Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 28016 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 28016 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME NOME COGNOME nato a CINQUEFRONDI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 14/07/2023 del TRIBUNALE di PALMI udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME; lette/-se,igita le conclusioni del PG
Letta la requisitoria del dott. NOME COGNOME, Sostituto Procuratore generale de Repubblica presso la Corte di cassazione, con cui è stata chiesta la declaratoria di inammissibi del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Palmi, in funzione di giudice dell’esecuzione rigettato l’istanza, presentata nell’interesse di NOME COGNOME, di applicazion disciplina della continuazione in relazione ai reati di cui a due sentenze esecutive, pronunc rispettivamente nell’ambito del procedimento c.d. Spazio di Libertà e del procedimento c. Vulcano.
Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione, tramite i propri difensori, COGNOME deducendo violazione dell’art. 671 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
In particolare, rileva la difesa che il Tribunale di Palmi ha rigettato l’istanza senza val gli indici rivelatori dell’unicità del disegno criminoso in relazione ai fatti di cui al sentenze di condanna, pur dando atto dell’estrema vicinanza temporale tra le condotte delittuos commesse ad appena un mese di distanza. Lamentano i difensori che detto Tribunale non ha considerato che COGNOME in entrambi i procedimenti ha un ruolo di collegamento e di contribu rispetto al contesto associativo, attraverso gli spostamenti garantiti isia nel caso della latitanza di COGNOME i sia nel caso degli accompagnamenti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali rappresentanti degli organizzatori COGNOME e COGNOME, in Aspromonte dinanzi a finanziatori rimasti i e ad un emissario sudamericano. Insistono, pertanto, per l’annullamento dell’ordinanz impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Premesso che il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abi programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficient a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/5/2017, Gargiulo, Rv.270074), è stato, altresì, affermato che, in tema di esecuzione, grava sul condannato ch invochi l’applicazione della disciplina del reato continuato l’onere di allegare elementi sp e concreti a sostegno, non essendo sufficiente il mero riferimento alla contiguità cronolog
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degli addebiti ovvero all’identità dei titoli di reato, in quanto indici sintomatici non di di un progetto criminoso unitario quanto di un’abitualità criminosa e di scelte di vita i alla sistematica e contingente consumazione degli illeciti (Sez. 1, n. 35806 del 20/4/2 COGNOME, Rv. 267580).
Ciò posto, l’ordinanza impugnata ha motivato il rigetto dell’istanza evidenziando che nell’ambito del procedimento c.d. Spazio di Libertà non è emerso che COGNOME abbia operato nel settore degli stupefacenti per conto dei soggetti di cui favoriva la latitanza e in par per il parente NOME COGNOME; – l’attività compiuta da COGNOME in concorso con soggetti che n erano legati al gruppo RAGIONE_SOCIALE ed accertata nel procedimento c.d. Vulcano era circoscritta al febbraio 2016, pertanto si svolgeva in epoca successiva all’arresto dei latitanti NOME COGNOME e NOME COGNOME; – al di là della vicinanza temporale delle condotte poste in essere COGNOME nel territorio della provincia di Reggio Calabria, l’eterogeneità delle stesse e i soggetti coinvolti non consentono di ravvisare una finalità unitaria dei reati e l’unic disegno criminoso; – alcun coinvolgimento è emerso nell’affare dell’importazione della cocain delle cosche COGNOME e COGNOME, tanto da essere stata esclusa dalla condanna in relazione a dett importazione l’aggravante mafiosa originariamente contestata; – COGNOMECOGNOME COGNOME contrario quanto asserito dai difensori, non è stato cofinanziatore dell’importazione, né ris riconosciuto intraneo ad alcun sodalizio mafioso; – l’agevolazione della cosca COGNOME gli è st addebitata unicamente con riferimento al favoreggiamento della latitanza del parente NOME COGNOMECOGNOME – quest’ultimo, così come la cosca di appartenenza, non sono risultati coinvolti nell’af della cocaina.
La motivazione è, dunque, conforme al principio di diritto, costantemente ribadito dal giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di applicazione della continuazione l’identità del disegno criminoso, che caratterizza l’istituto disciplinato dall’art. 81 secondo, cod. pen., postula che l’agente si sia previamente rappresentato e abbia unitariamente deliberato una serie di condotte criminose e non si identifica con il programma vita delinquenziale del reo, che esprime, invece, l’opzione del reo a favore della commissio di un numero non predeterminato di reati, che, seppure dello stesso tipo, non sono identificab a priori nelle loro principali coordinate, rivelando una generale propensione alla devianza, si concretizza, di volta in volta, in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenz veda ex plurimis Sez. 1, n. 15955 del 8/1/2016, P.m. in proc. Eloumari, Rv. 266615).
A fronte di tali argomentazioni scevre da vizi logici e giuridici, che rimarcano l’auto della condanna per il delitto di importazione di stupefacenti rispetto a quella favoreggiamento aggravato per essere in favore di un capoclan ancorché parente, il ricorrent insiste nei termini generici e aspecifici sopra indicati, reiterando le stesse ded persuasivamente respinte.
All’inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 6:16 cod. proc. pen., la condanna di COGNOME al pagamento delle spese processuali e di una somma che si ritiene equo determinare in ‘puro
tremila a favore della Cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla sentenz della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000.
P. Q. MI.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2024.