Reato Continuato: La Cassazione Chiarisce i Limiti dell’Unificazione delle Pene
L’istituto del reato continuato, disciplinato dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un cardine del nostro sistema sanzionatorio, permettendo di unificare pene relative a più reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa valutazione da parte del giudice. Con l’ordinanza n. 14985 del 2024, la Corte di Cassazione torna sul tema, chiarendo i motivi per cui un ricorso volto a ottenere tale beneficio può essere dichiarato inammissibile, soprattutto quando si basa su critiche di fatto e non di diritto.
I Fatti di Causa: Due Condanne e una Richiesta di Unificazione
Il caso esaminato trae origine dalla richiesta di un condannato di vedere unificate, sotto il vincolo della continuazione, due distinte sentenze definitive.
La prima, emessa dalla Corte d’Appello di Genova, lo aveva condannato a due anni di reclusione per un furto commesso nel 2015. La seconda, della Corte d’Appello di Milano, lo aveva condannato a tre anni e sei mesi per sette episodi di furto, commessi tra il 2012 e il 2014, già riconosciuti come avvinti dalla continuazione tra loro.
Il condannato, tramite il proprio difensore, si era rivolto al Giudice dell’esecuzione (la Corte d’Appello di Milano) per estendere il vincolo del reato continuato anche al furto giudicato a Genova. La richiesta, tuttavia, veniva respinta.
Il Ricorso in Cassazione
Contro l’ordinanza di rigetto, la difesa ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge penale e una motivazione manifestamente illogica. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale non aveva adeguatamente considerato l’omogeneità dei reati commessi, elemento che avrebbe dovuto far propendere per l’esistenza di un unico disegno criminoso.
La Decisione della Corte di Cassazione sul reato continuato
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della richiesta, ma si ferma a un vaglio preliminare, concludendo che le argomentazioni della difesa non potevano essere esaminate in sede di legittimità.
Le motivazioni alla base di questa pronuncia sono cruciali per comprendere i limiti del giudizio di Cassazione e i requisiti per l’applicazione del reato continuato.
Le Motivazioni: Unico Disegno Criminoso vs Propensione a Delinquere
La Corte di Cassazione ha evidenziato come le doglianze del ricorrente fossero, in realtà, delle mere critiche di fatto. La difesa non contestava un errore nell’interpretazione della norma (errore di diritto), ma tentava di ottenere una nuova e diversa valutazione degli elementi già esaminati dal Giudice dell’esecuzione. Questo tipo di riesame è precluso in sede di legittimità.
Il cuore della motivazione risiede nella distinzione tra un “unico disegno criminoso” e una “generale propensione alla delinquenza”. Il Giudice dell’esecuzione aveva stabilito che i reati in questione apparivano “slegati tra loro”, frutto di “separate volizioni” e non di un programma unitario preordinato. Essi, piuttosto, erano l’espressione di una tendenza generale del soggetto a commettere reati, il che esclude la possibilità di applicare la continuazione.
La Cassazione ha ritenuto questa motivazione logica, coerente e priva di contraddizioni. L’ordinanza impugnata aveva correttamente spiegato perché, nonostante l’omogeneità dei reati (tutti furti), mancasse l’elemento unificante del disegno criminoso, ovvero un piano deliberato che abbracciasse fin dall’inizio tutti gli episodi delittuosi.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: per ottenere il riconoscimento del reato continuato in fase esecutiva non è sufficiente indicare la somiglianza delle condotte criminali. È necessario dimostrare, con elementi concreti, l’esistenza di un’unica programmazione iniziale che leghi tutti i reati. Inoltre, la pronuncia conferma che il giudizio della Corte di Cassazione non è una terza istanza di merito. I ricorsi che si limitano a criticare la valutazione dei fatti operata dai giudici dei gradi precedenti, senza individuare vizi di legittimità (come l’errata applicazione di una norma o una motivazione palesemente illogica), sono destinati all’inammissibilità. Per gli operatori del diritto, ciò significa che l’atto di impugnazione deve essere attentamente costruito su censure di diritto, evitando di riproporre argomenti fattuali già vagliati e respinti.
