di un nodo critico su cui intervenire risolutivamente. E questo tipo di errore, per l’assoluta mancanza di contenuto valutativo (seppure un potere di decisione vi sia), non impedisce che della questione si occupi il giudice dell’esecuzione.
Al riguardo, Sez. U COGNOME ricordano le conclusioni di Sez. U, n. 26259 del 29/10/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266872 – 01, le quali hanno affrontato la questione relativa alla rilevabilità in sede esecutiva della (parziale) abrogazione della norma incriminatrice, per effetto di un intervento legislativo di modifica della disposizione, antecedente però alla pronuncia della sentenza di condanna divenuta irrevocabile. Le medesime Sez. U COGNOME ricordano, al
riguardo, anche gli approdi interpretativi di Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, COGNOME, Rv. 216239 – 01, che, tuttavia, concernono il diverso problema dell’applicazione della disciplina della continuazione, rispetto ai reati oggetto di altro procedimento, definito con sentenza irrevocabile.
Ora, con riguardo ai reati oggetto di un unico procedimento, Ł invece dato ravvisare una concreta decisione del giudice della cognizione, in ordine al trattamento sanzionatorio, che esprime una non equivoca valutazione – ancorchØ non accompagnata dall’esplicita esclusione dei presupposti applicativi di cui all’art. 81 cod. pen. – in ordine alla non applicabilità della disciplina della continuazione, che deve necessariamente essere contestata, in via esclusiva, attraverso il rimedio costituito dall’impugnazione.
2.5. Tanto chiarito in punto di inquadramento dogmatico del tema, non vi Ł chi non rilevi come – nel provvedimento impugnato – venga offerta una risposta distonica, rispetto alla dedotta questione; l’avversata decisione Ł interamente imperniata, infatti, sui temi dell’estensione e dell’operatività del divieto ex art. 671 primo comma cod. proc. pen., per esser stata già esclusa la continuazione in sede di cognizione; a fronte di ciò, Ł del tutto aspecifica e decentrata anche la critica contenuta nel ricorso, che sostanzialmente si risolve nell’auspicio di una rilettura della suindicata sentenza, al fine di ricavarne la conclusione che la preventiva ideazione unitaria non sia mai stata colà esclusa.
Eppure, dato che il petitum dell’incidente di esecuzione Ł radicalmente infondato, risolvendosi nella richiesta di unificazione di reati giudicati mediante unica sentenza, la richiesta non ha alcuna possibilità di venire accolta.
Ciò legittima questa Corte a procedere alla correzione della motivazione della sentenza, vigendo in executivis – il principio in base al quale il giudice Ł tenuto ad attenersi alla richiesta che instaura l’incidente probatorio, ma con esclusivo riferimento al petitum , quale elemento che circoscrive il perimetro decisorio demandatogli, restando poi libero quanto alla “causa petendi”; ciò comporta che – ferma restando l’identità del petitum – il giudice dell’esecuzione può decidere sulla base di ragioni ulteriori e diverse, rispetto a quelle prospettate dalle parti (si veda, sul punto, Sez. 1, n. 45791 del 03/12/2024, COGNOME, Rv. 287385 – 01).
2.6. Giova nuovamente affermare, in conclusione, la regola ermeneutica già ripetutamente cristallizzata in diverse decisioni di questa Corte e pienamente conforme da dato testuale della norma, ovvero che il giudice dell’esecuzione può fare applicazione della disciplina del reato continuato e del concorso formale, esclusivamente in relazione a fattispecie di reato che siano state giudicate in processi distinti e che abbiano quindi formato – all’esito della fase di cognizione – oggetto di separate sentenze, a patto sempre che la sussistenza della preventiva ideazione unitaria non sia stata colà già esclusa.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre che di una somma – che si stima equo fissare in euro tremila – in favore della Cassa delle ammende (non ravvisandosi elementi per ritenere il ricorrente esente da colpe, nella determinazione della causa di inammissibilità, conformemente a quanto indicato da Corte cost., sentenza n. 186 del 2000).
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 13/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME