Reato Continuato: La Cassazione Nega il Legame tra Reati Distanti nel Tempo
L’istituto del reato continuato rappresenta un caposaldo del nostro sistema penale, offrendo un trattamento sanzionatorio più favorevole a chi commette più violazioni della legge penale in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa valutazione da parte del giudice. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i confini di questo istituto, negandone l’applicazione a due reati commessi a distanza di sette anni, nonostante fossero riconducibili allo stesso soggetto e avessero danneggiato lo stesso ente. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso: Un Appello contro la Decisione della Corte Territoriale
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imprenditore, legale rappresentante di una società a responsabilità limitata, avverso una sentenza della Corte d’Appello. Il ricorrente chiedeva il riconoscimento della continuazione tra un primo reato, commesso nel 2011, e un successivo reato di fallimento, avvenuto ben sette anni dopo. La tesi difensiva sosteneva che, essendo entrambi i reati commessi in danno dell’Amministrazione Finanziaria e dallo stesso soggetto, essi dovessero essere considerati come parte di un unico programma criminoso, beneficiando così della disciplina più mite del reato continuato.
La Corte d’Appello, però, aveva respinto tale interpretazione, una decisione che l’imprenditore ha impugnato dinanzi alla Corte di Cassazione.
La Questione Giuridica: I Requisiti del Reato Continuato
Il cuore della questione giuridica ruota attorno all’articolo 81, secondo comma, del codice penale. Questa norma stabilisce che chi, con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge, è punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata fino al triplo.
L’elemento fondamentale è il “medesimo disegno criminoso”, che implica una programmazione unitaria e ab origine dei diversi reati. Non è sufficiente una generica inclinazione a delinquere, ma è necessaria la prova che l’autore, fin dal primo reato, avesse previsto e deliberato, almeno nelle linee essenziali, anche i successivi. È proprio su questo punto che si è concentrata l’analisi della Suprema Corte.
Le Motivazioni della Cassazione sul Reato Continuato
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, confermando pienamente la decisione della Corte d’Appello. Secondo gli Ermellini, manca un elemento cruciale: l’assenza di circostanze concrete da cui desumere che l’imprenditore, già nel 2011, avesse programmato il successivo reato di fallimento.
Il notevole lasso di tempo intercorso tra i due fatti – ben sette anni – è stato considerato un fattore decisivo. Una tale distanza temporale rende improbabile l’esistenza di un piano criminoso unitario e preordinato. La Corte ha sottolineato che la semplice identità del soggetto agente (l’imprenditore) e del soggetto passivo (l’Amministrazione Finanziaria) non è sufficiente a dimostrare l’unicità del disegno criminoso.
Al contrario, i giudici hanno qualificato i due reati come espressione di “autonome risoluzioni criminose”, dettate da una “pervicace volontà criminale” non meritevole di beneficiare di istituti di favore come la continuazione. La condotta dell’imputato, secondo la Corte, non è stata il frutto di un unico progetto, ma di decisioni delinquenziali distinte e maturate in momenti diversi.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di reato continuato: la prova del medesimo disegno criminoso deve essere rigorosa e basata su elementi concreti. La sola identità delle parti coinvolte o la natura simile dei reati non basta. La distanza temporale tra le condotte assume un peso rilevante nella valutazione, potendo diventare un indice decisivo per escludere l’unicità del programma criminoso.
Per gli operatori del diritto, questa decisione serve come monito: per invocare con successo l’applicazione del reato continuato, è indispensabile fornire al giudice elementi fattuali (come la tempistica, le modalità esecutive, il contesto) che dimostrino in modo inequivocabile una programmazione unitaria e originaria di tutti gli illeciti contestati. In assenza di tale prova, i reati verranno considerati autonomi, con conseguenze ben più severe sul piano sanzionatorio.
È sufficiente che due reati siano commessi dalla stessa persona a danno dello stesso soggetto per configurare il reato continuato?
No, secondo la Corte non è sufficiente. È necessario dimostrare l’esistenza di un medesimo disegno criminoso, ovvero che l’autore avesse programmato tutti i reati sin dall’inizio, almeno nelle linee generali.
Quale importanza ha la distanza temporale tra i reati nella valutazione del reato continuato?
La distanza temporale ha un’importanza decisiva. Un notevole lasso di tempo tra i reati, come i sette anni del caso di specie, è un forte indizio contro l’esistenza di un unico disegno criminoso e supporta l’idea che si tratti di autonome risoluzioni criminose.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene giudicato manifestamente infondato?
Se un ricorso è ritenuto manifestamente infondato, la Corte lo dichiara inammissibile. Ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33435 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33435 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BERGAMO il 02/06/1956
avverso la sentenza del 18/11/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
P
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e la sentenza impugnata pronunciata in sede di rinvio.
Rilevato che il ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato;
Considerato, infatti, che il provvedimento impugnato, in puntuale applicazione dei principi in materia di continuazione come declinati dalla giurisprudenza di legittimità, ha ineccepibilmente osservato che osta al riconoscimento della continuazione tra i reati indicati nel motivo aggiunto, con rilievo decisivo, l’assenza di circostanze da cui desumere che il predetto, sin dalla consumazione del primo reato (risalente all’anno 2011), avesse programmato, sia pure nelle linee generali richieste dall’art. 81, secondo comma, cod. pen., anche quello successivo di fallimento, tenuto conto della distanza temporale intercorsa tra di essi (sette anni), non essendo sufficiente al riguardo la circostanza che egli fosse il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e che siano stati commessi in danno della Agenzia delle Entrate. In tale contesto i reati commessi sono riconducibili ad autonome risoluzioni criminose ed espressione di una pervicace volontà criminale non meritevole dell’applicazione di istituti di favore;
Considerato che le censure del ricorrente, oltre ad essere generiche, sollecitano una lettura alternativa del compendio probatorio tratto dalle sentenze in esecuzione da sovrapporre a quella, non manifestamente illogica, del giudice dell’esecuzione;
Ritenuto che deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 25 settembre 2025.