Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43252 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43252 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 05/12/2023 del TRIBUNALE di RAVENNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
La cognizione del giudice dell’esecuzione dei dati sostanziali di possibile collegamento tra i vari reati va eseguita in base al contenuto decisorio delle sentenze di condanna, conseguite alle azioni o omissioni che si assumono essere in continuazione e, attraverso il loro raffronto, alla luce delle ragioni enunciate dall’istante, gravato in tema di esecuzione – quando invoca l’applicazione della disciplina del reato continuato – non da un onere probatorio, ma dall’onere di allegare, e cioè di prospettare e indicare elementi specifici e concreti a sostegno dell’istanza (Sez. 1, n. 21326 del 06/05/2010, Faneli, Rv. 247356).
Il c.d. onere di allegazione di elementi specifici a sostegno dell’istanza, pertanto, sottolinea la necessità che la prova dell’esistenza di un comune disegno criminoso sia effettiva, e non si limiti a registrare l’esistenza di elementi, come la prossimità spazio-temporale e l’identità del bene giuridico leso che, di per sé, sono neutri, essendo anche compatibili con la mera inclinazione a delinquere, fenomeno ben diverso dalla unitaria programmazione, anche generica, più reati. Piuttosto, dunqud, si deve affermare che, trattandosi di un’indagine che ha ad oggetto il momento ideativo e deliberativo del reato, spesso non rilevante e quindi trascurato nell’accertamento di merito, è interesse della parte rappresentare ed evidenziare al giudice gli elementi significativi dell’esistenza di un disegno criminoso comune a più reati, elementi che potrebbero non risultare dalle sentenze di merito.
Nel caso di specie, il ricorrente non si confronta con il provvedimento impugnato, nella parte in cui il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che il reato oggetto della sentenza del Tribunale di Ravenna del 5 luglio 2019, definitiva il 15 novembre 2022, era stato commesso a distanza di tempo di circa due anni rispetto agli ulteriori reati oggetto dell’istanza, i quali – a loro volta – se commessi in arco temporale contiguo, erano stati posti in essere con modalità esecutive differenti tra loro (anche considerando la differente tipologia di beni oggetto di singoli reati).
Dalla lettura delle sentenze di condanna, pertanto, non era emerso alcun elemento in forza del quale poter sostenere che il condannato, nel momento in cui aveva posto in essere la prima azione delinquenziale, avesse già preventivato di commettere anche gli ulteriori reati oggetto dell’istanza.
Il giudice dell’esecuzione, quindi, fornendo una decisione logica e coerente, ha evidenziato in modo ineccepibile che i reati, eterogeni tra loro e commessi con modalità differenti, non potevano essere avvinti dal vincolo della continuazione. La Corte, pertanto, ritiene che il giudice dell’esecuzione abbia
correttamente interpretato il parametro normativo di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen. e, con motivazione né apodittica né manifestamente illogica, abbia fatto esatta applicazione dei suddetti condivisi principi.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/10/2024