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Reato continuato: quando non si applica? La Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21727/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto che chiedeva l’applicazione del reato continuato a tre condanne per spaccio. La Corte ha stabilito che la commissione di reati simili in anni diversi, con modalità e complici differenti, non configura un unico disegno criminoso, ma una professionalità criminale, escludendo così il beneficio.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato: La Cassazione Chiarisce i Requisiti Essenziali

L’istituto del reato continuato, disciplinato dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un importante strumento per mitigare il trattamento sanzionatorio nei confronti di chi commette più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa verifica dei presupposti. Con la recente ordinanza n. 21727/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sui confini di questa figura giuridica, sottolineando come la semplice reiterazione di condotte illecite non sia sufficiente a integrarla.

I Fatti di Causa: Tre Condanne per lo Stesso Reato

Il caso esaminato trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato con tre distinte sentenze, divenute irrevocabili, per reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990). I fatti erano stati commessi a Roma in un arco temporale di diversi anni: agosto 2012, maggio 2013 e dicembre 2015.

L’interessato si era rivolto al giudice dell’esecuzione, la Corte di Appello di Roma, chiedendo di unificare le pene inflitte sotto il vincolo della continuazione. A suo avviso, la violazione della medesima norma incriminatrice e il medesimo contesto territoriale erano elementi sufficienti a dimostrare l’esistenza di un unico disegno criminoso. La Corte di Appello, però, aveva rigettato la richiesta, spingendo il condannato a proporre ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e il concetto di reato continuato

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno confermato la correttezza della decisione della Corte territoriale, ribadendo i principi consolidati in materia di reato continuato.

La Corte ha specificato che per poter applicare l’art. 81 cod. pen., non basta la semplice ripetizione di reati dello stesso tipo. È indispensabile che l’agente abbia concepito, sin dalla commissione del primo reato, un piano unitario volto alla realizzazione di una serie di illeciti. Questo “medesimo disegno criminoso” deve essere un programma che lega finalisticamente tutte le condotte, rendendole tappe di un unico progetto.

Le Motivazioni: Assenza di un “Medesimo Disegno Criminoso”

Nel caso di specie, i giudici di legittimità hanno evidenziato come diversi elementi concreti ostacolassero il riconoscimento della continuazione. In particolare:

1. L’ampio arco temporale: i reati erano stati commessi nel corso di diversi anni, un lasso di tempo troppo esteso per essere compatibile con un’unica ideazione originaria.
2. Le diverse modalità esecutive: le modalità con cui i reati erano stati perpetrati non erano omogenee.
3. Il concorso di persone diverse: la partecipazione di complici differenti in ciascun episodio criminale indeboliva ulteriormente l’ipotesi di un piano unitario.

Questi fattori, secondo la Corte, non sono indicativi di un reato continuato, bensì di una “professionalità criminale”. La reiterazione delle condotte non era il frutto di un progetto iniziale, ma sintomo di una scelta di vita dedita stabilmente all’attività illecita. Tale condizione è, per sua natura, incompatibile con la disciplina di favore prevista per la continuazione.

La Cassazione ha concluso che il ricorso si limitava a proporre una rilettura dei fatti, non consentita in sede di legittimità, senza evidenziare vizi di legge o di motivazione nell’ordinanza impugnata.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza riafferma con chiarezza la distinzione tra la continuazione, che presuppone un’unicità di programmazione, e la mera abitualità o professionalità nel reato. Per gli operatori del diritto, ciò significa che la richiesta di applicazione dell’art. 81 cod. pen. deve essere supportata da elementi concreti che dimostrino l’esistenza di un piano criminoso fin dal principio. La sola identità della norma violata e del luogo di commissione non è, di per sé, sufficiente. La decisione sottolinea l’importanza di un’analisi fattuale approfondita da parte dei giudici di merito per accertare se la pluralità di reati sia espressione di un unico progetto deliberato o, al contrario, di una tendenza consolidata a delinquere.

Quando può essere applicato l’istituto del reato continuato?
L’istituto del reato continuato si applica quando più reati sono commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ovvero un piano unitario ideato prima della commissione del primo reato.

Perché la Corte di Cassazione ha escluso il reato continuato in questo caso?
La Corte lo ha escluso perché i reati erano stati commessi in un arco temporale di diversi anni, con modalità esecutive differenti e con il concorso di soggetti diversi. Questi elementi sono stati ritenuti incompatibili con un’ideazione originaria unitaria, indicando piuttosto una professionalità criminale.

Cosa distingue la reiterazione di reati dalla continuazione?
La reiterazione è la semplice ripetizione di condotte illecite, spesso sintomatica di una scelta di vita criminale (professionalità). La continuazione, invece, richiede che tutti i reati, seppur distinti, siano stati programmati come parte di un unico piano concepito sin dall’inizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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