Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22956 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22956 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nata a Camposampiero (PD) il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del 19/07/2023 della Corte di Appello di Venezia; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME formulava al giudice dell’esecuzione istanza ai sensi dell’art. 671 cod. proc. perì., chiedendo riconoscersi il vincolo della continuazione tra i reati giudicati con le seguenti sentenze:
sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE del 17/05/2016, irrevocabile dal 23/09/2020, di condanna alla pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione per il reato di cui agli articoli 81 cpv. e 319 quater cod. pen. («perché, abusando della sua qualità di soggetto incaricato di pubblico servizio, in quanto impiegata dell’RAGIONE_SOCIALE, con la millanteria e la promessa di poter bloccare o quantomeno differire nel tempo i pagamenti di talune cartelle esattoriali , induceva la signora COGNOMENOME a versare indebitamente, frazionata in tre distinte tranches , la somma complessiva di C 16.000 circa; in RAGIONE_SOCIALE e Loreggia fino al settembre 2012);
sentenza della Corte di Appello di Venezia del 14/10/2021, irrevocabile dal 05/04/2023, di condanna alla pena di anni 3 e mesi 7 di reclusione, in relazione a più reati di cui all’art. 2 d.lgs. 10 marzo 200, n. 74, perché, quale amministratrice di fatto della RAGIONE_SOCIALE, si avvaleva di fatture per operazioni inesistenti onde indicare nelle dichiarazioni dei redditi ed ai fini IVA relative agl anni di imposta 2011 e 2012 elementi passivi fittizi (capi 6 e 7), nonché in relazione a più reati di cui all’art. 8 d.lgs. 10 marzo 200, n. 74, perché, nella medesima qualità, emetteva negli anni, di imposta 2011 e 2012 fatture per operazioni inesistenti onde consentire ad altre società di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto (capi 10, 14, 16).
La Corte di appello di Venezia, con ordinanza del 19/07/2023, rigettava l’istanza, ritenendo gli episodi delittuosi oggetto RAGIONE_SOCIALE due sentenze non omogenei («solo in modo molto approssimativo i reati tributari possono essere considerati reati contro la p.a., che si caratterizzano per avere come fondamentale bene giuridico tutelato quello del buon andamento della p.a., laddove i reati tributari tutelano la fedeltà fiscale del contribuente. Inoltre primo è un reato proprio in cui la COGNOME ha agito nella sua qualità di dipendente dell’RAGIONE_SOCIALE, laddove i reati tributari sono stati commessi come privato cittadino») e cronologicamente distanti («dovendosi rilevare come l’arco temporale di commissione dei reati – dal 2011 al 2013 – sia eccessivamente ampio per poterlo considerare “indice” dell’unicità del disegno criminoso»).
Il difensore di COGNOME NOME ha presentato in data 25/07/2023 ricorso per cassazione avverso l’indicata ordinanza, articolando un unico motivo con il quale deduce «contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione e/o inosservanza o erronea applicazione della legge penale».
Si duole dell’omessa valorizzazione di plurimi elementi: la sostanziale omogeneità dei delitti in relazione ai quali è intervenuta condanna; la circostanza secondo cui le somme oggetto dell’indebita induzione oggetto della sentenza sub 1) furono fatturate dalla RAGIONE_SOCIALE (elemento che la difesa ritiene «oggettivamente emblematico di una stretta contiguità tra i reati»); il medesimo contesto spaziale (RAGIONE_SOCIALE) di perpetrazione dei reati; la contiguità temporale RAGIONE_SOCIALE condotte, posto che il delitto sub 1) è stato perpetrato nel periodo (tra maggio e settembre 2012) durante il quale erano in corso di perpetrazione le condotte delittuose oggetto della sentenza sub 2), commesse tra il 2011 e il 2013.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha chiesto rigettarsi il ricorso, condividen l’impianto motivazionale del provvedimento impugnato, non adeguatamente aggredito dai motivi di ricorso, atteso che «le singole condotte erano riconducibili semplicemente alla proclività al delitto o ad un generico disegno criminoso, senza considerare che le singole violazioni erano lesive di beni giuridici non omogenei ed erano state commesse in qualità di pubblico ufficiale e di privato cittadino».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Questa Corte ha costantemente affermato, in tema di reato continuato, che l’unicità del disegno criminoso presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro specificità, e che la prova di tale congiunta previsione deve essere ricavata, di regola, da indici esteriori che siano significativi, alla luce dell’esperienza, del dat progettuale sottostante alle condotte poste in essere (Sez. 4, n. 16066 del 17/12/2008, dep. 2009, Di NOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Il giudice dell’esecuzione, nel valutare l’unicità del disegno criminoso, non può attribuire rilievo ad un programma di attività delinquenziale che sia meramente generico, essendo invece necessaria la individuazione, fin dalla commissione del primo episodio, di tutti i successivi, almeno nelle loro connotazioni fondamentali, con deliberazione, dunque, di carattere non generico, ma generale (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, dep. 2016, Bottari, Rv. 267596).
