Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 31121 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 31121 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Villaricca il 10/09/1995
avverso la sentenza del 16/12/2024 della Corte d’appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l’Avv. COGNOME in sostituzione dell’Avv. COGNOME COGNOME in difesa di COGNOME PaoloCOGNOME il quale si è riportato ai motivi del ricorso, chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16/12/2024, la Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del 22/05/2024 del G.i.p. del Tribunale di Napoli, emessa in esito a giudizio abbreviato, ritenute le riconosciute circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante di cui all’art. 629, secondo comma, cod. pen., e alla recidiva, rideterminava in tre anni, sei mesi e venti giorni di reclusione ed 1.400,00 di multa la pena irrogata a NOME COGNOME per il reato di tentata estorsione pluriaggravata – anche dai cosiddetti metodo mafioso e agevolazione mafiosa del clan camorristico “NOME COGNOME” – in concorso (con NOME
COGNOME) ai danni di NOME COGNOME confermando la condanna dell’COGNOME per tale reato, commesso il 10/03/2023.
Avverso la menzionata sentenza del 16/12/2024 della Corte d’appello di Napoli, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME, NOME COGNOME affidato a due motivi – che il ricorrente argomenta in modo unitario -, con i quali deduce: a) con riferimento all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la nullità della sentenza impugnata in relazione all’art. 81 cod. pen.; b) con riferimento all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione sempre in relazione all’art. 81 cod. pen.
Ciò con riguardo al diniego, da parte della Corte d’appello di Napoli, del riconoscimento della continuazione tra il reato sub iudice di tentata estorsione pluriaggravata in concorso ai danni di NOME COGNOME e i reati di estorsione anch’essi, come quello sub iudice, aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen. – di cui alle sentenze:
del 22/12/2017 del Tribunale di Napoli, con la quale egli era stato condannato per i reati di cui ai capi A) e B) dell’imputazione, sentenza parzialmente riformata con la sentenza del 21/02/2019 della Corte d’appello di Napoli – che aveva rideterminato la pena in quattro anni e sei mesi di reclusione – divenuta irrevocabile il 29/10/2019;
del 13/07/2021 del G.u.p. del Tribunale di Napoli, parzialmente riformata con la sentenza del 24/03/2022 della Corte d’appello di Napoli – che aveva rideterminato la pena in sei anni di reclusione ed C 4.300,00 di multa – divenuta irrevocabile il 07/09/2022.
Dopo avere premesso che – poiché egli aveva rinunciato ai motivi di appello concernenti l’accertamento del fatto e la sua responsabilità (come è stato dato atto alla pag. 6 della sentenza impugnata) -, «tutte le deduzioni esperite nella sentenza di I Grado attinenti all’accertamento del fatto debbano ritenersi oramai statuizioni irrevocabili», il ricorrente trascrive la parte della sentenza d primo grado (precisamente, l’ultimo capoverso della pag. 7, l’intera pag. 8 e il primo paragrafo della pag. 9) nella quale il G.i.p. del Tribunale di Napoli aveva motivato la sussistenza delle aggravanti, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., cosiddette del metodo mafioso e dell’agevolazione mafiosa, in particolare del clan camorristico “NOME COGNOME“. Di tale parte, il ricorrente sottolinea l’affermazione del G.i.p. del Tribunale di Napoli secondo cui «il richiedere un “contributo” per il “sostentamento” degli affiliati e delle famiglie dei detenuti, rappresenti un caso di scuola» di agevolazione mafiosa.
Il ricorrente trascrive anche il secondo capoverso della pag. 13 della sentenza di primo grado, sottolineando come, nello stesso, il G.i.p. del Tribunale di Napoli
avesse fatto «espresso riferimento alla posizione dell’COGNOME NOME ricollegandola a quella del padre capo della NOME COGNOME» (così il ricorso), nonché al fatt che «i tanti collaboratori evidenziano il ruolo assolutamente primario che ha avuto NOME COGNOME sin quando è stato arrestato, per estorsione aggravata dal metodo mafioso, nel febbraio 2021» – cioè per l’estorsione di cui alla seconda delle citate sentenze irrevocabili -, e sostiene come ciò «consenta di ritenere sussistente il vincolo della continuazione».
L’COGNOME trascrive poi un ampio stralcio dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere nella parte relativa alle circostanze aggravanti del metodo mafioso e dell’agevolazione mafiosa dal quale risulterebbe che il giudice della cautela «ricollegava la figura dell’COGNOME NOME al clan NOME COGNOME riconnettendo in unicum tutte quelle che sono le sentenze per le quali si ritiene la continuazione» e sottolinea il contenuto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che sono menzionate alla pag. 25 della stessa ordinanza.