Quando può essere richiesto il riconoscimento del reato continuato?
Può essere richiesto quando una persona ha commesso più reati che sono frutto di un medesimo disegno criminoso, ovvero di un piano unitario ideato prima di iniziare l’esecuzione del primo reato. La richiesta può essere avanzata anche in fase di esecuzione, dopo che le sentenze sono diventate definitive, per unificare le pene.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso in questo caso?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le argomentazioni della difesa erano mere critiche di fatto sulla valutazione del giudice precedente, e non censure di diritto. Il ricorso tentava di ottenere una nuova valutazione delle prove, cosa non consentita in sede di Cassazione, la quale giudica solo sulla corretta applicazione della legge e sulla logicità della motivazione.
Qual è la differenza tra un “unico disegno criminoso” e una “generale propensione alla delinquenza” secondo la Corte?
Un “unico disegno criminoso” implica un piano specifico e unitario, deliberato prima della commissione dei reati, che li lega insieme. Una “generale propensione alla delinquenza”, invece, descrive una tendenza abituale a commettere reati che non sono collegati da un piano preventivo, ma nascono da decisioni separate e occasionali. Solo il primo caso permette di applicare il reato continuato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14985 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14985 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SANREMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 03/11/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Milano – nella veste di Giudice dell’esecuzione – ha rigettato la richiesta di unificazione sotto vincolo della continuazione, presentata nell’interesse di NOME COGNOME, con riferimento alle condanne inflitte con le seguenti sentenze:
sentenza della Corte di appello di Genova del 27/04/2016 ‘,passata in giudicato il 06/07/2017), che lo ha condannato alla pena di anni due di reclusione ed euro quattrocento di multa, in relazione al reato di cui agli artt. 624-bis e 625 cod. pen. commesso in Genova il 21/07/2015;
sentenza della Corte di appello di Milano del 11/11/2022 (passata in giudicato il 03/07/2023), che lo ha condannato alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione ed euro 1.600,00 di multa, in relazione a sette reati ex artt. 624-bis e 625 cod. pen., commessi in Milano e altri luoghi, fra il 20/06/2012 e il 26/02/2014, già ritenuti tra loro avvinti dal vincolo della continuazione.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, deducendo erronea applicazione della legge penale, nonché manifesta contraddittorietà e illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 81 cod. pen. e 671 c proc. pen., censurando in particolare !a inadeguata considerazione della omogeneità dei reati commessi.
La difesa ha anche presentato memoria, a mezzo della quale ha contestato la preliminare valutazione di inammissibilità, ribadendo la fondal:ezza delle doglianze sussunte nell’atto di impugnazione.
Le doglianze poste e fondamento dell’impugnazione risultano inammissibili, in quanto costituite da mere critiche versate in punto di fatto, lamentando esse come l’ordinanza avversata abbia trascurato gli indici rivelatori dell’unicità de disegno criminoso, asseritamente emergenti dall’esame delle condotte delittuose realizzate. Dette censure, altresì, appaiono meramente riproduttive di profili di doglianza che, nel provvedimento impugnato, risultano già adeguatamente vagliati e disattesi – secondo un corretto argomentare giuridico – dal Giudice dell’esecuzione. In tale ordinanza, invero, si evidenzia come i fatti in relazione a quali si invoca la riunione in continuazione siano slegati tra loro, apparendo quindi frutto di separate volizioni, nonché espressione di una generale propensione alla delinquenza del condannato. La motivazione adottata dalla Corte di appello di Milano, infine, è logica e coerente, oltre che priva di spunti di contraddittorietà;
quanto tale, essa merita di rimanere al riparo da qualsivoglia stigma in sede di legittimità.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esoneri) – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P. Q m
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 7 marzo 2024.