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Reato continuato: quando non è riconosciuto dalla Corte

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23420/2024, ha negato il riconoscimento del reato continuato per una serie di episodi di spaccio commessi nell’arco di quasi tre anni. La Corte ha stabilito che la notevole distanza temporale tra i delitti e le interruzioni dovute ad arresti e detenzione sono elementi che escludono l’esistenza di un unico e preordinato disegno criminoso, anche in presenza di reati omogenei e di un comune movente economico.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato: La Cassazione Nega il Beneficio per Reati Distanziati nel Tempo

L’istituto del reato continuato rappresenta una questione cruciale nel diritto penale, offrendo la possibilità di unificare la pena per chi commette più reati in esecuzione di un unico piano. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 23420/2024) ha però ribadito i rigidi confini di questo beneficio, negandolo in un caso di spaccio di stupefacenti protrattosi nel tempo. La decisione sottolinea che né l’omogeneità dei delitti né un generico movente economico sono sufficienti a dimostrare un medesimo disegno criminoso.

I Fatti del Caso: Spaccio Protratto e Richiesta di Continuazione

Il caso riguardava un individuo condannato con cinque diverse sentenze per reati legati allo spaccio di stupefacenti, commessi in un arco temporale di quasi tre anni, dal dicembre 2018 al giugno 2021. L’interessato aveva richiesto al Tribunale di Torino, in qualità di giudice dell’esecuzione, di riconoscere il vincolo della continuazione tra tutti i reati, sostenendo che fossero frutto di un unico disegno criminoso. A suo avviso, la necessità di mantenersi economicamente, data la sua condizione di irregolarità sul territorio italiano, costituiva il motore di un’unica e costante attività delittuosa.

Il Tribunale aveva respinto l’istanza, evidenziando come la notevole distanza cronologica tra i fatti, inframmezzata da arresti e periodi di detenzione, rendesse implausibile una programmazione unitaria sin dall’inizio. Secondo i giudici di merito, i singoli episodi di spaccio apparivano piuttosto come il risultato di decisioni contingenti e occasionali, prese ogni volta che l’imputato riusciva a procurarsi la sostanza stupefacente.

La Decisione della Corte sul reato continuato

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale, rigettando il ricorso del condannato. Gli Ermellini hanno chiarito che, per il riconoscimento del reato continuato, è necessaria una verifica approfondita di indicatori concreti, che vadano oltre la semplice ripetizione di condotte simili.

La Distanza Temporale come Indice Contrario

Un punto centrale della motivazione è la rilevanza della distanza temporale. La Corte ha osservato che tra i vari reati intercorrevano non meno di tre mesi, con un intervallo complessivo di quasi due anni e mezzo tra il primo e l’ultimo. Tale distanza, unita alle interruzioni dovute alle misure coercitive, supporta logicamente la tesi di reati nati da decisioni estemporanee e non da un piano originario. Un’attività programmata, infatti, presuppone una costanza e un’organizzazione che non possono coesistere con pause così lunghe e imprevedibili.

Il Movente Economico Non Basta a Creare un Disegno Criminoso

Il ricorrente aveva insistito sul fatto che il movente unico (la necessità di procurarsi denaro) dovesse essere l’elemento chiave per dimostrare l’unicità del disegno criminoso. La Cassazione ha smontato questa argomentazione, operando una distinzione fondamentale: il movente è la spinta psicologica che porta a commettere un singolo reato, mentre il disegno criminoso è un’ideazione e una programmazione unitaria di più reati, che deve preesistere alla commissione del primo. La generica decisione di mantenersi commettendo reati non costituisce un piano specifico e concreto, ma rappresenta piuttosto una scelta di vita delinquenziale, attuata di volta in volta a seconda delle opportunità.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della sentenza si fonda su principi consolidati della giurisprudenza di legittimità. La Corte ha ribadito che l’onere di allegare elementi specifici e concreti a sostegno della richiesta di continuazione grava sul condannato. Non è sufficiente indicare la contiguità cronologica (che in questo caso mancava) o l’identità del tipo di reato. Questi sono indici che, da soli, possono denotare un’abitualità a delinquere piuttosto che l’attuazione di un progetto unitario.

Citando precedenti pronunce, la Corte ha specificato che l’unicità del movente assume rilevanza solo se il proposito criminoso è caratterizzato da “specificità e concretezza”. Mancando nel caso di specie qualsiasi elemento che potesse far desumere una “primigenia e unitaria deliberazione” per tutti i reati commessi, la decisione di rigetto dell’istanza è stata ritenuta corretta.

Conclusioni: L’Onere della Prova per il Condannato

Questa sentenza riafferma un principio fondamentale: il beneficio del reato continuato non è un automatismo derivante dalla commissione di più reati simili. Il condannato che ne chiede l’applicazione in fase esecutiva ha il preciso onere di fornire la prova di un progetto criminoso unitario, deliberato prima dell’inizio della serie di reati. La distanza temporale, le interruzioni dovute all’azione della giustizia e la natura occasionale delle condotte sono potenti indicatori in senso contrario, che difficilmente possono essere superati dalla sola invocazione di un generico movente economico o di uno stile di vita.

Quando si può parlare di un unico “disegno criminoso” per il reato continuato?
Si può parlare di un unico disegno criminoso quando, prima di commettere il primo reato, il soggetto ha già programmato, almeno nelle linee essenziali, la commissione di una serie di ulteriori reati. Non è sufficiente un generico proposito di delinquere.

La semplice ripetizione di reati dello stesso tipo è sufficiente per ottenere il riconoscimento del reato continuato?
No. Secondo la sentenza, l’omogeneità dei reati è solo uno degli indicatori da valutare. Da sola, può indicare un’abitualità a delinquere o una scelta di vita piuttosto che l’esecuzione di un piano predeterminato. Altri elementi, come la distanza temporale, possono escludere la continuazione.

Chi deve provare l’esistenza di un unico disegno criminoso in fase di esecuzione?
L’onere di allegare elementi specifici e concreti a sostegno dell’esistenza di un unico disegno criminoso grava sul condannato che invoca l’applicazione della disciplina del reato continuato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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