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Reato continuato: obbligo di motivazione della pena

Un’ordinanza che applicava la disciplina del reato continuato è stata annullata dalla Corte di Cassazione. Il giudice dell’esecuzione, pur unificando diverse pene sotto un unico disegno criminoso, non ha fornito alcuna motivazione per gli aumenti applicati per i reati satellite. La Suprema Corte ha ribadito che ogni aumento di pena deve essere calcolato e motivato in modo distinto, specialmente quando ci si allontana dai minimi edittali, annullando la decisione con rinvio per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Continuato: La Cassazione Ribadisce l’Obbligo di Motivazione per Ogni Aumento di Pena

La corretta determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, anche quando interviene nella fase esecutiva. Con la sentenza n. 13102 del 2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema cruciale: la quantificazione della pena in caso di reato continuato. Il principio affermato è chiaro e perentorio: il giudice non può limitarsi a indicare l’aumento di pena per i reati satellite, ma deve spiegare il perché di quella scelta, fornendo una motivazione puntuale per ciascuno di essi.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dal ricorso di un condannato avverso un’ordinanza del Tribunale di Lucca, in funzione di giudice dell’esecuzione. Il ricorrente aveva chiesto e ottenuto l’applicazione della disciplina del reato continuato (ex art. 671 c.p.p.) per quattro diverse sentenze definitive. Il Tribunale, riconoscendo l’esistenza di un ‘medesimo disegno criminoso’, aveva individuato il reato più grave, la cui pena era di otto anni di reclusione e 40.000 euro di multa, utilizzandola come pena base.

Successivamente, aveva applicato i seguenti aumenti per gli altri tre reati (cd. ‘reati satellite’):
1. Aumento di tre anni di reclusione e 450,00 euro di multa.
2. Aumento di tre anni e mesi di reclusione e 2.400,00 euro di multa.
3. Aumento di tre anni e sei mesi di reclusione e 1.150,00 euro di multa.

La pena finale era stata così rideterminata in diciotto anni di reclusione e 44.000 euro di multa. Tuttavia, secondo il ricorrente, il giudice si era limitato a elencare questi aumenti in maniera del tutto apodittica, senza fornire alcuna giustificazione sui criteri seguiti per la loro quantificazione.

Il Ricorso in Cassazione: il Vizio di Motivazione sul Reato Continuato

Il motivo del ricorso davanti alla Suprema Corte si è concentrato proprio su questo punto: il vizio di motivazione. Il ricorrente ha lamentato che il giudice dell’esecuzione avesse calcolato gli aumenti di pena senza spiegare le ragioni sottostanti, violando così l’obbligo di motivazione che deve sorreggere ogni decisione giurisdizionale, specialmente in materia di libertà personale.

In sostanza, non era contestata l’applicazione del reato continuato, ma il modo in cui la pena complessiva era stata costruita. La difesa sosteneva che una decisione priva di motivazione sul calcolo della pena è illegittima perché non consente di comprendere l’iter logico-giuridico seguito dal giudice e, di conseguenza, di esercitare un pieno diritto di difesa.

La Decisione della Corte: Necessità di una Motivazione Specifica

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato, accogliendo in pieno le doglianze del ricorrente e annullando l’ordinanza impugnata.

Le Motivazioni

Nel motivare la propria decisione, la Suprema Corte ha richiamato un principio consolidato, sancito anche dalle Sezioni Unite (sentenza ‘Pizzone’ del 2021): quando si applica il reato continuato, il giudice ha un duplice obbligo. Non solo deve individuare il reato più grave e stabilire la pena base, ma deve anche ‘calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite’.

La Corte ha inoltre ribadito un altro principio fondamentale: l’obbligo di motivazione sulla pena diventa tanto più stringente quanto più la pena inflitta si discosta dal minimo edittale. Se un mero richiamo ai criteri generali dell’art. 133 c.p. può essere sufficiente per pene vicine al minimo, non lo è per pene di entità superiore. In questi casi, il giudice deve ‘dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale’, specificando quali criteri oggettivi e soggettivi lo abbiano guidato nella sua scelta.

Nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione, pur avendo correttamente indicato gli aumenti per ogni reato, aveva completamente omesso di esplicitare i criteri seguiti per la loro quantificazione. Tale omissione ha reso la decisione viziata, poiché non permetteva di comprendere perché fossero stati scelti proprio quegli specifici aumenti di pena.

Le Conclusioni

Alla luce di questi principi, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Lucca, ma limitatamente alla parte relativa alla determinazione della pena. Il caso è stato quindi rinviato allo stesso Tribunale per un nuovo giudizio sul punto. Il giudice del rinvio dovrà procedere a una nuova quantificazione, questa volta fornendo una motivazione specifica e puntuale per ogni aumento di pena applicato ai reati satellite, in conformità con i principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità. Questa sentenza riafferma con forza il principio secondo cui il potere discrezionale del giudice nella commisurazione della pena non può mai tramutarsi in arbitrio, ma deve sempre essere ancorato a una motivazione trasparente e controllabile.

Quando si applica il reato continuato, il giudice deve motivare l’aumento di pena per ogni singolo reato satellite?
Sì. La Corte di Cassazione, richiamando la giurisprudenza delle Sezioni Unite, ha stabilito che il giudice deve calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non potendosi limitare a una mera indicazione numerica.

Cosa accade se il giudice non motiva adeguatamente la quantificazione della pena nel reato continuato?
L’ordinanza o la sentenza può essere annullata per vizio di motivazione. L’annullamento, come nel caso di specie, può essere limitato alla sola parte relativa alla determinazione della pena, con rinvio a un nuovo giudice per una nuova valutazione debitamente motivata.

L’obbligo di motivazione sulla pena è più forte se la sanzione si allontana dal minimo previsto dalla legge?
Sì. La Corte ha ribadito il principio secondo cui, quanto più la pena inflitta si discosta dal minimo edittale, tanto più il giudice ha il dovere di fornire una motivazione specifica e dettagliata, indicando i criteri oggettivi e soggettivi (previsti dall’art. 133 c.p.) che hanno guidato la sua decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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