Ad avviso del ricorrente, sarebbe pertanto «chiaro che la sentenza di I grado, in fatto e in diritto anche attraverso il richiamo dei CDG, nonché l’Occ, con certezza rappresentava l’esistenza del vincolo di continuazione tra il presente processo e gli altri due processi, magnificando l’appartenenza ed il collegamento dell’Esposito al sodalizio, evidenziando la programmazione e l’ideazione di una molteplicità di azioni esecutive del medesimo disegno criminoso attraverso azioni sovrapponibili visto che non si trattava di estorsioni di distinte ontologicamente ma in tutti processi si discorre del taglieggiamento di commercianti con esercizi siti in San Pietro a Patierno al fine di provvedere al pagamento delle mesate dei detenuti in particolari periodi dell’anno».
Dopo avere trascritto anche il proprio motivo di appello sul punto, l’COGNOME, nel passare all’esame della motivazione della sentenza impugnata, rileva anzitutto come la Corte d’appello di Napoli abbia erroneamente affermato che egli aveva chiesto «di estendere il vincolo della continuazione» (pag. 7, terz’ultimo capoverso, della sentenza impugnata) anche con riferimento a un’ulteriore sentenza della Corte d’assise di Napoli dalla quale si evinceva che NOME COGNOME, padre di NOME COGNOME, era stato il reggente del clan “COGNOME” dal 2011 al 2015, atteso che tale sentenza era stata da lui richiamata solo a fini di prova dell’invocata continuazione con i reati che si sono indicati sopra.
Il ricorrente lamenta poi che, nonostante la Corte d’appello di Napoli abbia dato atto (alla pag. 7 della sentenza impugnata) che egli, nel proprio appello, aveva invocato due passi della prima delle due sentenze in relazione alle quali aveva chiesto il riconoscimento del vincolo della continuazione nei quali si valorizzava, rispettivamente, il fatto che egli «doveva farsi carico delle famiglie dei carcerati stante l’attuale detenzione del padre e del cognato» e che la persona
offesa NOME COGNOME aveva affermato che era notorio che, dopo la carcerazione del padre NOME COGNOME, NOME COGNOME ne aveva preso il posto, «tale dato in realtà poi non viene sviluppato e analizzato» dalla stessa Corte d’appello.
L’COGNOME contesta poi che la Corte d’appello di Napoli avrebbe negato in modo «aprioristico» e immotivato il rilievo dell’avvenuto riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati di cui alle due sopra indicate sentenze irrevocabili.
Il ricorrente lamenta poi che la motivazione di cui al settimo capoverso della sentenza impugnata sarebbe «aprioristica» e priva di «alcuno apporto argomentativo», atteso che la Corte d’appello di Napoli «non si interfaccia con le deduzioni in punto di responsabilità espresse dal giudice di I grado, né si interfaccia con le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che testimonierebbero il medesimo disegno criminoso pur richiamato nella sentenza di I grado, ma soprattutto non si interfaccia con gli argomenti pur richiamati a pag. 7 della sentenza impugnata con i quali nel richiamare i passaggi della sentenza di I grado si poneva l’attenzione sul ruolo sovraordinato dal 2015 dell’COGNOME NOME all’interno della consorteria criminale e sulle richieste estorsive formulate per le famiglie dei carcerati sin dall’anno 2015 in esecuzione del medesimo disegno criminoso riferibili alla consorteria criminale».
Sarebbe, ancora, «non sensato sotto il piano proprio argomentativo» quanto esposto dalla Corte d’appello di Napoli negli ultimi tre capoversi della pag. 8 e nel primo paragrafo della pag. 9 della sentenza impugnata. L’Esposito lamenta al riguardo che la stessa Corte d’appello, «pur riconoscendo che i reati sarebbero stati commessi al fine di agevolare la COGNOME nel medesimo territorio, ritiene aprioristicamente che lo scenario acclarato in cui si sono svolti i fatti estorsivi, d certo non ci consenta di rilevare l’esistenza del medesimo disegno criminoso ritenendosi insussistenti prove ulteriori. Dimentica il giudice di valutare i compendio probatorio già ritenuto nella sentenza di I grado, ma soprattutto dimentica di valutare il contenuto della sentenza dell’anno 2015 nella quale già si riteneva sussistente un unico disegno criminoso che poi si sarebbe dipanato nel prosieguo in varie azioni criminali. Pertanto, la prova dell’esistenza del disegno criminoso viene formulata dalla difesa, e già ritenuta dalla sentenza di I grado, ove è proprio lo scenario acclarato, ovvero, la tipologia di richiesta estorsiva formulata in favore dei detenuti del clan che nel suo in sé testimonia il medesimo disegno criminoso».
