Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 29967 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 29967 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 18/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME
NOME nata a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/03/2024 della CORTE DI APPELLO DI MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 5 aprile 2023 il Tribunale di Pavia dichiarava NOME COGNOME colpevole di sei reati di truffa e di tre reati di sostituzione di persona e la condannava, applicata la disciplina della continuazione, alla pena di tre anni, sei mesi di reclusione e 2.500,00 euro di multa.
Con sentenza del 27 marzo 2024 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della suddetta decisione, dichiarava non doversi procedere in relazione a una truffa per violazione dell’art. 649 cod. proc. pen. e in ordine ai fatt
costituenti sostituzione di persona, commessi sino al 27 settembre 2016, per essere i reati estinti per prescrizione; la Corte rideterminava la pena in due anni, dieci mesi, sei giorni di reclusione e 2.000,00 euro di multa.
Ha proposto ricorso l’imputata, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza per violazione della legge penale sotto due distinti profili.
2.1. In primo luogo, la Corte territoriale erroneamente non ha riconosciuto il vincolo della continuazione fra i fatti-reato oggetto del presente processo e quelli giudicati con altre tre sentenze divenute irrevocabili, prodotte con i motivi nuovi di appello, nonostante “la sostanziale omogeneità strutturale dei reati, le condotte in larga misura analoghe, la ripetizione delle medesime nell’arco temporale in disamina (certo ampio ma connotato da una iterazione compulsiva e ravvicinata)”.
2.2. In secondo luogo, a fronte del motivo di gravame con il quale si era dedotta la violazione dell’art. 81, secondo comma, cod. pen. da parte del primo giudice, che per i reati inflitti dal vincolo della continuazione aveva inflitto una pena superiore al triplo di quella determinata per la violazione più grave, la Corte d’appello ha osservato che “per effetto della rideterminazione della pena dovuta all’emissione delle pronunce di non doversi procedere” la pena sarebbe rientrata nel limite di legge.
Così opinando, “la Corte distrettuale ha preso a riferimento, quale pena base, quella illegale, determinata dal giudice di prime cure (superiore al triplo ex art. 81 c.p.), limitandosi a detrarre il quantum relativo alle pene per cui è stata emessa la pronuncia di non doversi procedere”.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18, nella quale è stato convertito il decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215), in mancanza di alcuna tempestiva richiesta di discussione orale, proposta nei termini ivi previsti.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo.
2. È manifestamente infondato, invece, il primo motivo di ricorso.
La sentenza ha escluso il vincolo della continuazione fra i fatti-reato oggetto del presente processo e quelli giudicati con altre tre sentenze divenute irrevocabili in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale il giudice di merito deve procedere ad una «rigorosa, approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori – quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita – del fatto che, al momento della commissione del primo reato della serie, i successivi fossero stati realmente già programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici di cui sopra se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea, di contingenze occasionali, di complicità imprevedibili, ovvero di bisogni e necessità di ordine contingente, o ancora della tendenza a porre in essere reati della stessa specie o indole in virtù di una scelta delinquenziale compatibile con plurime deliberazioni» (Sez. U, n. 28569 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074; in senso conforme, (di recerife,1 v. Sez. 2, n. 37063 del 26/11/2020, COGNOME, non mass. sul punto).
L’accertamento di tali indici – come da ultimo ribadito da questa Corte – «è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamento dei fatti» (Sez. 1, n. 25540 del 05/04/2024, COGNOME, non mass.), quale quella espressa nella sentenza impugnata là dove (pag. 20) si è evidenziato che la reiterazione seriale delle truffe, commesse in un ampio arco temporale (“quantomeno dal 2013 al 2018”) con una organizzazione professionale dei delitti, era espressiva di una spiccata capacità criminale e di una “scelta di vita dell’imputata” e quindi di un programma generico di attività delittuosa da sviluppare nel tempo.
3. Il secondo motivo – come si è detto – è fondato.
Va premesso che con il ricorso la difesa non ha riproposto la doglianza formulata in appello circa l’erronea indicazione della pena finale in dispositivo.
La Corte territoriale ha osservato che detta pena era stata determinata, quanto a quella detentiva, sia in motivazione sia in dispositivo, in tre anni e sei mesi di reclusione e che l’errore materiale era invece ravvisabile nel calcolo della entità degli aumenti a titolo di continuazione: questa statuizione, dunque, non è più in discussione.
Non vi è dubbio, per contro, che il primo giudice, quanto alla pena detentiva, abbia violato il limite previsto dall’art. 81, primo comma, cod. pen., richiamato quoad poenam dal secondo comma dello stesso articolo, che disciplina l’istituto del reato continuato, limite invalicabile che, peraltro, opera anche in sede esecutiva (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270073): la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave può essere aumentata «fino al triplo».
Dopo avere determinato in un anno di reclusione la pena detentiva per la violazione più grave (la truffa commessa in danno di NOME COGNOME di cui al capo N), il Tribunale, riuniti tutti i reati sotto il vincolo della continuazione, h inflitto la pena di tre anni e sei mesi di reclusione.
La Corte d’appello ha implicitamente riconosciuto la violazione della norma, ma ha poi diminuito la sanzione facendola rientrare nel limite di legge “per effetto della rideterminazione della pena dovuta all’emissione delle pronunce di non doversi procedere”, considerando però quale punto di partenza del calcolo quella stessa pena illegale (tre anni e sei mesi di reclusione).
La Corte territoriale, avendo ritenuto congrua la pena determinata dal primo giudice, avrebbe dovuto comunque ridurre la stessa, quanto a quella detentiva, al limite legale di tre anni di reclusione, per poi operare le diminuzioni per le pronunce di non doversi procedere, calcolando correttamente gli aumenti a titolo di continuazione per le altre quattro truffe sub M) (persona offesa NOME) e N) (persone offese COGNOME, COGNOME e COGNOME) nonché per i reati di sostituzione di persona di cui al capo O).
La sentenza impugnata, pertanto, va annullata con rinvio per la rideterminazione della pena a titolo di aumento per la continuazione, dovendosi già ora rilevare, con sentenza di annullamento senza rinvio, la estinzione dei reati di cui al capo O), commessi sino al 18 gennaio 2017, per sopravvenuta prescrizione.
La fondatezza del ricorso, dunque, riguarda solo l’aumento di pena calcolato a titolo di continuazione, non essendo invece in discussione la pena base (di un anno di reclusione e 1.000,00 euro di multa) inflitta dai giudici di merito per il più grave reato di truffa in danno di NOME COGNOME, in ordine al quale, ai sensi dell’art. 624 cod. proc. pen., deve essere dichiarata irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
Ciò in applicazione del principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione
impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268966) ovvero – come nella fattispecie – in ordine ai quali non era neppure stato proposto uno specifico motivo di ricorso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al reato di cui agli artt. 81, 110, 494 cod. pen. di cui al capo O), limitatamente ai fatti commessi sino al 18.1.2017, estinti per intervenuta prescrizione.
Annulla la sentenza impugnata in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio a titolo di continuazione, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio sul punto.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso ed irrevocabile l’affermazione di responsabilità in relazione al delitto di truffa di cui al capo N), commesso in danno di NOME NOME.
Così deciso il 18/07/2024.