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Reato continuato: quando non si applica in executivis

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37813/2025, ha rigettato il ricorso di un condannato che chiedeva l’applicazione del reato continuato tra una truffa e una bancarotta fraudolenta. La Corte ha stabilito che, in assenza di un provato e unitario disegno criminoso iniziale, la mera contiguità temporale o l’omogeneità dei reati non sono sufficienti. La commissione di illeciti in contesti e ruoli diversi (privato cittadino vs. amministratore di società) indica un’abitualità criminosa piuttosto che un unico progetto, escludendo così i benefici del reato continuato.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato: La Cassazione chiarisce la differenza con l’abitualità criminosa

L’istituto del reato continuato, disciplinato dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un punto cruciale nel diritto penale, consentendo di unificare sotto un’unica pena più reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione, specialmente in fase esecutiva, non è automatica. Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione torna a delineare i confini tra un piano criminale unitario e una semplice abitudine a delinquere, rigettando la richiesta di un condannato di beneficiare di un trattamento sanzionatorio più favorevole.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso di un individuo, condannato con due distinte sentenze per reati di natura economico-finanziaria: truffa e bancarotta fraudolenta. L’interessato, tramite il suo difensore, aveva richiesto al Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, di applicare la disciplina del reato continuato, sostenendo che le diverse condotte illecite fossero riconducibili a un unico progetto criminoso. A suo avviso, i reati erano omogenei (appartenenti alla criminalità economica), temporalmente vicini e motivati dallo stesso movente economico. Il Tribunale, però, aveva respinto l’istanza, ritenendo insussistenti i presupposti per l’unificazione delle pene.

La decisione sul reato continuato: i principi della Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale, dichiarando il ricorso infondato. Gli Ermellini hanno ribadito che per il riconoscimento del reato continuato non è sufficiente la presenza di alcuni indicatori generici, come la vicinanza temporale o la somiglianza dei reati. È invece onere del condannato fornire elementi specifici che dimostrino una programmazione unitaria e preventiva anche dei reati successivi al primo.

La Corte ha richiamato la giurisprudenza consolidata, incluse le Sezioni Unite (sent. n. 28659/2017), secondo cui è necessaria un’approfondita verifica di indicatori concreti, quali:

* L’omogeneità delle violazioni e del bene protetto.
* La contiguità spazio-temporale.
* Le modalità della condotta.
* La sistematicità e le abitudini di vita.

L’elemento decisivo resta la prova che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali. Una mera inclinazione a delinquere, che porta a cogliere opportunità illecite man mano che si presentano, non integra il “medesimo disegno criminoso”, ma configura piuttosto un’abitualità nel reato.

Le motivazioni della decisione

Nel caso specifico, la Cassazione ha evidenziato come le argomentazioni del Tribunale fossero logiche e giuridicamente corrette. L’esclusione dell’unicità del disegno criminoso si fondava su dati oggettivi e dissonanti rispetto alla tesi del ricorrente:

1. Diversità di ambiti e ruoli: Nella truffa, l’imputato aveva agito come soggetto privato, inducendo una persona a versare denaro per un affare immobiliare fittizio. Nella bancarotta, invece, operava come legale rappresentante di una società, compiendo atti distrattivi ai danni dei creditori.
2. Distinzione temporale: I fatti di truffa risalivano al biennio 2006-2007, mentre la bancarotta si era consumata con la dichiarazione di fallimento nel 2012, sebbene gli atti distrattivi (come prelevamenti in contanti) fossero iniziati già dal 2005, contestualmente alla costituzione della società.
3. Mancanza di atti analoghi: La sentenza per bancarotta descriveva una società “predestinata alla chiusura”, ma non evidenziava condotte analoghe a quelle della truffa contestata nell’altra pronuncia.

La Corte ha concluso che la mera indicazione di un generico movente economico non è sufficiente a integrare i presupposti dell’art. 81 c.p. La condotta del ricorrente appariva più come espressione di una scelta di vita orientata alla commissione sistematica di illeciti, piuttosto che l’attuazione di un singolo e preordinato progetto criminale.

Conclusioni

Questa pronuncia rafforza un principio fondamentale: il reato continuato è un istituto che presuppone una deliberazione unitaria e iniziale, una programmazione che abbraccia una pluralità di crimini. Non può essere confuso con l’abitualità criminosa, dove ogni reato è frutto di una determinazione estemporanea, seppur inserita in un contesto di generale illegalità. Per il condannato che chiede l’applicazione di questo beneficio in fase esecutiva, non basta allegare la somiglianza dei reati, ma è necessario fornire prove concrete dell’esistenza di quel “medesimo disegno criminoso” che rappresenta il cuore della norma.

Quando è possibile applicare la disciplina del reato continuato?
L’applicazione del reato continuato richiede la prova che più reati siano stati commessi in esecuzione di un “medesimo disegno criminoso”, ovvero un piano unitario e preordinato, deliberato prima della commissione del primo reato e che comprenda, almeno nelle linee essenziali, anche i reati successivi.

La somiglianza dei reati o la loro vicinanza nel tempo sono sufficienti per riconoscere il reato continuato?
No. Secondo la Corte, la mera contiguità cronologica, l’identità o l’analogia dei titoli di reato sono solo indici sintomatici. Da soli, non sono sufficienti a dimostrare un progetto criminoso unitario, potendo invece indicare un’abitualità criminosa o scelte di vita contingenti.

Qual è la differenza tra reato continuato e abitualità criminosa secondo la sentenza?
Il reato continuato presuppone un’unitaria e anticipata ideazione di più condotte illecite. L’abitualità criminosa, invece, descrive una mera inclinazione a reiterare violazioni della stessa specie o un programma generico di attività delittuosa da sviluppare secondo le opportunità, dove ogni reato nasce da una determinazione estemporanea e non da un piano iniziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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