Dalla richiamata sentenza del 2015, non risulterebbe soltanto una «generale inclinazione a commettere reati sotto la spinta di fatti e circostanze occasionali» (così alla pag. 9 della sentenza impugnata), atteso che, con tale sentenza del 2015, «si dava atto non di un contributo occasionale alla vita di un clan, ma
dell’ingresso all’interno di un contesto criminale dell’COGNOME NOME finalizzato a mantenere in vita il sodalizio criminale attraverso la formalizzazione di richieste estorsive per i soggetti appartenenti al gruppo funzionale a mantenere in vita il sodalizio e al fine di realizzare gli scopi specifici del sodalizio».
Secondo il ricorrente, sarebbe illogico e giuridicamente non corretto ritenere, come avrebbe fatto la Corte d’appello di Napoli alla pag. 9 della sentenza impugnata, che «non sia sufficiente a dedurre l’unitarietà del disegno criminoso dalla sola prova dell’adesione dell’COGNOME NOME al Clan NOME COGNOME per la realizzazione degli scopi specifici del sodalizio criminale, ovvero dalla circostanza che il reato sia stato commesso in un’epoca ove l’imputato vantava una partecipazione del medesimo clan, essendo necessario dimostrare che l’autore avesse deliberato l’ultimo reato, almeno nelle linee essenziali, già al momento della commissione delle precedenti estorsioni, non bastando invece che la loro deliberazione e programmazione avvenga nel corso nello svolgimento della sua partecipazione al sodalizio e che i reati fine siano stati commessi per il perseguimento degli scopi dell’associazione».
Così ritenendo, la Corte d’appello di Napoli «tralascia di evidenziare che le azioni commesse dall’COGNOME rientrano in azioni necessarie al mantenimento in vita del sodalizio criminale. E pertanto, la loro programmazione al di là delle individuazioni particolari delle vittime, viene esperita ab origine dal soggetto che agisce in funzione del perseguimento di quella finalità associativa».
Il ricorrente conclude che «neanche il discorso sulla distonia temporale appare aver alcun senso ove, se da un lato, il giudice non valuta che altra autorità giudiziaria con provvedimento non irrevocabile avrebbe riconosciuto la continuazione tra le sentenze di cui al punto n. 1 e n. 2, pertanto, eliminando quella che era la problematica temporale, dall’altro, non può disconoscersi che la continuità delle azioni viene fondata dalla difesa anche muovendo i propri rilievi sulla sentenza di cui al p. 1, richiamata a pag. 7 della sentenza impugnata, ove tra l’altro il reato sottoposto alla nostra valutazione sarebbe stato commesso in costanza dell’esecuzione della sentenza di cui al punto n. 2, altro elemento non valutato nella sentenza impugnata»
CONSIDERATO IN DIRITTO
I due motivi – i quali, concernendo entrambi il mancato riconoscimento dell’invocata continuazione ed essendo stati anche argomentati unitariamente, possono essere esaminati congiuntamente – sono manifestamente infondati.
È opportuno precisare preliminarmente che, come risulta dalla lettura della sentenza impugnata e dei passi dell’ordinanza di custodia cautelare che sono stati trascritti dal ricorrente nel suo ricorso, i reati rispetto ai quali l’Esposito av
invocato il vincolo della continuazione con quello di tentata estorsione pluriaggravata sub iudice commesso il 10/03/2023, sono costituiti: 1) da una tentata estorsione, aggravata dal metodo mafioso, commessa tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre 2015 (reato oggetto della sentenza del 22/12/2017 del Tribunale di Napoli, parzialmente riformata con la sentenza del 21/02/2019 della Corte d’appello di Napoli, divenuta irrevocabile il 29/10/2019); 2) da una tentata estorsione e da una estorsione, aggravate dal metodo mafioso e dall’agevolazione mafiosa, commesse alla fine di dicembre del 2020 (reati oggetto della sentenza del 13/07/2021 del G.u.p. del Tribunale di Napoli, parzialmente riformata con la sentenza del 24/03/2022 della Corte d’appello di Napoli, divenuta irrevocabile il 07/09/2022).
Ciò precisato, si deve rammentare che Corte di cassazione ha chiarito che l’unicità del disegno criminoso richiesto per la configurabilità del reato continuato non si identifica con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose, essendo invece necessario che le singole violazioni, concepite almeno nelle loro caratteristiche essenziali, costituiscano parte integrante di un unico programma deliberato per conseguire un determinato fine (Sez. 5, n. 5599 del 03/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258862-01, relativa a una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata che aveva escluso la continuazione fra reati dello stesso tipo – furti in abitazione – commessi a distanza di un breve lasso temporale, 21 giorni in un caso e 10 in un altro).
