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Reato continuato: quando non si applica ai reati fine

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un condannato che chiedeva di riconoscere il reato continuato tra la sua partecipazione a un clan mafioso e un omicidio. La Corte ha stabilito che la continuazione non è applicabile se il reato fine (l’omicidio) non era parte del programma criminoso iniziale, ma è scaturito da circostanze occasionali ed estemporanee, come una faida. Manca, in questo caso, l’unicità del disegno criminoso necessaria per l’applicazione dell’istituto.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato e Reati Fine: La Cassazione Chiarisce i Limiti

L’istituto del reato continuato rappresenta un pilastro del nostro sistema penale, consentendo di mitigare la pena quando più reati sono frutto di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica, specialmente quando si tratta di crimini associativi e dei cosiddetti ‘reati fine’. Con la sentenza n. 22626 del 2024, la Corte di Cassazione torna a delineare con precisione i confini di questo istituto, sottolineando come la programmazione originaria sia un requisito imprescindibile.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Continuazione

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato con tre sentenze definitive per reati di eccezionale gravità. La prima sentenza riguardava un omicidio e l’occultamento del cadavere, commessi nel 2004 nell’ambito di una faida tra clan. Le altre due sentenze, già unificate in continuazione tra loro, concernevano la partecipazione a due diverse associazioni camorristiche e reati legati alle armi.

Il ricorrente, attraverso il suo difensore, ha richiesto in sede esecutiva di estendere il vincolo del reato continuato anche all’omicidio, sostenendo che tale delitto fosse una manifestazione della sua appartenenza al clan e che dovesse quindi essere considerato parte dello stesso disegno criminoso già riconosciuto per gli altri reati.

La Decisione della Corte: Niente Continuazione Senza Programma Iniziale

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del giudice dell’esecuzione. I giudici hanno chiarito che, per poter applicare il reato continuato tra il delitto di partecipazione ad un’associazione criminale e i reati fine, è necessario un rigoroso accertamento.

La Mancanza di un Disegno Criminoso Unitario

Il punto centrale della decisione risiede nella distinzione tra le attività generiche di un’organizzazione criminale e i singoli delitti specificamente programmati. La Corte ha osservato che l’omicidio del 2004, sebbene commesso per affermare la supremazia del clan durante una faida, non era stato programmato al momento dell’affiliazione del ricorrente. La sua partecipazione fu una decisione estemporanea, occasionale, nata dalle contingenze del conflitto e non da un piano predefinito.

Allo stesso modo, i reati in materia di armi, commessi anni dopo, erano legati a un diverso contesto storico e a un’alleanza con un altro clan, risultando quindi del tutto estranei alla logica che aveva portato all’omicidio.

Il Principio di ‘Proprietà Transitiva’ del reato continuato non è automatico

Il ricorrente aveva invocato il principio della cosiddetta ‘proprietà transitiva della continuazione’, secondo cui il vincolo riconosciuto tra due gruppi di reati dovrebbe estendersi anche a un terzo. La Cassazione ha smontato questa tesi, specificando che tale principio può operare solo se alla base di tutti i reati vi è un’identità della ‘genesi programmatica’. In questo caso, mancava proprio un programma criminale comune tra l’omicidio e gli altri delitti, rendendo impossibile l’unificazione.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato il rigetto evidenziando l’occasionalità della determinazione omicida. Questa è stata vista come un’evoluzione non programmata delle attività del gruppo criminale, legata a eventi contingenti e non immaginabili al momento iniziale dell’associazione. La giurisprudenza costante, richiamata nella sentenza, esclude la continuazione per quei reati fine che, pur finalizzati a rafforzare il sodalizio, non erano ‘programmabili ab origine’. La condotta del ricorrente è stata piuttosto interpretata come una messa a disposizione della propria indole violenta ai clan di appartenenza, eseguendo ordini in base alle circostanze, senza una prefigurazione unitaria degli episodi delittuosi. L’identità programmatica, necessaria per applicare la continuazione, non può essere individuata nella mera disponibilità occasionale di armi da fuoco.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: il reato continuato non può essere trasformato in un contenitore generico per tutti i crimini commessi da un affiliato. L’unicità del disegno criminoso richiede una deliberazione iniziale che abbracci, almeno nelle linee generali, tutti gli episodi delittuosi. Quando un reato grave come un omicidio sorge da dinamiche contingenti e occasionali, come una faida, non può essere ‘attratto’ nella continuazione con il reato associativo. Questa pronuncia serve da monito sulla necessità di una verifica puntuale e rigorosa dei presupposti soggettivi e programmatici prima di concedere il più favorevole trattamento sanzionatorio previsto per il reato continuato.

Quando si può riconoscere il reato continuato tra il delitto di associazione mafiosa e i cosiddetti ‘reati fine’?
La continuazione è ipotizzabile solo a condizione che il giudice verifichi puntualmente che i reati fine siano stati programmati al momento in cui il partecipe si determina a fare ingresso nel sodalizio criminale.

Un omicidio commesso nell’ambito di una faida tra clan rientra automaticamente nel disegno criminoso di un affiliato?
No. Secondo la sentenza, se la decisione di partecipare all’omicidio risulta estemporanea e legata a circostanze contingenti e occasionali, come l’inizio di una faida, non è riconducibile a un programma criminoso preesistente e quindi non può essere posta in continuazione con il reato associativo.

Il principio della ‘proprietà transitiva della continuazione’ si applica sempre?
No, non si applica automaticamente. La Corte chiarisce che questo principio richiede, come presupposto fondamentale, l’identità della genesi programmatica tra tutti i reati che si intendono unificare. Se manca un piano criminale comune originario, il principio non può operare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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