L’esistenza di un medesimo disegno criminoso va desunta da elementi indizianti quali l’unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità de lasso temporale che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, l’analogia del modus operandi e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti (Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, dep. 2016, Esposti, Rv. 266413), tenendo presente che la ricaduta nel reato e l’abitualità a delinquere non integrano di per sé il caratteristico elemento intellettivo che caratterizza il reato continuato, costituito dalla unità di ideazione che abbraccia i diversi reati commessi (Sez. 2, n. 40123 del 22/10/2010, Marigliano, Rv. 248862).
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infine, ribadito che il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità RAGIONE_SOCIALE violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la
sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074).
La prova dell’unicità del disegno criminoso – ritenuta meritevole di un più benevolo trattamento sanzionatorio attesa la minore capacità a delinquere di chi si determina a commettere gli illeciti in forza di un singolo impulso, anziché di spinte criminose indipendenti e reiterate – investendo l’inesplorabile interiorità psichica del soggetto, deve dunque essere ricavata da indici esteriori significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere, indici che, tuttavia, hanno un carattere sintomatico, e non direttamente dimostrativo: l’accertamento, pur offìcioso e non implicante oneri probatori, deve assumere il carattere di effettiva dimostrazione logica, non potendo essere affidato a semplici congetture o presunzioni; esso è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamento dei fatti (Sez. 1, n. 5043 del 21/12/2022, dep. 2023, COGNOME, n.m.).
Riguardando alla luce di questi generali principi le doglianze che il difensore muove all’ordinanza impugnata, si rileva che il giudice dell’esecuzione ha ragionevolmente ritenuto l’insussistenza di elementi sufficienti per ritenere che gli illeciti per i quali è intervenuta condanna fossero frutto di un previo e unitario disegno criminoso, valorizzando principalmente l’elemento, insuscettibile di essere rivisitato in questa sede, costituito dalla plateale assenza di omogeneità tra le condotte delittuose oggetto RAGIONE_SOCIALE due sentenze di condanna.
Le censure sollevate dal ricorrente non mettono in luce elementi di contraddittorietà o di manifesta illogicità della motivazione, ma sollecitano una diversa lettura, una valutazione alternativa degli elementi sui quali si fonda la decisione; né tanto meno può sostenersi che, nell’adottare l’ordinanza qui impugnata, i giudici veneziani abbiano errato nell’applicazione della legge penale.
Ed invero, per ritenere sussistente la continuazione tra i delitti di cui alle due sentenze oggetto dell’istanza poi rigettata dai giudici veneziani sarebbe stato necessario accertare la presenza di tutti gli indicatori sopra elencati, ricordando peraltro che «Ai fini della configurabilità dell’istituto della continuazione è necessaria la prova che i reati siano stati concepiti e portati ad esecuzione
nell’ambito di un unico programma criminoso, il quale non deve essere confuso con la sussistenza di una concezione di vita improntata al crimine e dipendente dagli illeciti guadagni che da esso possono scaturire; infatti, la reiterazion della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntata al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al favor rei» (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950).
Il riconoscimento dell’unicità del disegno criminoso presuppone, infatti, l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti alla mente del reo nella loro specificità, almeno a grandi linee, situazione ben diversa dalla mera inclinazione a reiterare nel tempo più condotte delittuose, pur se ascrivibile a una determinata scelta di vita o ad un programma generico di attività delittuosa da sviluppare nel tempo secondo contingenti opportunità (Sez. 2, n. 18037 del 07/04/2004, COGNOME, Rv. 229052).
L’ordinanza impugnata ha applicato correttamente tali principi, in quanto, dopo aver ripercorso in modo dettagliato le ragioni esposte a sostegno della richiesta di riconoscimento della continuazione, ha esaminato nel dettaglio le due sentenze, ed ha, con conclusione non illogica, valutato l’impossibilità di ravvisare tra i reati da queste giudicati l’unicità del disegno criminoso, alla luce dell diversa tipologia dei reati, della eterogeneità RAGIONE_SOCIALE violazioni, RAGIONE_SOCIALE diverse modalità operative RAGIONE_SOCIALE condotte; le deduzioni del ricorrente sollecitano una non consentita rilettura RAGIONE_SOCIALE vicende, nel tentativo, disancorato dalle emergenze documentali, di dimostrare la sostanziale sovrapponibilità RAGIONE_SOCIALE violazioni, sovrapponibilità che il giudice dell’esecuzione ha, con argomentare congruo, decisamente escluso.
Il provvedimento impugnato non ha, dunque, violato le norme in tema di reato continuato, ed esibisce una motivazione puntuale, logica, coerente ed esaustiva che si rispecchia fedelmente negli elementi che possono trarsi dagli atti in carteggio: una motivazione che, pertanto, non può essere affatto ritenuta né manifestamente illogica, né contraddittoria, dovendosi, in proposito, rammentare che «Ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva dell sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di
determinare quale RAGIONE_SOCIALE due o più ipotesi formulate dal giudice – conducenti a esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento» (Sez. 5, n. 19 del 20/01/2021, Cappella, Rv. 281105).
Sulla base RAGIONE_SOCIALE considerazioni che precedono, il ricorso deve esse rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spes processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali Così deciso il 30/04/2024