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Reato continuato: quando non serve la motivazione

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro una sentenza della Corte d’Appello. Si contestava l’aumento di pena per un reato continuato e il diniego di un’attenuante. La Corte suprema conferma che per aumenti di pena esigui nel reato continuato non serve una motivazione dettagliata e che le valutazioni di merito, se logiche, non sono sindacabili in sede di legittimità.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Aumento di Pena per Reato Continuato: I Limiti all’Obbligo di Motivazione

L’istituto del reato continuato, disciplinato dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta uno strumento fondamentale per mitigare il trattamento sanzionatorio nei confronti di chi commette più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la quantificazione dell’aumento di pena rimane un punto delicato, spesso oggetto di ricorso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 33508/2024) offre importanti chiarimenti sui limiti dell’obbligo di motivazione del giudice in questi casi, soprattutto quando l’aumento è di lieve entità.

Il Contesto del Ricorso in Cassazione

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Milano. La Corte territoriale aveva applicato un aumento di pena di otto mesi di reclusione a titolo di continuazione con altri reati, già giudicati separatamente. L’imputato, tramite il suo difensore, ha deciso di impugnare tale decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando tre vizi principali.

I Motivi di Impugnazione: Pena e Attenuanti

I motivi del ricorso si concentravano su tre aspetti specifici della decisione d’appello:

1. Vizio di motivazione sulla determinazione della pena, in violazione degli articoli 132 e 133 del codice penale.
2. Mancato riconoscimento dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, previsto dall’articolo 62, n. 4, del codice penale.
3. Eccessività dell’aumento di pena stabilito per il reato continuato.

In sostanza, la difesa sosteneva che i giudici di merito non avessero adeguatamente giustificato né l’entità della pena inflitta, né il diniego di una circostanza che avrebbe potuto ridurla, né tantomeno l’incremento applicato per la continuazione.

La Decisione sul Reato Continuato della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure sollevate. La decisione si fonda su principi giurisprudenziali consolidati, che la Corte ha richiamato per confermare la correttezza dell’operato della Corte d’Appello.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha affrontato punto per punto le doglianze del ricorrente, fornendo una chiara spiegazione per la sua decisione.

In primo luogo, riguardo all’aumento di pena per il reato continuato, la Corte ha ribadito un orientamento costante: quando l’aumento sanzionatorio è di esigua entità e si mantiene ben al di sotto del limite legale (il triplo della pena per il reato più grave), il giudice non è tenuto a fornire una motivazione specifica e dettagliata. Questo perché un aumento modesto esclude in radice un possibile abuso del potere discrezionale del giudice. Citando una precedente sentenza (n. 44428/2022), la Corte ha specificato che non sussiste un obbligo di motivazione analitica per ciascun reato-satellite.

In secondo luogo, la Corte ha dichiarato inammissibile la censura sulla congruità della pena. Nel giudizio di legittimità, infatti, non è possibile effettuare una nuova valutazione del merito. La determinazione della pena è un potere discrezionale del giudice, e la Cassazione può intervenire solo se la decisione è frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico, circostanze non riscontrate nel caso di specie.

Infine, per quanto riguarda il mancato riconoscimento dell’attenuante del danno di lieve entità, i giudici hanno ritenuto che i rilievi della difesa fossero mere doglianze di fatto. La Corte d’Appello aveva già motivato in modo corretto il proprio diniego, evidenziando che il furto di una bicicletta aveva causato alla vittima un danno di centinaia di euro, costringendola a un nuovo acquisto per garantirsi la mobilità. Tale danno, dunque, non poteva essere considerato di speciale tenuità.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame conferma due principi cardine del diritto penale e processuale. Primo, il potere discrezionale del giudice di merito nella commisurazione della pena è ampio e il suo esercizio è difficilmente sindacabile in sede di legittimità, se non per vizi logici macroscopici. Secondo, l’obbligo di motivazione si attenua in relazione all’entità della pena: per aumenti minimi legati al reato continuato, una motivazione generica o implicita è sufficiente. Questa pronuncia offre quindi un’utile guida pratica, ricordando che il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti.

Quando il giudice deve motivare in modo dettagliato l’aumento di pena per il reato continuato?
Il giudice non è tenuto a una motivazione specifica e dettagliata quando l’aumento di pena per il reato continuato è di esigua entità e rispetta il limite legale del triplo della pena base. In questi casi, si presume che non vi sia un abuso del potere discrezionale.

È possibile contestare in Cassazione la mancata concessione di un’attenuante come quella del danno di lieve entità?
No, non è possibile se la contestazione si limita a una semplice doglianza sui fatti. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione del giudice di merito è illogica o assente. Nel caso di specie, il giudice aveva adeguatamente spiegato perché il danno (il furto di una bicicletta) non era di lieve entità.

La valutazione sulla congruità della pena può essere riesaminata dalla Corte di Cassazione?
No, la censura che mira a una nuova valutazione della congruità della pena è inammissibile nel giudizio di Cassazione, a meno che la determinazione della pena non sia il risultato di un puro arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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