Reato Continuato: Limiti al Ricorso in Cassazione
L’istituto del reato continuato, disciplinato dall’art. 81 del codice penale, rappresenta uno strumento fondamentale per mitigare il trattamento sanzionatorio nei confronti di chi commette più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione in fase esecutiva, ovvero dopo la condanna definitiva, segue regole procedurali precise. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire i limiti del sindacato di legittimità su tali decisioni.
I Fatti del Caso
Il caso in esame riguarda un individuo condannato con tre sentenze separate e irrevocabili per reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti. Le condanne erano state emesse in momenti diversi e riguardavano episodi criminosi avvenuti tra il 2016 e il 2018. L’interessato, tramite il suo difensore, si era rivolto al Giudice dell’esecuzione (nella specie, la Corte d’Appello) chiedendo di unificare le pene inflitte sotto il vincolo della continuazione, ai sensi dell’art. 671 c.p.p. La richiesta si basava sulla presunta omogeneità dei fatti, sulle modalità esecutive simili e sul medesimo contesto territoriale, elementi che, a dire della difesa, avrebbero dimostrato l’esistenza di un unico disegno criminoso.
La Corte d’Appello, tuttavia, aveva respinto l’istanza. Contro questa decisione, l’individuo proponeva ricorso per Cassazione.
La Decisione della Corte e l’applicazione del reato continuato
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. La decisione si fonda su un principio cardine del nostro sistema processuale: la netta distinzione tra il giudizio di merito e il giudizio di legittimità.
Il Giudice dell’esecuzione, nel valutare la richiesta di applicazione del reato continuato, compie un’analisi approfondita dei fatti: esamina la natura dei reati, la loro vicinanza temporale, le modalità di commissione e ogni altro elemento utile a comprendere se essi siano frutto di decisioni estemporanee o, al contrario, tappe di un unico progetto criminoso ideato in anticipo.
Nel caso specifico, la Corte di Cassazione ha rilevato che il giudice di merito aveva già svolto questa analisi in modo logico e argomentato, concludendo per l’insussistenza del vincolo della continuazione. Il ricorso presentato dalla difesa, invece di contestare un errore di diritto o un vizio logico nella motivazione del provvedimento impugnato, si limitava a riproporre gli stessi argomenti fattuali già esaminati e respinti.
Le Motivazioni
La Corte ha qualificato il ricorso come “aspecifico e rivalutativo”. Questo significa che l’impugnazione non individuava una specifica violazione di legge, ma chiedeva di fatto alla Cassazione di effettuare una nuova e diversa valutazione delle prove e delle circostanze di fatto. Tale operazione, tuttavia, è radicalmente preclusa in sede di legittimità.
Il ruolo della Corte di Cassazione, infatti, non è quello di un “terzo grado” di giudizio dove si può ridiscutere l’intera vicenda, ma quello di verificare la corretta applicazione delle norme giuridiche e la coerenza logica della motivazione delle sentenze. Se la decisione del giudice dell’esecuzione è basata su argomenti di fatto logici e non contraddittori, essa non può essere messa in discussione davanti alla Suprema Corte semplicemente perché la parte non ne condivide le conclusioni.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un’importante lezione pratica: per avere successo, un ricorso in Cassazione non può limitarsi a lamentare un’ingiustizia percepita o a riproporre una diversa lettura dei fatti. È necessario, invece, individuare con precisione i vizi di legittimità che affliggono la decisione impugnata, come un’errata interpretazione di una norma o una motivazione palesemente illogica o contraddittoria. Nel contesto del reato continuato in fase esecutiva, ciò significa che non è sufficiente affermare l’omogeneità dei reati, ma bisogna dimostrare che il giudice di merito ha ignorato prove decisive o ha ragionato in modo giuridicamente errato nel negare l’esistenza di un unico disegno criminoso.
È possibile chiedere l’applicazione del reato continuato dopo che le sentenze sono diventate definitive?
Sì, l’articolo 671 del codice di procedura penale prevede la possibilità di presentare un’istanza al giudice dell’esecuzione per ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione tra reati giudicati con sentenze diverse e irrevocabili.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso in questo caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non contestava un errore di diritto, ma si limitava a chiedere una nuova valutazione dei fatti già analizzati dal giudice dell’esecuzione. Questa richiesta di “rivalutazione” è preclusa nel giudizio di legittimità, che si occupa solo della corretta applicazione della legge.
Cosa significa che un ricorso è “aspecifico e rivalutativo”?
Significa che il ricorso non indica in modo specifico quale norma di legge sia stata violata o quale vizio logico contenga la motivazione della decisione impugnata, ma si limita a riproporre argomenti di fatto in disaccordo con la valutazione del giudice precedente, chiedendo di fatto un nuovo giudizio nel merito.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18515 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18515 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a NAPOLI il 10/10/1982
avverso l’ordinanza del 17/01/2025 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Napoli – nella veste di Giu dell’esecuzione – ha rigettato l’istanza a mezzo della quale NOME COGNOME aveva chiesto l’unificazione sotto il vincolo della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., f giudicati mediante tre pronunce (sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale d Napoli del 18/03/2022, parzialmente riformata dalla Corte di appello di Napoli in da 26/04/2023 e passata in giudicato il 09/05/2024, di condanna alla pena di anni cinque d reclusione ed euro 18.000,00 di multa, per sette episodi ex art. 73 d.P.R. 09 ottobre 1990, 309, accertati in Napoli tra il 19/12/2016 e il 23/01/2017; sentenza del Tribunale di Napoli 25/05/2018, passata in giudicato il 17/01/2019, di applicazione, ex art. 444 cod. proc. pen. d pena di anni quattro dì reclusione ed euro 16.000,00 di multa, per il reato di cui all’art. 7 stup., accertato in Napoli il 24/05/2018; sentenza del Tribunale di Napoli del 10/07/20 passata in giudicato il 27/07/2019, di applicazione ex art. 444 cod. proc. pen. della pena di tre di reclusione ed euro 12.400,00 di multa, per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 09 ottobr n. 309, accertato in Napoli il 25/09/2018).
Ricorre per cassazione NOME COGNOME tramite il difensore avv. NOME COGNOME deducendo violazioni ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., in relazione artt. 671 cod. proc. pen. e 81 cod. pen., per motivazione mancante, illogica e contraddittor con riguardo al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra i fatti di cui all sentenze irrevocabili relative ai delitti ex art. 73 d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309; non sare state adeguatamente considerati – in ipotesi difensiva – i dati rappresentati dalla sostan omogeneità dei fatti, dalle similari modalità attuative e dalla medesimezza del contes territoriale.
Il ricorso va dichiarato inammissibile, in ragione della manifesta infondatezza dei mot addotti. Nel caso in esame, infatti, la dedotta questione è stata risolta – dal g dell’esecuzione – con approfondita analisi dei singoli fatti delittuosi, della loro genesi pr delle loro modalità esecutive, con argomenti di fatto del tutto logici, la cui “ridiscuss pertanto radicalmente preclusa in sede di legittimità.
Sotto tale profilo, la critica difensiva introduce una sostanziale richiesta di rivalu di tali argomentazioni, operazione del tutto incompatibile con la conformazione normativa de giudizio di legittimità; l’impugnazione, peraltro, si connota per la sua natura aspeci rivalutativa.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiara inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e
t
– non ravvisandosi ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle a determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 17 aprile 2025.