Reato continuato: Inammissibilità del Ricorso per Genericità e Mancanza di Fatti Nuovi
L’istituto del reato continuato rappresenta un pilastro del nostro sistema sanzionatorio, consentendo di unificare sotto un’unica pena più reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la possibilità di richiederne l’applicazione in fase esecutiva, specialmente dopo un primo rigetto, è soggetta a requisiti rigorosi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti invalicabili per la riproposizione di tale istanza, sottolineando la necessità di allegare elementi nuovi, specifici e non generici.
Il Contesto: La Richiesta di Applicazione del Reato Continuato
Il caso trae origine da una decisione della Corte d’Assise d’Appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione. Quest’ultima aveva dichiarato inammissibile l’istanza di un condannato volta a ottenere il riconoscimento del reato continuato. La motivazione del rigetto era netta: la richiesta era una “mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata su medesimi elementi”.
In sostanza, il giudice dell’esecuzione non aveva ravvisato alcun elemento di novità rispetto alla precedente istanza, trattandola come un tentativo di rimettere in discussione una questione già decisa.
I Motivi del Ricorso in Cassazione sul Reato Continuato
Contro questa decisione, il difensore del condannato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando la violazione dell’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale. Secondo la difesa, l’ordinanza impugnata era errata perché la nuova istanza non era affatto una semplice ripetizione della precedente. Essa, infatti, si fondava su due presunti elementi di novità:
1. Nuovi elementi di fatto: le dichiarazioni rese da non meglio specificati “collaboratori di giustizia”.
2. Nuovi elementi di diritto: un “più recente orientamento della Corte Suprema di Cassazione”.
La difesa sosteneva che questi elementi avrebbero dovuto indurre il giudice a riesaminare nel merito la richiesta di applicazione del reato continuato.
La Decisione della Suprema Corte: L’Indeterminatezza dei “Nuovi Elementi”
La Corte di Cassazione ha respinto completamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile per genericità e indeterminatezza. I giudici hanno chiarito che chi ripropone un’istanza già rigettata ha l’onere di allegare in modo specifico e dettagliato gli elementi di novità.
Nel caso in esame, il riferimento a “dichiarazioni di non meglio precisati collaboratori di giustizia” è stato ritenuto del tutto generico. Il ricorrente non ha fornito alcuna indicazione sugli estremi degli atti, sull’identità dei dichiaranti o sul contenuto delle loro affermazioni. Questa mancanza ha reso impossibile per la Corte valutare se si trattasse di elementi davvero “nuovi”, se fossero preesistenti alla decisione precedente o se fossero già stati presi in considerazione. In assenza di tali specificazioni, l’allegazione è risultata priva di qualsiasi concretezza.
Il Mutamento di Giurisprudenza come Nuovo Elemento di Diritto
La Corte ha poi affrontato il secondo punto sollevato dal ricorrente, relativo al presunto nuovo orientamento giurisprudenziale. Su questo aspetto, i giudici hanno ribadito un principio consolidato: un mutamento di giurisprudenza può effettivamente integrare un “nuovo elemento di diritto” che giustifica la riproposizione di un’istanza. Tuttavia, ciò è valido solo se tale mutamento è sancito da una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Le Sezioni Unite hanno il compito di risolvere i contrasti interpretativi tra le diverse sezioni della Corte, e le loro decisioni hanno una particolare autorevolezza. Nel caso di specie, il ricorrente si era limitato a menzionare un generico “più recente orientamento” senza indicare alcuna specifica sentenza delle Sezioni Unite. Di conseguenza, anche questo motivo è stato giudicato infondato.
Le motivazioni
La Corte di Cassazione ha concluso che il ricorso dovesse essere dichiarato inammissibile perché fondato su motivi generici e indeterminati. Il ricorrente non ha adempiuto all’onere di specificare concretamente i nuovi elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della sua istanza. La mancanza di specificità ha impedito qualsiasi valutazione sulla novità e sulla rilevanza delle argomentazioni proposte, rendendo il ricorso una mera riproposizione di questioni già decise, priva dei requisiti di ammissibilità.
Le conclusioni
Questa ordinanza offre un importante monito pratico: per poter ripresentare un’istanza già rigettata in fase esecutiva, non è sufficiente affermare l’esistenza di elementi nuovi. È indispensabile individuarli con precisione, fornendo tutti i dettagli necessari (fonti, contenuti, riferimenti) per consentire al giudice di verificarne l’effettiva novità e pertinenza. In caso contrario, il ricorso sarà inevitabilmente dichiarato inammissibile, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
È possibile ripresentare un’istanza già rigettata in fase esecutiva?
Sì, ma solo a condizione che si fondi su elementi nuovi, sia di fatto che di diritto, che non potevano essere dedotti o non erano noti al momento della precedente richiesta. Non può essere una mera riproposizione dei medesimi argomenti.
Cosa si intende per ‘nuovi elementi’ ai fini della riproposizione di un’istanza?
Per gli elementi di fatto, si tratta di prove o circostanze non considerate in precedenza, che devono essere allegate in modo specifico (es. indicando l’identità dei dichiaranti e il contenuto delle loro dichiarazioni). Per gli elementi di diritto, un mutamento giurisprudenziale è rilevante solo se deriva da una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Quali sono le conseguenze di un ricorso in Cassazione basato su motivi generici?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che in questo specifico caso è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 83 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 83 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a POMIGLIANO D’ARCO il 05/04/1970
avverso l’ordinanza del 10/05/2024 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto dal difensore di COGNOME NOME avverso l’ordinanza in epigrafe, con cui la Corte d’Assise d’Appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha dichiarato inammissibile un’istanza di applicazione della disciplina del reato continuato, in quanto “mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata su medesimi elementi”;
Evidenziato che con l’unico motivo di ricorso si lamenta l’inosservanza dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., in quanto l’ordinanza impugnata non avrebbe tenuto conto che la richiesta faceva riferimento a elementi nuovi, rappresentati dal “propalato di collaboratori di giustizia” e da “un più recente orientamento della Corte Suprema di Cassazione”;
Rilevato, in primo luogo, che il ricorrente avrebbe avuto l’onere di allegare specificamente gli elementi nuovi, che invece nel ricorso individua genericamente nelle dichiarazioni di non meglio precisati collaboratori di giustizia, senza alcuna indicazione degli estremi degli atti rilevanti e dell’identità dei dichiaranti, sicché non si è in grado di apprezzare in alcun modo né i “nuovi” elementi di fatto, né se fossero preesistenti al precedente provvedimento o se fossero stati già presi in considerazione;
Rilevato, in secondo luogo, che il mutamento di giurisprudenza, suscettibile di integrare un nuovo elemento di diritto che rende ammissibile la riproposizione in sede esecutiva di un’istanza già rigettata, è solo quello determinato da una pronuncia delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 18288 del 21/1/2010, COGNOME; Sez. 1, n. 30659 del 7/3/2019, Aquas), che tuttavia nel caso di specie non è stata affatto indicata;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto fondato su motivi generici e indeterminati, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26.9.2024