Reato Continuato: La Cassazione Chiarisce i Limiti dell’Applicazione
L’istituto del reato continuato rappresenta un importante strumento del diritto penale, volto a mitigare il trattamento sanzionatorio per chi commette più violazioni della legge in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa valutazione da parte del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i paletti per il riconoscimento di tale beneficio, sottolineando come la distanza temporale e la natura estemporanea dei delitti possano escluderlo.
Il Caso in Esame: Una Richiesta di Continuazione Respinta
Il caso analizzato riguarda un individuo che, dopo aver subito diverse condanne, aveva presentato un’istanza al Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) per ottenere il riconoscimento del reato continuato tra i vari delitti commessi. L’obiettivo era unificare le pene in un’unica condanna più mite, sostenendo che tutti i reati fossero frutto di un unico piano criminale. Il GIP, tuttavia, respingeva la richiesta. L’imputato decideva quindi di impugnare tale decisione, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.
I Requisiti del Reato Continuato secondo la Giurisprudenza
Per comprendere la decisione della Corte, è fondamentale richiamare l’articolo 81, secondo comma, del codice penale. Questa norma stabilisce che chi, con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge, è punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo.
L’elemento chiave è il “medesimo disegno criminoso”: non basta una generica tendenza a delinquere, ma è necessaria una programmazione unitaria e deliberata di una serie di reati, concepita prima dell’inizio dell’esecuzione del primo. Il soggetto deve, in sostanza, essersi rappresentato e aver voluto, sin dall’inizio, la commissione di una pluralità di illeciti come parte di un unico piano.
Le Motivazioni della Cassazione: Perché il Ricorso è Inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso “manifestamente infondato” e quindi inammissibile. I giudici hanno pienamente condiviso le argomentazioni del GIP, sottolineando l’assenza di prove concrete a sostegno dell’esistenza di un piano criminoso unitario.
I fattori decisivi per il rigetto sono stati principalmente due:
1. La notevole distanza temporale: Tra i reati intercorrevano “vari anni”, un lasso di tempo troppo lungo per poter essere considerato espressione di un unico progetto iniziale.
2. La natura dei delitti: I reati apparivano caratterizzati da “estemporaneità e da contingenti necessità”. Questo significa che non erano stati pianificati in anticipo, ma commessi in risposta a bisogni immediati e a circostanze occasionali.
Secondo la Suprema Corte, questi elementi indicavano chiaramente “autonome risoluzioni criminose”, espressione di una “pervicace volontà criminale” non meritevole dell’applicazione di istituti di favore. Il ricorso, inoltre, è stato ritenuto generico, in quanto si limitava a proporre una lettura alternativa dei fatti senza evidenziare vizi logici o giuridici nella decisione impugnata.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione
Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale: il reato continuato non è un beneficio concesso a chiunque commetta più reati, ma è riservato a quelle situazioni in cui è dimostrabile un’unica programmazione a monte. Un significativo intervallo di tempo tra i fatti costituisce un forte indizio contrario, così come la natura impulsiva o occasionale dei crimini. La decisione serve a distinguere chi pianifica una sequenza di illeciti da chi, invece, delinque abitualmente spinto da contingenze del momento. Di conseguenza, il ricorrente non solo ha visto il suo ricorso respinto, ma è stato anche condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.
Cos’è il “reato continuato” e quando si applica?
È un istituto giuridico che consente di unificare più reati sotto un’unica pena più favorevole, a condizione che siano stati commessi in esecuzione di un “medesimo disegno criminoso”, ovvero un piano unitario ideato prima di commettere il primo reato.
Perché la Corte di Cassazione ha respinto la richiesta di applicare il reato continuato in questo caso?
La Corte ha ritenuto che mancasse la prova di un programma criminoso unitario. La notevole distanza di tempo tra i reati e la loro natura estemporanea e contingente indicavano, al contrario, decisioni criminali autonome e separate, non un piano unico.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, se si ritiene che abbia presentato il ricorso con colpa (come in questo caso), anche al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5443 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5443 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 26/12/1987
avverso l’ordinanza del 23/09/2024 del GIP TRIBUNALE di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
1
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e la ordinanza impugnata.
Rilevato che il ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato;
Considerato infatti che il provvedimento impugnato, in puntuale applicazione dei principi in materia di continuazione come declinati dalla giurisprudenza di legittimità, ha ineccepibilmente osservato che osta al riconoscimento della continuazione tra i reati indicati nell’istanza, con rilievo decisivo, l’assenza di circostanze da cui desumere che il predetto, sin dalla consumazione dei reati di cui alla prima condanna, avesse programmato, sia pure nelle linee generali richieste dall’art. 81, secondo comma, cod. pen., anche quelli successivi tenuto conto, in particolare, della distanza di vari anni intercorrente tra essi ed apparendo i delitti caratterizzati, piuttosto, dalla estemporaneità e da contingenti necessità. In tale contesto i reati commessi sono stati ritenuti riconducibili ad autonome risoluzioni criminose ed espressione di una pervicace volontà criminale non meritevole dell’applicazione di istituti di favore;
Rilevato che le censure del ricorrente, oltre ad essere generiche, sollecitano una lettura alternativa del compendio probatorio tratto dalle sentenze in esecuzione da sovrapporre a quella, non manifestamente illogica, del giudice dell’esecuzione;
Ritenuto che deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2025.