Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12625 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12625 Anno 2019
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/02/2018
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 09/03/1971 a TERZIGNO
avverso l’ordinanza del 06/04/2017 della CORTE APPELLO di POTENZA sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
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Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurator generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità de ricorso in ragione della relativa manifesta infondatezza.
OSSERVATO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con ordinanza emessa il 6 aprile 2017 la Corte di appello di Potenza, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la domanda di NOME (prenome) NOME (cognome) per l’applicazione, in sede esecutiva, della disciplina del rea continuato (art. 81, secondo comma, cod. pen.) quanto ai delitti di violazione dell disciplina legale relativa alle sostanze stupefacenti (concorso in detenzione vendita illecita di sostanze stupefacenti; associazione finalizzata al traffico il di sostanze stupefacenti e concorso in detenzione e offerta illecita di sostanz stupefacenti) per la cui commissione, rispettivamente il 12 novembre 2008 e nel periodo compreso fra mese di febbraio 2010 e quello di novembre 2011, egli era stato condannato con due sentenze, irrevocabili, rispettivamente emesse dalla Corte di appello di Napoli il 2 febbraio 2010 e dalla Corte di appello di Potenza 15 settembre 2016;
che la motivazione di tale decisione è nel senso che: per fare applicazione della disciplina legale relativa al reato continuato è necessario che le singole azi illecite costituiscano estrinsecazione di un unico programma delittuoso, deliberato sin dall’inizio nelle sue linee essenziali; il criterio di valutazione prem (ancorché non decisivo) allo scopo è costituito dall’intervallo temporale intercor fra le diverse violazioni giudizialmente accertate; nel caso concreto le condott criminose del ricorrente vennero poste in essere in due distinti archi temporali con intervallo cronologico piuttosto rilevante, all’interno del quale NOME ve ristretto in carcere e agli arresti domiciliari, dal momento che il fatto acce dalla sentenza resa dalla Corte di appello di Napoli venne commesso il 12 novembre 2008, mentre quelli accertati dalla Corte di appello di Potenza si riferiscono a periodo compreso fra il mese di febbraio 2010 e quello di novembre 2010; se è vero che tali evenienze non sono astrattamente incompatibili con l’identità del disegno criminoso, è altrettanto vero che le modalità di commission del delitto accertato con la prima di tali sentenze e quelle di perpetrazione reati accertati con la seconda pronuncia rendono «inverosimile ed ardua la possibilità di ricondurre tutte le condotte criminose ad una deliberazione unitari avendo riguardo – in particolare – al diverso e più ampio contesto nel quale sono maturate le successive condotte di spaccio, da cui è derivata anche la condanna per il reato associativo, ed al differente ambito territoriale in cui sono realizzate»; l’omogeneità delle violazioni e la medesimezza del movente ispiratore delle varie azioni criminose non provano l’esistenza della preventiva deliberazione che ne unifica l’ideazione prima della loro commissione;
che la cassazione di tale ordinanza è stata da NOME chiesta con due ricorsi; che con il primo atto (sottoscritto dal difensore, avvocato NOME COGNOME l’ordinanza è criticata per manifesta illogicità della relativa motivazione, aven giudice dell’esecuzione valorizzato il solo dato temporale, senza considerare che i reati avevano tutti «natura omogenea» ed erano stati «commessi a brevissima distanza temporale l’uno dall’altro»;
che ad avviso del ricorrente sono «emersi molteplici elementi da cui si poteva arguire la eventuale sussistenza di un’unica determinazione criminosa», con la conseguenza che il giudice «avrebbe dovuto svolgere un esame più approfondito e specifico delle condotte e delle modalità esecutive dei vari episodi criminosi»;
che, invero: le condotte accertate con la sentenza emessa dalla Corte di appello di Potenza vennero poste in essere quando esso ricorrente era detenuto in regime di arresti domiciliari per il reato accertato con la sentenza della Corte di appel Napoli; «le condotte associative, oggetto del secondo giudicato, erano proiettate a realizzare reati fine concretizzatisi in un piccolo spaccio»; l’elemento unificant condotte era sempre «una detenzione di droga finalizzata allo spaccio»;
che, inoltre, il giudice dell’esecuzione ha «disatteso le sue stesse determinazion che aveva riportato nella sentenza di merito»; sì che il rigetto della domanda «non sembra essere una consequenziale risposta ai rilievi operati dallo stesso giudice nella pronuncia di seconde cure».
che con il secondo atto (sottoscritto personalmente da NOME), essenzialmente fondato sui contenuti di, allegata, informativa di reato redatta dal Comand Carabinieri di Potenza, si afferma che solo la detenzione in carcere (verificatasi f il 12 novembre 2008 e il 20 dicembre 2010) per la commissione del primo reato poteva costituire impedimento alla commissione di reati in materia di stupefacenti, mentre la stessa venne ripresa, a partire dal 20 dicembre 2010, allorché esso ricorrente venne ristretto, fino al 16 aprile 2011, agli arresti domiciliari;
che, inoltre, l’ordinanza impugnata non ha valutato in maniera attenta i contenuto delle sentenze di condanna che evidenziano che fin dall’anno 2008 NOME COGNOME aveva coltivato rapporti con esso ricorrente e con il proprio frate NOME COGNOME nel rifornimento ed acquisto della sostanza stupefacente (come è dato desumere dal contenuto della stessa informativa di reato);
che il Procuratore generale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità dei rico in ragione della relativa manifesta infondatezza;
che le censure, per come compendiate nei due atti, sono manifestamente infondate;
che l’accertamento della sussistenza dei presupposti di applicazione della disposizione contenuta nell’art. 81, secondo comma, cod. pen., necessita nel processo di esecuzione, non diversamente che in quello di cognizione, di una
approfondita verifica della esistenza dei concreti indicatori di tali presup l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temp singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenz essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno d suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determ estemporanea (in questo senso cfr., per tutte, Cass. S.U., n. 28659 del 18 2017, COGNOME, Rv. 270074);
che, in tale ordine di concetti, la motivazione dell’ordinanza impugnata s alle critiche (in parte connotate da alquanta astrattezza e in parte richiami ad elementi di fatto) ad essa mosse dal ricorrente, avendo esc maniera logica, che al momento della commissione del primo delitto costit violazione della disciplina legale in materia di stupefacenti (12 novembre ricorrente avesse programmato in linea di massima la commissione, a partir mese di febbraio 2010, anche dei delitti (di partecipazione ad associaz delinquere finalizzata al traffico illecito di stupefacenti e di concorso in ed offerta illecite di sostanze stupefacenti) accertati con la sentenza de 2015, in ragione: del rilevante arco temporale intercorso fra i due fat delle loro diverse modalità esecutive; dei diversi ambiti territoriali i vennero posti in essere; dall’essere stato il ricorrente, nel periodo succ commissione del reato dell’anno 2008, ristretto in carcere e, successivamen arresti domiciliari;
che dalla manifesta infondatezza del ricorso derivano: la declaratoria d inammissibilità (art. 606, comma, 3, cod. proc. pen.); la condanna del ri al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad es la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. 186 del 2000), al versamento di una somma di danaro alla Cassa delle ammen che stimasi equo determinare nella misura di duemila euro (art. 616 cod pen.).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammend
Così deciso in Roma il 19 febbraio 2018.