Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 378 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 378 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a MONASTERACE il 12/09/1960
avverso l’ordinanza del 22/03/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette!~ le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOME chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre avverso il decreto della Corte di appello di Roma del 22 marzo 2023 che, quale giudice dell’esecuzione, ha dichiarato l’inammissibilità ex art. 666, comma 2, cod. proc. pen. della richiesta di applicazione della disciplina della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., con riguardo:
1) ai reati di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti e di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai sensi degli artt. 73, comma 2, e 74, commi 2 e 3, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, commessi in Platì, nella provincia di Reggio Calabria, nei territori delle regioni del Lazio, Piemonte Lombardia, in territori esteri e altrove da ottobre 2002 al 2004, giudicati dalla Corte di appello di Reggio Calabria con sentenza del 21 luglio 2010, definitiva il 16 aprile 2011;
al reato di associazione di tipo mafioso, ai sensi dell’art. 416-bis, primo, terzo, quarto e quinto comma, cod. pen., commesso nelle province di Catanzaro, Reggio Calabria, Roma, Milano e Torino dal 1990 con condotta perdurante, giudicato dalla Corte di appello di Roma con sentenza dell’il. giugno 2018, definitiva il 25 novembre 2020.
Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 81 cod. pen., 666 e 671 cod. proc. pen., e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, perché il giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di valutare se la nuova istanza conteneva richieste sostanzialmente diverse rispetto a quelle oggetto della precedente istanza, così da fugare ogni dubbio circa il fatto che non fossero stati prospettati elementi pregressi o coevi che non avevano formato oggetto di considerazione, ne.ppure implicita, da parte del precedente giudice dell’esecuzione.
A tal fine, nel ricorso si evidenzia che la precedente istanza aveva affrontato in concreto l’oggetto della richiesta alle sole pagine 4 e 5, mentre la nuova istanza affrontava i punti di contatto tra i fatti oggetto delle due sentenze in maniera più articolata, attraverso molteplici richiami alle motivazioni delle sentenze sub 1 e 2.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Giova premettere che il principio del ne bis in idem assume portata generale nel vigente diritto processuale penale, trovando espressione nelle norme sui conflitti positivi di competenza (art. 28 cod. proc. pen.), nel divieto di un secondo giudizio (art. 649 cod. proc. pen.) e nella disciplina dell’ipotesi di una pluralità d sentenze per il medesimo fatto (art. 669 cod. proc. pen.). È, quindi, indubbio che anche nel procedimento di esecuzione operi il principio della preclusione processuale derivante dal divieto del bis in idem, nel quale, secondo la giurisprudenza di legittimità, s’inquadra la regola dettata dal dall’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., che impone al giudice dell’esecuzione di dichiarare inammissibile la richiesta che sia mera riproposizione, in quanto basata sui «medesimi elementi», di altra già rigettata (Sez. 1, n. 3736 del 15/01/2009, Anello, Rv. 242533).
Con tale limite si è inteso creare, per arginare richieste meramente dilatorie, un filtro processuale, ritenuto dal legislatore delegato necessario in un’ottica di economia e di efficienza processuale. In questa prospettiva emerge la nozione di «giudicato esecutivo», impiegata in senso atecnico, per rappresentare l’effetto «auto conservativo» di un accertamento rebus sic stantibus: più correttamente, la stabilizzazione giuridica di siffatto accertamento deve essere designata con il termine «preclusione», proprio al fine di rimarcarne le differenze con il concetto tradizionale di giudicato.
Appare, quindi, un dato acquisito, nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo cui, allorquando la precedente richiesta sia stata respinta, è ammissibile la proposizione di un nuovo incidente di esecuzione solo quando si fondi su nuovi elementi.
Nel caso di specie, il ricorrente non si confronta con il decreto impugnato, nella parte in cui il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che era stata già presentata analoga istanza con la quale era stata richiesta l’applicazione della disciplina della continuazione avente a oggetto i medesimi reati sub 1 e 2, poi rigettata dalla Corte di appello di Roma, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza dell’Il maggio 2022 (divenuta definitiva a seguito del provvedimento del 15 dicembre 2022 con il quale era stata dichiarata l’inammissibilità del relativo ricorso per cassazione).
Il giudice dell’esecuzione, pertanto, dopo aver evidenziato che la nuova istanza non si fondava su elementi diversi da quelli precedentemente presi in considerazione, ne ha dichiarato l’inammissibilità ex art. 666, comma 2, cod. proc. pen., considerando che è inammissibile l’istanza di applicazione in sede esecutiva del reato continuato meramente riproduttiva di analoga istanza già respinta (Sez. 1, n. 895 del 03/03/1993, Aversa, Rv. 193932).
Sul punto, il ricorrente si limita a rilevare in maniera generica che la nuova istanza avrebbe articolato in modo più approfondito i fatti accertati dai giudici della
cognizione, senza specificare in maniera adeguata gli aspetti di diversità delle due istanza.
Il ricorrente, pertanto, si è limitato a denunziare il vizio, senza indicare l ragioni delle pretese illogicità o della ridotta valenza dimostrativa degli elementi argomentativi, e ciò a fronte di una puntuale esposizione degli elementi in fatto e in diritto fondanti il decreto in esame, con cui non si è confrontato, anche considerando che il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che COGNOME, nella sua nuova istanza ex art. 671 cod. proc. pen., si era limitato a offrire diverse valutazioni dei medesimi elementi già presi in considerazione dal precedente giudice dell’esecuzione.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 07/11/2023