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Reato continuato: quando non si applica la Cassazione

La Cassazione ha negato l’applicazione del reato continuato a una donna condannata per induzione indebita (come dipendente pubblica) e reati fiscali (come amministratrice di società). La Corte ha ritenuto i reati troppo eterogenei e privi di un unico disegno criminoso, confermando la decisione della Corte d’Appello.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato: La Cassazione Chiarisce i Limiti tra Reati Diversi

L’istituto del reato continuato rappresenta un concetto fondamentale nel diritto penale, offrendo un trattamento sanzionatorio più mite a chi commette più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa valutazione da parte del giudice. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22956 del 2024, torna su questo tema, delineando con chiarezza i confini per il suo riconoscimento, specialmente quando i reati commessi sono di natura eterogenea.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda una donna condannata in due distinti procedimenti penali.

1. Prima Condanna: La prima sentenza la riconosceva colpevole del reato di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.). In qualità di impiegata dell’Agenzia delle Entrate, aveva abusato della sua posizione per indurre una persona a versarle indebitamente circa 16.000 euro, promettendo di bloccare o differire il pagamento di alcune cartelle esattoriali. I fatti si sono svolti fino al settembre 2012.

2. Seconda Condanna: La seconda condanna riguardava una serie di reati fiscali (artt. 2 e 8 del D.Lgs. 74/2000). In questo caso, la donna aveva agito come amministratrice di fatto di una società, utilizzando ed emettendo fatture per operazioni inesistenti negli anni d’imposta 2011 e 2012 per consentire l’evasione fiscale a sé e ad altre società.

L’imputata, in sede di esecuzione, chiedeva al giudice di riconoscere il vincolo della continuazione tra i reati delle due sentenze, sostenendo che fossero tutti parte di un unico progetto criminale. La Corte d’Appello, tuttavia, respingeva la richiesta, ritenendo i reati non omogenei e cronologicamente troppo distanti per costituire un’unica ideazione.

La Decisione della Cassazione e i Criteri del Reato Continuato

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici d’appello, rigettando il ricorso della donna. La sentenza ribadisce i principi consolidati per l’applicazione del reato continuato. L’elemento centrale non è la mera vicinanza temporale o una generica propensione a delinquere, ma l’esistenza di un’unica, anticipata e unitaria ideazione criminale.

Perché si possa parlare di ‘medesimo disegno criminoso’, è necessario che l’agente, prima di commettere il primo reato, si sia rappresentato e abbia deliberato una serie di violazioni della legge penale, delineandole almeno nelle loro caratteristiche essenziali. La prova di tale programmazione deve emergere da indici concreti e significativi.

L’assenza di un unico disegno criminoso nel caso di specie

La Corte ha sottolineato come una ‘proclività al delitto’ o un ‘programma di vita improntato al crimine’ non possano essere confusi con il reato continuato. Quest’ultimo presuppone un singolo impulso psicologico che porta a una pluralità di azioni, mentre la tendenza a delinquere è una condizione personale che viene sanzionata attraverso altri istituti, come la recidiva.

Le motivazioni

La motivazione centrale della decisione risiede nella plateale assenza di omogeneità tra le condotte delittuose. I giudici hanno evidenziato che:

* Natura dei Reati: Il primo reato (induzione indebita) lede il buon andamento e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione. I secondi (reati fiscali) attentano invece alla fedeltà fiscale e al corretto adempimento degli obblighi tributari. I beni giuridici protetti sono quindi nettamente distinti.
* Qualità del Soggetto Agente: Nel primo caso, la donna ha agito abusando della sua qualità di soggetto incaricato di un pubblico servizio. Nei reati fiscali, ha operato come una privata cittadina, nella veste di amministratrice di una società.

Questa eterogeneità sostanziale, secondo la Corte, è un elemento decisivo che impedisce di ricondurre i diversi episodi criminosi a un’unica matrice ideativa. Anche se vi è una parziale sovrapposizione temporale, l’arco di tempo (dal 2011 al 2013) è stato considerato troppo ampio per essere un indice univoco di unicità del disegno. La difesa aveva provato a collegare i fatti sostenendo che le somme dell’induzione indebita fossero state fatturate dalla società usata per i reati fiscali, ma questo elemento non è stato ritenuto sufficiente a superare la profonda diversità strutturale dei reati.

Le conclusioni

La sentenza n. 22956/2024 della Cassazione consolida un principio fondamentale: per il riconoscimento del reato continuato è necessaria una verifica approfondita e rigorosa di indicatori concreti. Non basta una semplice contiguità temporale o spaziale, né una generica tendenza criminale. È indispensabile dimostrare, attraverso elementi come l’omogeneità delle violazioni, l’identità del bene protetto e le modalità della condotta, che tutti i reati sono stati concepiti e portati a esecuzione come parte di un unico e predeterminato programma criminoso. In assenza di tale prova, i reati restano distinti e autonomi, con le relative conseguenze sul piano sanzionatorio.

Quando si può parlare di ‘reato continuato’ tra più illeciti?
Secondo la sentenza, si può parlare di reato continuato solo quando vi è la prova di un’unica e anticipata ideazione criminosa che abbraccia tutte le violazioni commesse. Questo ‘disegno criminoso’ deve essere già presente, almeno nelle sue linee essenziali, nella mente del reo prima della commissione del primo reato.

La vicinanza nel tempo dei reati è sufficiente per riconoscere il reato continuato?
No. La sentenza chiarisce che la contiguità temporale è solo uno degli indicatori da valutare e, da sola, non è sufficiente. Devono sussistere altri elementi significativi, come l’omogeneità dei reati per natura, modalità e causali, che dimostrino l’esistenza di un piano unitario e non di determinazioni estemporanee.

Perché in questo caso la Corte ha escluso il reato continuato tra l’induzione indebita e i reati fiscali?
La Corte lo ha escluso a causa della profonda eterogeneità tra i reati. Il primo era un delitto contro la Pubblica Amministrazione, commesso abusando di una qualità pubblica, mentre i secondi erano reati tributari commessi in veste di privato cittadino (amministratore di società). Questa diversità nella natura dei reati e nei beni giuridici lesi è stata ritenuta incompatibile con l’esistenza di un unico disegno criminoso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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