Successivamente, con la sentenza “COGNOME“, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno precisato che il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di un’approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074-01).
L’unicità del disegno criminoso presuppone quindi l’anticipata e unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro specificità (Sez. 1, n. 35797 del 12/05/2006, COGNOME, Rv. 234980-01).
La Corte di cassazione ha anche statuito che, in tema di continuazione, il decorso del tempo costituisce elemento decisivo sul quale fondare la valutazione ai fini del riconoscimento delle condizioni previste dall’art. 81 cod. pen., atteso che, in assenza di altri elementi, quanto più ampio è il lasso di tempo fra le
violazioni, tanto più si deve ritenere improbabile l’esistenza di una programmazione unitaria predeterminata almeno nelle linee fondamentali (Sez. 4, n. 34756 del 17/05/2012, Madonia, Rv. 253664-01).
Da quanto si è detto, discende anche che il problema della sussistenza o no della medesimezza del disegno criminoso si risolve in una quaestio facti, la cui soluzione è rimessa, di volta in volta, all’apprezzamento del giudice di merito (Sez. 5, n. 44606 del 18/10/2005, Traina, Rv. 232797-01).
Posti tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, si deve osservare come la Corte d’appello di Napoli abbia reputato che, tenuto anche conto della lunga distanza temporale dalle precedenti estorsioni (le quali, come si è detto, erano state commesse, la prima tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre del 2015 e la seconda alla fine di dicembre del 2020; laddove quella sub iudice era stata commessa il 10/03/2023) non si potesse ritenere che, al momento della commissione della tentata estorsione del 2015, l’COGNOME avesse già programmato, nelle sue linee essenziali, l’estorsione ai danni di NOME COGNOME.
Da ciò la conseguenza che quest’ultima estorsione (tentata), ancorché fosse stata anch’essa commessa, come le precedenti, con metodo mafioso e, eventualmente, anche per perseguire uno degli scopi del clan camorristico “NOME COGNOME” (in particolare, quello di sostenere gli affiliati e le famiglie di quanti di e erano detenuti), non si poteva ritenere avvinta dal vincolo della continuazione, in assenza, appunto, di un’anticipata e unitaria ideazione delle specifiche estorsioni e, in particolare, di quella ai danni di NOME COGNOME
Tale motivazione appare in linea con i principi, affermati dalla Corte di cassazione, che si sono rammentati sopra, e risulta altresì del tutto priva di contraddizioni e di manifeste illogicità, con la conseguenza che essa si sottrae a censure in questa sede e, in particolare, a quelle che sono state avanzate dal ricorrente, dovendosi in proposito precisare che, diversamente da quanto egli mostra di ritenere, perché si abbia reato continuato non è sufficiente un generico piano di attività delinquenziale – quale può essere quello di un’associazione criminosa di commettere delle estorsioni -, ma occorre che tutte le azioni (o omissioni) siano comprese, fin dal primo momento e nei loro elementi essenziali e individualizzanti, nell’originario disegno criminoso, al fine di evitare che i meccanismo sanzionatorio previsto dall’art. 81, secondo comma, cod. pen., si traduca in un automatico beneficio premiale conseguente alla mera reiterazione di reati, anche se della stessa specie.
Si deve, infine, osservare, con riguardo ad alcune più specifiche doglianze del ricorrente, che: a) l’errore che è stato commesso dalla Corte d’appello di Napoli col ritenere che l’COGNOME avesse chiesto la continuazione anche con riferimento alla sentenza della Corte d’assise d’appello di Napoli che si è menzionata nella
parte in fatto non risulta avere avuto alcun effetto sulla decisione della stessa Corte d’appello; b) il fatto che il G.i.p. del Tribunale di Napoli avesse riconosciuto la sussistenza del vincolo della continuazione tra i reati oggetto delle due sentenze passate in giudicato non implica di per sé che lo stesso vincolo dovesse essere ritenuto sussistente con riferimento alla successiva tentata estorsione ai danni del Mormile, dovendosi, in ogni caso, osservare che lo stesso ricorrente, nel proprio atto di appello, aveva dato atto di come il suddetto provvedimento del G.i.p. fosse stato annullato dalla Corte di cassazione; c) il fatto che l’estorsione ai danni del COGNOME sia stata commessa dell’COGNOME durante l’esecuzione della pena che era stata allo stesso comminata con la seconda delle due sentenze irrevocabili non appare incidere, né giuridicamente né logicamente, sulla valutazione della sussistenza o no dell’invocata continuazione.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 09/07/2025.