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Reato continuato: quando non si applica?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5848/2024, ha rigettato la richiesta di applicazione del reato continuato per una serie di illeciti eterogenei. La Corte ha stabilito che non può sussistere un unico disegno criminoso tra un reato associativo e delitti commessi prima dell’adesione al sodalizio, né tra reati commessi a grande distanza temporale e con modalità diverse, poiché mancano i requisiti di programmazione unitaria.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato: La Cassazione Fissa i Paletti

Il concetto di reato continuato, disciplinato dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un istituto fondamentale del nostro ordinamento, consentendo un trattamento sanzionatorio più mite per chi commette più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede la sussistenza di precisi requisiti. Con la recente sentenza n. 5848/2024, la Corte di Cassazione è tornata a fare chiarezza sui limiti di questo istituto, in particolare quando i reati sono eterogenei e uno di essi è di natura associativa.

I Fatti del Caso

Un soggetto, condannato con sentenze separate per diversi reati commessi in un arco temporale di circa tre anni, chiedeva al giudice dell’esecuzione di unificarli sotto il vincolo della continuazione. I reati in questione erano:

1. Violazione degli obblighi della sorveglianza speciale (2015).
2. Produzione e traffico di sostanze stupefacenti (2015).
3. Tentato furto aggravato (2018).
4. Associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e ulteriori episodi di spaccio (commessi tra il 2015 e il 2018).

La richiesta veniva rigettata sia dalla Corte d’Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, sia successivamente dalla Corte di Cassazione, che ha ritenuto il ricorso infondato.

La Decisione della Cassazione e i Limiti del Reato Continuato

La Suprema Corte ha confermato la decisione del giudice dell’esecuzione, evidenziando l’impossibilità di ricondurre i diversi episodi criminosi a un unico e premeditato disegno criminoso. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi principali: l’incompatibilità tra il reato associativo e i reati-fine precedenti e l’assenza degli elementi sintomatici della continuazione.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha spiegato che il reato continuato presuppone un’unica programmazione iniziale che abbracci, almeno nelle linee essenziali, tutti gli illeciti che verranno commessi. Nel caso di specie, questa programmazione unitaria mancava per diverse ragioni.

In primo luogo, non è configurabile la continuazione tra un reato associativo e i reati-fine commessi prima che l’imputato entrasse a far parte del sodalizio criminale. È logicamente impossibile che l’agente potesse programmare tali reati come parte di un’associazione a cui non aveva ancora aderito. Il disegno criminoso legato all’associazione nasce con la costituzione della stessa o con l’ingresso del partecipe, e non può retroagire per includere condotte precedenti.

In secondo luogo, il giudice ha rilevato una disomogeneità sostanziale tra i vari illeciti (violazione di misure di prevenzione, reati contro il patrimonio, reati legati agli stupefacenti) e una notevole distanza temporale tra gli stessi. Questi fattori, secondo la giurisprudenza consolidata, sono indicatori dell’assenza di un medesimo disegno criminoso. La Corte ha ribadito che per riconoscere la continuazione è necessaria la presenza di elementi sintomatici quali:

* La vicinanza cronologica tra i fatti.
* L’omogeneità delle condotte e delle violazioni.
* Le condizioni di tempo e di luogo.
* La tipologia dei reati e il bene giuridico tutelato.

Nel caso analizzato, i reati erano frutto di deliberazioni autonome e distinte, assunte in tempi diversi e non riconducibili a un unico piano originario. Erano, in sostanza, espressione di scelte criminali contingenti e non di un progetto unitario.

Conclusioni: I Limiti del Reato Continuato

La sentenza n. 5848/2024 della Corte di Cassazione riafferma un principio cruciale: il reato continuato non è un meccanismo per unificare indiscriminatamente qualsiasi sequenza di crimini. L’esistenza di un “medesimo disegno criminoso” deve essere provata concretamente e non può essere presunta. La decisione chiarisce che la continuazione è esclusa quando i reati sono eterogenei, temporalmente distanti e, soprattutto, quando alcuni di essi precedono l’adesione a un’associazione criminale. Questa pronuncia serve da monito sulla necessità di una valutazione rigorosa da parte del giudice dell’esecuzione, che deve accertare la presenza di un’unica ideazione programmatica alla base di tutte le condotte illecite.

È possibile applicare il reato continuato tra un reato associativo e reati commessi prima di entrare a far parte dell’associazione?
No, la sentenza chiarisce che non è possibile. I reati precedenti all’ingresso nel sodalizio criminale non possono essere considerati parte del programma dell’associazione, poiché l’agente non poteva averli pianificati come parte di un’entità di cui non faceva ancora parte.

Quali elementi deve valutare il giudice per riconoscere un unico disegno criminoso?
Il giudice deve considerare una serie di elementi sintomatici, tra cui la vicinanza cronologica tra i fatti, la somiglianza delle modalità di condotta, le condizioni di tempo e luogo, la tipologia dei reati e l’omogeneità delle violazioni. L’assenza di questi elementi indica che i reati sono frutto di decisioni separate.

Perché nel caso specifico i reati non sono stati considerati uniti dal vincolo della continuazione?
Perché erano parzialmente disomogenei (furto, violazione sorveglianza, droga), commessi a una consistente distanza temporale e, soprattutto, alcuni di essi erano stati realizzati prima dell’adesione del soggetto all’associazione a delinquere. La Corte ha ritenuto che fossero il risultato di deliberazioni autonome e distinte, assunte in tempi diversi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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