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Reato continuato: quando si applica? Guida pratica

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32518/2025, ha rigettato il ricorso di un’imputata che chiedeva il riconoscimento del reato continuato per diversi episodi di spaccio avvenuti tra il 2020 e il 2024. La Corte ha stabilito che un notevole lasso di tempo tra i fatti e un’escalation criminale (con il coinvolgimento anche di armi) sono indici che escludono l’esistenza di un ‘medesimo disegno criminoso’, anche in presenza di una conclamata tossicodipendenza.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato: La Guida Definitiva della Cassazione

L’istituto del reato continuato, previsto dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un importante strumento di mitigazione della pena. Esso permette di considerare più violazioni della legge penale, commesse in momenti diversi, come un’unica entità legata da un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa valutazione da parte del giudice. Con la recente sentenza n. 32518/2025, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti essenziali sui criteri per il suo riconoscimento, analizzando un caso complesso di reati legati allo spaccio di stupefacenti commessi nell’arco di diversi anni.

Il caso in esame: una serie di reati di spaccio dal 2020 al 2024

Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte riguardava una persona condannata per tre distinti episodi di reati legati agli stupefacenti, commessi rispettivamente nel febbraio 2020, settembre 2023 e marzo 2024. La difesa aveva richiesto al Tribunale di Milano, in fase di esecuzione della pena, di applicare la disciplina del reato continuato, sostenendo che tutti gli episodi fossero frutto di un unico piano criminoso. A sostegno di questa tesi, veniva evidenziato anche lo stato di tossicodipendenza della persona, accertato nel 2024. Il Tribunale, però, aveva rigettato l’istanza, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

La decisione della Corte: quando il reato continuato non sussiste

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del giudice dell’esecuzione, ritenendo il ricorso infondato. Secondo gli Ermellini, gli elementi presentati non erano sufficienti a dimostrare l’esistenza di un’unica programmazione criminosa che abbracciasse un arco temporale così esteso. La notevole distanza di tempo tra i fatti e la diversa gravità degli stessi sono stati considerati elementi decisivi per escludere l’applicazione del beneficio.

Le motivazioni: i criteri per il riconoscimento del reato continuato

La sentenza offre un’analisi approfondita dei presupposti necessari per poter configurare il reato continuato. La Corte ribadisce che il nucleo centrale dell’istituto è la presenza di un “medesimo disegno criminoso”, che non può essere confuso con una generica tendenza a delinquere o con una “scelta di vita”.

L’importanza del “medesimo disegno criminoso”

Il disegno criminoso deve essere una programmazione unitaria, ideata prima dell’inizio della serie di reati, che lega le diverse condotte come parte di un unico piano. Questo piano non deve essere necessariamente dettagliato in ogni sua parte, ma deve essere presente, almeno nelle sue linee generali, sin dall’inizio.

Gli indici rivelatori

La giurisprudenza ha individuato alcuni “indici rivelatori” che possono aiutare il giudice a verificare l’esistenza di tale disegno:
– La ridotta distanza cronologica tra i fatti.
– L’omogeneità delle modalità della condotta.
– L’identità o l’omogeneità del bene giuridico violato.
– La similarità delle condizioni di tempo e di luogo.

Il fattore tempo e l’escalation criminale

Nel caso specifico, la Corte ha sottolineato come il lungo intervallo temporale tra i reati (dal 2020 al 2024) fosse un forte indicatore logico di una successione di decisioni criminali autonome, piuttosto che dell’attuazione di un piano unitario. Inoltre, la Corte ha notato un’escalation nella gravità dei fatti: si è passati da ipotesi di spaccio a condotte più gravi che includevano anche la detenzione di armi ed esplosivi. Questa progressione è stata interpretata come un segno di scelte criminali successive e non di un piano originario.

Il ruolo della tossicodipendenza

Infine, la sentenza chiarisce un punto fondamentale riguardo alla tossicodipendenza. Sebbene l’art. 671 del codice di procedura penale preveda che tale condizione debba essere valutata, essa non comporta un automatico riconoscimento del reato continuato. È un elemento probatorio che il giudice deve considerare, ma non può, da solo, superare la presenza di altri indicatori di segno contrario, come appunto la notevole distanza temporale e l’escalation criminale. Nel caso di specie, mancava qualsiasi altro elemento specifico che potesse collegare i reati a un’unica ideazione.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa pronuncia della Cassazione rafforza un principio cardine: per ottenere il beneficio del reato continuato, non basta commettere reati simili. È necessario dimostrare, attraverso elementi concreti, che tutte le condotte illecite erano state programmate in anticipo come parte di un unico piano. Un lungo periodo di tempo tra i crimini e una loro crescente gravità rendono questa prova estremamente difficile, trasformando quella che potrebbe sembrare una serie di reati continuati in una successione di autonome risoluzioni criminose, punibili singolarmente con un trattamento sanzionatorio più severo.

La commissione di più reati dello stesso tipo è sufficiente per ottenere il riconoscimento del reato continuato?
No, la semplice omogeneità dei reati non è sufficiente. È indispensabile dimostrare che essi siano stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, cioè un piano unitario preordinato alla commissione di più violazioni.

Un lungo intervallo di tempo tra un reato e l’altro esclude sempre il reato continuato?
Non lo esclude in modo assoluto, ma è un forte indicatore logico contrario al suo riconoscimento. Un consistente intervallo temporale suggerisce una successione di decisioni criminali autonome, a meno che non si fornisca una chiara ragione che giustifichi un’attuazione così frazionata nel tempo di un unico piano.

Lo stato di tossicodipendenza obbliga il giudice a riconoscere il reato continuato per reati di spaccio?
No, lo stato di tossicodipendenza è un elemento che il giudice deve valutare, ma non determina l’automatico riconoscimento della continuazione. Deve essere supportato da altri indici che dimostrino l’unicità del disegno criminoso e non può prevalere quando altri elementi, come il lungo tempo trascorso, indicano una direzione opposta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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