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Reato continuato: quando non si applica

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11990/2025, ha respinto il ricorso di un condannato che chiedeva l’applicazione del reato continuato tra il delitto di associazione mafiosa e reati-fine, come la detenzione di armi e banconote false. La Corte ha stabilito che per riconoscere il reato continuato non è sufficiente che i crimini avvengano nello stesso contesto, ma è necessario dimostrare che i reati-fine fossero stati programmati, almeno nelle linee generali, sin dal momento dell’adesione al sodalizio criminale, prova che nel caso di specie mancava.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato continuato: la Cassazione traccia i confini dell’unico disegno criminoso

L’istituto del reato continuato, previsto dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un cardine del nostro sistema sanzionatorio, offrendo un trattamento più mite a chi commette più violazioni di legge in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa valutazione da parte del giudice. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 11990/2025, offre importanti chiarimenti sui presupposti necessari per il suo riconoscimento, in particolare nel complesso rapporto tra reato associativo e reati-fine.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria trae origine dalla richiesta di un condannato di vedere applicata la disciplina del reato continuato a due diverse sentenze definitive. La prima, emessa dalla Corte di Appello di Bologna, lo aveva condannato per associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) finalizzata al controllo del settore del gioco online, oltre che per una serie di reati satellite come estorsione, frode informatica e trasferimento fraudolento di valori. La seconda sentenza, del Tribunale di Bologna, riguardava invece reati di detenzione e porto di armi comuni da sparo, fabbricazione di arma clandestina e detenzione di banconote false.

Il ricorrente sosteneva che anche questi ultimi reati rientrassero nell’unico disegno criminoso legato alla sua partecipazione al sodalizio mafioso. La Corte di Appello, in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva però respinto l’istanza, non ravvisando gli elementi per collegare i due filoni criminali. Contro questa decisione, l’interessato ha proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione dei giudici di merito. I giudici di legittimità hanno ribadito che, per poter applicare la disciplina del reato continuato, non è sufficiente un generico inserimento dei reati nel medesimo contesto criminale. È invece indispensabile provare l’esistenza di un’unica programmazione iniziale che abbracci tutte le condotte illecite.

Nel caso specifico, la Corte ha sottolineato come non vi fosse alcun elemento agli atti per poter affermare che i reati relativi alle armi e alle banconote false fossero stati programmati, almeno a grandi linee, già al momento in cui il ricorrente aveva deciso di entrare a far parte dell’associazione mafiosa. La diversità di località e la mancanza di un collegamento funzionale con le attività estorsive del gruppo criminale hanno ulteriormente rafforzato questa conclusione.

Le Motivazioni: i criteri per il reato continuato e il disegno criminoso

La sentenza si sofferma ampiamente sulla natura del “medesimo disegno criminoso”. La Corte chiarisce che questo non può coincidere con una generica “scelta di vita” criminale o con una tendenza a delinquere. Al contrario, richiede una rappresentazione unitaria e una deliberazione iniziale di una pluralità di condotte, finalizzate al raggiungimento di un unico scopo concreto e specifico.

La giurisprudenza ha individuato alcuni “indici rivelatori” per accertare tale unicità, tra cui:
* La ridotta distanza cronologica tra i fatti.
* Le modalità simili della condotta.
* L’omogeneità dei beni giuridici tutelati.
* Le condizioni di tempo e luogo.

Tuttavia, questi indici non sono sufficienti se manca l’elemento fondamentale: la programmazione ab origine. Nel rapporto tra reato associativo e reati-fine, la continuazione è configurabile solo se si dimostra che i reati-fine erano stati programmati al momento dell’ingresso nel sodalizio. Non basta che essi costituiscano una generica attuazione del programma dell’associazione.

In questo caso, la detenzione di un’arma clandestina e di banconote false in una località diversa da quella di operatività del clan e senza un collegamento provato con le attività estorsive è stata ritenuta espressione di una decisione criminale autonoma e successiva, non riconducibile al piano originario legato all’associazione.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La pronuncia della Cassazione ribadisce un principio fondamentale: il reato continuato è un istituto di favore, destinato a mitigare il rigore del cumulo materiale delle pene per chi dimostra una ridotta capacità a delinquere, concentrata in un unico progetto. L’onere di provare l’esistenza di tale progetto iniziale ricade su chi ne chiede l’applicazione.

Per gli operatori del diritto, questa sentenza conferma che la richiesta di applicazione dell’art. 81 c.p. in fase esecutiva deve essere supportata da elementi concreti e specifici, capaci di dimostrare che i diversi reati non sono frutto di determinazioni estemporanee e successive, ma erano già stati contemplati, almeno nelle loro linee essenziali, in un’unica deliberazione iniziale. Una semplice contiguità temporale o l’appartenenza allo stesso ambiente criminale non bastano a integrare i presupposti del reato continuato.

Cosa si intende per ‘medesimo disegno criminoso’ ai fini del reato continuato?
Per ‘medesimo disegno criminoso’ si intende un’unica programmazione iniziale di più reati, che devono essere stati previsti, almeno nelle loro linee generali, sin dal momento della prima condotta. Non è sufficiente una generica tendenza a delinquere o una ‘scelta di vita’ criminale.

È sufficiente che più reati siano commessi nell’ambito di un’associazione mafiosa per applicare il reato continuato?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che non è sufficiente. È necessario dimostrare che i singoli reati-fine (es. estorsioni, detenzione di armi) fossero stati specificamente programmati, almeno a grandi linee, al momento in cui l’individuo ha aderito all’associazione criminale.

Quali sono gli ‘indici rivelatori’ che il giudice valuta per riconoscere il reato continuato?
Il giudice valuta diversi elementi, tra cui la vicinanza temporale tra i reati, la somiglianza nelle modalità di esecuzione, l’omogeneità dei beni giuridici lesi e il contesto di tempo e luogo. Tuttavia, l’elemento decisivo rimane la prova di un’unica programmazione iniziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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