Reato Continuato: La Cassazione Chiarisce i Requisiti Essenziali
L’istituto del reato continuato, disciplinato dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un importante strumento per mitigare il trattamento sanzionatorio nei confronti di chi commette più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa verifica dei presupposti. Con la recente ordinanza n. 21727/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sui confini di questa figura giuridica, sottolineando come la semplice reiterazione di condotte illecite non sia sufficiente a integrarla.
I Fatti di Causa: Tre Condanne per lo Stesso Reato
Il caso esaminato trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato con tre distinte sentenze, divenute irrevocabili, per reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990). I fatti erano stati commessi a Roma in un arco temporale di diversi anni: agosto 2012, maggio 2013 e dicembre 2015.
L’interessato si era rivolto al giudice dell’esecuzione, la Corte di Appello di Roma, chiedendo di unificare le pene inflitte sotto il vincolo della continuazione. A suo avviso, la violazione della medesima norma incriminatrice e il medesimo contesto territoriale erano elementi sufficienti a dimostrare l’esistenza di un unico disegno criminoso. La Corte di Appello, però, aveva rigettato la richiesta, spingendo il condannato a proporre ricorso per cassazione.
La Decisione della Corte di Cassazione e il concetto di reato continuato
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno confermato la correttezza della decisione della Corte territoriale, ribadendo i principi consolidati in materia di reato continuato.
La Corte ha specificato che per poter applicare l’art. 81 cod. pen., non basta la semplice ripetizione di reati dello stesso tipo. È indispensabile che l’agente abbia concepito, sin dalla commissione del primo reato, un piano unitario volto alla realizzazione di una serie di illeciti. Questo “medesimo disegno criminoso” deve essere un programma che lega finalisticamente tutte le condotte, rendendole tappe di un unico progetto.
Le Motivazioni: Assenza di un “Medesimo Disegno Criminoso”
Nel caso di specie, i giudici di legittimità hanno evidenziato come diversi elementi concreti ostacolassero il riconoscimento della continuazione. In particolare:
1. L’ampio arco temporale: i reati erano stati commessi nel corso di diversi anni, un lasso di tempo troppo esteso per essere compatibile con un’unica ideazione originaria.
2. Le diverse modalità esecutive: le modalità con cui i reati erano stati perpetrati non erano omogenee.
3. Il concorso di persone diverse: la partecipazione di complici differenti in ciascun episodio criminale indeboliva ulteriormente l’ipotesi di un piano unitario.
Questi fattori, secondo la Corte, non sono indicativi di un reato continuato, bensì di una “professionalità criminale”. La reiterazione delle condotte non era il frutto di un progetto iniziale, ma sintomo di una scelta di vita dedita stabilmente all’attività illecita. Tale condizione è, per sua natura, incompatibile con la disciplina di favore prevista per la continuazione.
La Cassazione ha concluso che il ricorso si limitava a proporre una rilettura dei fatti, non consentita in sede di legittimità, senza evidenziare vizi di legge o di motivazione nell’ordinanza impugnata.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza riafferma con chiarezza la distinzione tra la continuazione, che presuppone un’unicità di programmazione, e la mera abitualità o professionalità nel reato. Per gli operatori del diritto, ciò significa che la richiesta di applicazione dell’art. 81 cod. pen. deve essere supportata da elementi concreti che dimostrino l’esistenza di un piano criminoso fin dal principio. La sola identità della norma violata e del luogo di commissione non è, di per sé, sufficiente. La decisione sottolinea l’importanza di un’analisi fattuale approfondita da parte dei giudici di merito per accertare se la pluralità di reati sia espressione di un unico progetto deliberato o, al contrario, di una tendenza consolidata a delinquere.
Quando può essere applicato l’istituto del reato continuato?
L’istituto del reato continuato si applica quando più reati sono commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ovvero un piano unitario ideato prima della commissione del primo reato.
Perché la Corte di Cassazione ha escluso il reato continuato in questo caso?
La Corte lo ha escluso perché i reati erano stati commessi in un arco temporale di diversi anni, con modalità esecutive differenti e con il concorso di soggetti diversi. Questi elementi sono stati ritenuti incompatibili con un’ideazione originaria unitaria, indicando piuttosto una professionalità criminale.
Cosa distingue la reiterazione di reati dalla continuazione?
La reiterazione è la semplice ripetizione di condotte illecite, spesso sintomatica di una scelta di vita criminale (professionalità). La continuazione, invece, richiede che tutti i reati, seppur distinti, siano stati programmati come parte di un unico piano concepito sin dall’inizio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21727 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21727 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/12/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Rilevato che la Corte di Appello di Roma, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di NOME di applicare la disciplina di cui all’art. 81 cod. pen. tra i reati oggetto delle sentenze a) Corte di Appello Roma del 13/1/2016, irrevocabile il 30/3/2016 (per il reato di cui all’art. 73, comma5, D.P.R. 309/1990, commesso a Roma il 12/8/2012), b) Corte di Appello di Roma del 30/6/2016, irrevocabile il 15/10/2016 (per il reato di cui art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990, commesso a Roma il 30/12/2015); c) Corte di Appello di Roma del 25/11/2015, irrevocabile il 23/5/2018 (per il reato di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990, commesso Roma il 14/5/2013);
Rilevato che con il ricorso si denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 81 cod. pen. evidenziando che la conclusione sarebbe errata in quanto la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto che i fatti oggetto delle sentenze si riferiscono alla violazione della stessa norma e si inseriscono nel medesimo contesto spazio temporale;
Rilevato che le doglianze oggetto del ricorso sono manifestamente infondate in quanto il provvedimento impugnato ha adeguatamente motivato in ordine alla necessità che l’identità del disegno criminoso debba essere rintracciabile sin dalla commissione del primo reato e come questo non sia desumibile dagli atti dai quali emerge che i reati sono stati commessi nel corso di diversi anni, con modalità diverse e in concorso con soggetti diversi e come tale elementi impongano di escludere che gli stessi siano il frutto di un’ideazione originaria unitaria laddove, invece, la reiterazione delle condotte è solo sintomatica di una professionalità criminale che è incompatibile con la disciplina di favore di cui all’art. 81 cod. pen. (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01; Sez. 1, n. 13971 del 30/3/2021, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, B, Rv. 260896 – 01);
Ritenuto pertanto che il ricorso è inammissibile in quanto le doglianze sono manifestamente infondate e in parte tese a sollecitare una diversa e alternativa lettura che non è consentita in questa sede (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601);
Considerato che alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 18/4/2024